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Questo film ha un teorema lapalissiano da dimostrare, ovvero che oggigiorno è oramai mentalità comune e diffusa trasversalmente in tutte le classi sociali che il denaro giustifica qualsiasi azione. Non a caso la location prescelta è il Vomero, quartiere residenziale della Napoli bene, dopo la serie dei Gomorra e degli innumerevoli film sulla camorra ambientati a Scampia o nei quartieri poveri del centro storico.
A prescindere dalle sofisticate analisi sociologiche sulle trasformazioni antropologiche delle masse nella moderna società dei consumi, che di certo precedono la stesura del soggetto, la morale del film, per la povertà dei mezzi espressivi, forse voluta, che ricorda la soap opera Un posto al sole, è riassumibile più icasticamente e forse in modo altrettanto efficace nel proverbio “e solde fanne venì ‘a vista ‘e cecate”.
Non bisogna quindi prendere sul serio, Maria Capasso, interpretata da una delle migliori attrici del nostro cinema, Luisa Ranieri, quando nella scena finale, guardando spavalda in camera, nel declamare una sorta di manifesto politico del delinquente comune, si dice felice e non pentita di essersi arricchita con il crimine in un mondo dove i potenti affamano la povera gente, che non ha, quindi, scelta: o si ritaglia una fetta della torta con qualsiasi mezzo oppure muore di fame.
La sceneggiatura è molto simile allo script di un fumetto, i personaggi non hanno nessuno spessore psicologico, la trama è del tutto inverosimile e a tratti denuncia l’ignoranza di nozioni elementari, di cui a Napoli, da Secondigliano a Posillipo, tutti sono in possesso e cioè che fare sesso con una 17enne consenziente non è reato.
Rimane un mistero insoluto, infine, come una casalinga piccolo borghese, che fa la manicurista in un centro estetico, madre amorevole di tre figli, possa trasformarsi, dalla mattina alla sera, in uno spietato e freddo serial killer, con tanto di pistola silenziata, una novella Nikita partenopea, anche perché la cinematografia di Salvatore Piscicelli, impegnata da sempre nella rappresentazione veristica di temi sociali, appare molto lontana da quella di un Luc Besson.
Premessa alla realizzazione dell’opera si intravede una scelta artistica discutibile, motivata forse dall’ansia di veicolare, in forma pop, un messaggio ritenuto socialmente importante e che, tuttavia, non solo rischia di essere frainteso, proprio da quel pubblico che si intende raggiungere, giacché potrebbe sembrare, nelle conclusioni, un inno alla delinquenza, ma svilisce il dramma epocale di un popolo privo oramai di ogni riferimento etico in un noir fumettistico o tutt’al più in un fotoromanzo con una storia di cronaca nera degli anni ’60.
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