Il bene mio |
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Un film di Pippo Mezzapesa.
Con Sergio Rubini, Sonya Mellah, Dino Abbrescia, Francesco De Vito.
continua»
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 94 min.
- Italia 2018.
- Altre Storie
uscita giovedì 4 ottobre 2018.
MYMONETRO
Il bene mio
valutazione media:
3,18
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Poesia e nostalgia non bastano a fare buon cinemadi MicheleCameroFeedback: 5559 | altri commenti e recensioni di MicheleCamero |
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mercoledì 10 ottobre 2018 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
A seguito di un terremoto che ha provocato morti anche nel fabbricato che ospitava la Scuola Elementare, il paese di Provvidenza viene abbandonato per essere ricostruito altrove. Resiste caparbiamente solo un abitante, Elia, cui presta volto sofferente e corpo sgangherato Sergio Rubini, il quale per essere salvaguardato, vi deve essere allontanato a cura del Sindaco, suo cognato. Elia vive nel ricordo della moglie deceduta all’interno della scuola dove insegnava e forse anche nel rimorso di non essere stato presente in paese al momento del sisma perché fuori con un suo amico titolare di una agenzia viaggi. La sua solitudine viene interrotta solo dalle visite di questo amico che di tanto in tanto porta al vecchio paese comitive di turisti stranieri (frecciatina al cosiddetto turismo del macabro) ed una ex collega della moglie che gli porta il necessario a vivere la quale in cuor suo spera di convincerlo a trasferirsi nelle nuove case per unire la sua solitudine sofferta a quella dolorosa di Elia. Ma c’è improvvisamente un’altra presenza misteriosa che Elia prima sente e poi scopre per essere quella di una ragazza magrebina in viaggio verso la Francia dove vuole ricongiungersi con la propria gemella. Elia dopo una iniziale avversione l’accoglierà e la aiuterà nel suo intento. Un passaggio dunque al tema dell’accoglienza aperta e disponibile a contrasto di quanto non si farebbe da noi ultimamente. La parte migliore del film sta nel lavoro testardo e continuo nel quale ostinatamente Elia si è impegnato in solitudine ed in segreto e che consiste nella raccolta e nella conservazione in un unico luogo, quasi un museo della memoria, degli oggetti abbandonati che rappresentano per gli abitanti del paese il ricordo, la memoria delle loro storie individuali e della storia di tutti. Dunque un richiamo al rapporto tra ciò che siamo e che siamo diventati ed i luoghi dai quali veniamo. In definitiva una fiaba, una metafora che sfiora in alcuni tratti la poesia, un film per certi versi teneramente visionario, ma che ci è parso appesantito da alcuni temi di militanza politica (ad esempio quello dell’accoglienza) quasi a voler marcare su quel fronte una propria presenza in un momento non propizio per certe prese di posizione. Non credo che questa strada di apparente candore bucolico, di visionarietà poetica, di sorrisi tristi e nostalgici di una vita che non c’è più e che probabilmente gli stessi autori hanno conosciuto non direttamente ma solo attraverso i racconti altri, sulla quale si sono incamminati certi cineasti pugliesi (il riferimento è anche a Winspeare ed al suo La vita in Comune ad esempio) possa portarli lontano. Ci sono tante questioni e tante storie in questo mondo che meriterebbero attenzione. Non si può fare cinema solo pensando alla poesia o a compiacere i propri circoli culturali e familiari.
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