carloalberto
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venerdì 4 dicembre 2020
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sciovinismo a parte è un buon legal thriller
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Un docufilm di cronaca giudiziaria, costruito in forma di legal thriller, sull’improvvisa ed inspiegabile scomparsa nel 2000 di una giovane donna francese madre di tre figli e la conseguente accusa di omicidio per il marito, con sorprendenti analogie con un noto fatto di cronaca nera italiana avvenuto circa dodici anni dopo.
Antoine Raimbault prende posizione da subito scegliendo una delle due fazioni in contesa come punto di vista privilegiato per interpretare una vicenda che presenta comunque molti punti oscuri e non risolti nemmeno dal giudizio di appello. Ibrido di realtà e romanzo, intreccia storie di vita vissuta e la storia inventata di una donna, interpretata da Marina Foïs, che avendo partecipato come giurata al primo grado si fa promotrice della difesa dell’uomo in secondo grado sulla base, per l’appunto, di una sua intima convinzione.
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Un docufilm di cronaca giudiziaria, costruito in forma di legal thriller, sull’improvvisa ed inspiegabile scomparsa nel 2000 di una giovane donna francese madre di tre figli e la conseguente accusa di omicidio per il marito, con sorprendenti analogie con un noto fatto di cronaca nera italiana avvenuto circa dodici anni dopo.
Antoine Raimbault prende posizione da subito scegliendo una delle due fazioni in contesa come punto di vista privilegiato per interpretare una vicenda che presenta comunque molti punti oscuri e non risolti nemmeno dal giudizio di appello. Ibrido di realtà e romanzo, intreccia storie di vita vissuta e la storia inventata di una donna, interpretata da Marina Foïs, che avendo partecipato come giurata al primo grado si fa promotrice della difesa dell’uomo in secondo grado sulla base, per l’appunto, di una sua intima convinzione.
Il regista, al di là della tesi innocentista, apparentemente sposata senza alcuna riserva, forse vuole instillare un dubbio più forte e cioè che la giustizia in generale si basi, alla fine, soltanto sulla presa di posizione individuale, dettata dallo stato d’animo di colui che è chiamato a giudicare, influenzata dal suo profilo psicologico, dalla propensione ad immedesimarsi nella presunta vittima o nel probabile carnefice, ed animata dalla cieca fede in una verità, qualsiasi essa sia.
A questo punto, ha poca importanza quale sia il verdetto, in assenza di prove incontrovertibili, il giudizio si forma, quale frutto di congetture e di ipotesi costruite sulla base di suggestioni ed immaginazioni soggettive, nella mente di qualcuno che è chiamato a decidere della vita dell’imputato.
In dubio pro reo,il vecchio brocardo latino, assunto dalle moderne legislazioni garantiste a principio dominante nella determinazione di colpevolezza nei procedimenti penali, lascia comunque aperta la strada a supposizioni di segno contrario.
Il film tiene desta l’attenzione fino alla fine e coinvolge non soltanto perché indirettamente si incentra su un tema di scottante attualità basandosi su di un processo per un possibile femminicidio, ma anche per l’ottima interpretazione dei due protagonisti ed in particolare di Philippe Uchan nella parte dell’avvocato difensore.
Lo sciovinismo d’oltralpe traspare in filigrana nei titoli di coda in cui scorrono didascalie che riportano il numero delle persone che ogni anno scompaiono in Francia senza spiegazione, il che dovrebbe rassicurare lo spettatore sulla correttezza della verità processuale raggiunta e sul buon funzionamento della giustizia, lasciando, invece, scettici noi che cinicamente siamo portati piuttosto a pensare che si tratti dell’ennesimo caso di malagiustizia.
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mcpask
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lunedì 23 novembre 2020
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la cucina no
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La storia vera (e dagli!) di un caso di cronaca sfociato in un lungo iter giudiziario e di una convinzione fondamentalmente “di pancia” che finisce per diventare una ossessione.
Il tema del film a ben guardare non è solo come sia facile far inceppare il meccanismo della giustizia o quale sia il potere della suggestione ma anche quanto si possa essere disposti a rischiare in prima persona in nome di un ideale, di un’idea o semplicemente di una sensazione.
Nello specifico non è troppo plausibile che una donna sacrifichi lavoro, cucina e quasi la vita per un qualcosa che non la coinvolge se non indirettamente. Probabilmente se ne sono resi conto anche gli autori visto che a fine film si premurano di avvisarci che il personaggio della cuoca è inventato.
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La storia vera (e dagli!) di un caso di cronaca sfociato in un lungo iter giudiziario e di una convinzione fondamentalmente “di pancia” che finisce per diventare una ossessione.
Il tema del film a ben guardare non è solo come sia facile far inceppare il meccanismo della giustizia o quale sia il potere della suggestione ma anche quanto si possa essere disposti a rischiare in prima persona in nome di un ideale, di un’idea o semplicemente di una sensazione.
Nello specifico non è troppo plausibile che una donna sacrifichi lavoro, cucina e quasi la vita per un qualcosa che non la coinvolge se non indirettamente. Probabilmente se ne sono resi conto anche gli autori visto che a fine film si premurano di avvisarci che il personaggio della cuoca è inventato.
Per il resto il film ha il merito di riuscire a non risultare (troppo) noioso, cosa non facile trattandosi di un terzo grado di giudizio incentrato quasi interamente su tonnellate di intercettazioni (ma dove stavano queste intercettazioni durante i primi due gradi?).
Ottima interpretazione un po’ di tutti, regia misurata il tanto necessario per non risultare invadente.
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clod
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giovedì 27 agosto 2020
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un gran bel film, finalmente!
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sopratutto grande lavoro di sceneggiatura, che con un pretesto narrativo efficace (l'ossessione della protagonista) coinvolge e veicola il racconto di un reale processo indiziario.
Regia asciutta e molto concentrata sulla vicenda e una prova attoriale di grande professionalità.
Un esordiente da seguire, se con la prima prova raggiunge un livello che i più consumati mestieranti non hanno mai raggiunto con un'intera carriera alle spalle...
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