felicity
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sabato 22 luglio 2023
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disturbante ed inquietante
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Aniara - Rotta su Marte è una bella sorpresa a fronte di un budget visibilmente ridotto. Certo il quadro dell’umanità che ne esce è pessimista e piuttosto deprimente, ma il film riesce a supportare questa visione con una vicenda che attraverso la fantascienza riesce a parlare a fondo della natura umana.
Nel film grande importanza è data al rapporto tra libertà, arte e coscienza, a quanto chi comanda cerchi sempre di limitare tale connessione, quanto gli spiriti liberi e tolleranti siano pericolosi per chi usa la paura e la menzogna per conservare il potere. Un potere che in Aniara è maschile, patriarcale, sessista, un potere che fa di tutto per sopravvivere, per non perdere la propria posizione, confondendo la propria figura con la comunità, creando simbiosi.
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Aniara - Rotta su Marte è una bella sorpresa a fronte di un budget visibilmente ridotto. Certo il quadro dell’umanità che ne esce è pessimista e piuttosto deprimente, ma il film riesce a supportare questa visione con una vicenda che attraverso la fantascienza riesce a parlare a fondo della natura umana.
Nel film grande importanza è data al rapporto tra libertà, arte e coscienza, a quanto chi comanda cerchi sempre di limitare tale connessione, quanto gli spiriti liberi e tolleranti siano pericolosi per chi usa la paura e la menzogna per conservare il potere. Un potere che in Aniara è maschile, patriarcale, sessista, un potere che fa di tutto per sopravvivere, per non perdere la propria posizione, confondendo la propria figura con la comunità, creando simbiosi.
La sceneggiatura è di assoluto livello, fa della protagonista e di chi le sta attorno umanissime e fallaci figure perse in uno spazio ostile, senza vita, in cui l’essere umano è costretto ad accettare la propria insignificante essenza.
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figliounico
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domenica 5 giugno 2022
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tra odissea nello spazio e star trek
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Un poeta svilito da una rappresentazione in stile hollywoodiano e alla fine Aniara è un Passengers in versione svedese. Il dramma corale si sostituisce a quello della coppia tradizionale, il collettivo all’individuale, l’amore saffico all’eterosessuale. Per la smania di mimare gli americani, tuttavia, gli autori, che avrebbero dovuto far riferimento al connazionale Bergman piuttosto che guardare a Spaihts, perdono l’occasione di tradurre adeguatamente in linguaggio cinematografico alto l’omonimo poema di Martinson, della cui opera poco rimane e forse soltanto qualcosa della sua tragica fine si riflette in quella di un personaggio, come fosse una risonanza della disperazione del poeta dinanzi al mistero della vita, che infine dovrebbe cogliere ogni uomo se soltanto pensasse con lucida follia alla propria condizione esistenziale.
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Un poeta svilito da una rappresentazione in stile hollywoodiano e alla fine Aniara è un Passengers in versione svedese. Il dramma corale si sostituisce a quello della coppia tradizionale, il collettivo all’individuale, l’amore saffico all’eterosessuale. Per la smania di mimare gli americani, tuttavia, gli autori, che avrebbero dovuto far riferimento al connazionale Bergman piuttosto che guardare a Spaihts, perdono l’occasione di tradurre adeguatamente in linguaggio cinematografico alto l’omonimo poema di Martinson, della cui opera poco rimane e forse soltanto qualcosa della sua tragica fine si riflette in quella di un personaggio, come fosse una risonanza della disperazione del poeta dinanzi al mistero della vita, che infine dovrebbe cogliere ogni uomo se soltanto pensasse con lucida follia alla propria condizione esistenziale. La suggestione dell’astronave come metafora del mondo si perde nel descrittivismo pedissequo delle relazioni sociali a bordo, fino a giungere alla pornografia esplicita, il computer che materializza come Solaris i sogni dei crocieristi spaziali e che echeggia l’HAL 9000 di Odissea nello spazio in versione femminile, da spirito della grande madre terra, reincarnatosi in circuiti quantistici, si trasforma in un giocattolo rotto che la protagonista vorrebbe aggiustare. La sequenza finale o meglio gli ultimi fotogrammi riscattano in parte il film, che, purtroppo, resta un prodotto ambiguo, nel complesso un tentativo mal riuscito di coniugare, per mere esigenze di cassetta o per mancanza della grande arte di un Kubrick o di un Tarkovskij, i temi della fantascienza esistenziale con il puro spettacolo dei film di intrattenimento alla Star Trek.
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sara
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martedì 10 novembre 2020
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fatevi una passeggiata
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Se siete di buonumore non rovinatevelo guardando questo film. Se siete di cattivo umore non peggioratevelo: fatevi, piuttosto, una bella passeggiata al sole; il movimento stimola le endorfine e migliora lo stato d'animo. Questa lagna, invece, rischia di portarvi in piena depressione. È un tipico film 'ntimista come dicono gli 'ntellettuali. Ossia 'na palla inutilmente piagnucolosa con pretese filosofiche wanna-be. Non ho letto il "poema" da cui è tratto ma, dopo la visione, di certo non me n'è venuta voglia. Sorvolo sull'accuratezza "scientifica" perchè, evidentemente, non era lo scopo nè dello scrittore nè dei cineasti ma sconsiglio vivamente opere dove il messaggio sotteso è: "suicidatevi, tanto morirete tutti ugualmente".
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Se siete di buonumore non rovinatevelo guardando questo film. Se siete di cattivo umore non peggioratevelo: fatevi, piuttosto, una bella passeggiata al sole; il movimento stimola le endorfine e migliora lo stato d'animo. Questa lagna, invece, rischia di portarvi in piena depressione. È un tipico film 'ntimista come dicono gli 'ntellettuali. Ossia 'na palla inutilmente piagnucolosa con pretese filosofiche wanna-be. Non ho letto il "poema" da cui è tratto ma, dopo la visione, di certo non me n'è venuta voglia. Sorvolo sull'accuratezza "scientifica" perchè, evidentemente, non era lo scopo nè dello scrittore nè dei cineasti ma sconsiglio vivamente opere dove il messaggio sotteso è: "suicidatevi, tanto morirete tutti ugualmente". Situazioni e personaggi totalmente astratti, comportamenti rarefatti anche nelle condizioni più tragiche. Essendo una lunghissima metafora il film, in realtà, vi racconta che la vita è insensata, il genere umano pessimo, lo scopo finale sconosciuto e, comunque, inutile e che siamo tutti alla deriva con la morte che ci attende lungo il percorso. La flebile speranza di un soccorso (la sonda) si trasforma in un enigma criptico che mostra che è totalmente inutile contare su aiuti esterni (ma nemmeno interni, se è per quello). E anche le gioie della vita sono effimere e tendenzialmente crudeli, dato che lasciano il problema di fondo irrisolto. In questo brodo opprimente, forse, ci si può identificare se si è nati e cresciuti nella penisola scandinava, non certo in quella mediterranea. Questo crepuscolo può andar bene per gli iperborei ma noialtri, qui, abbiamo l'olio di oliva, i pomodori e le tovaglie a quadrettoni; loro lo stoccafisso, le renne e tre mesi di tramonti all'una del pomeriggio. Capisco che lassù la voglia di suicidarsi sia forte, ma noi non abbiamo nessun motivo per farlo (almeno, non i loro motivi). Per cui, se volete un noioso ritratto della società svedese potete anche sorbirvi questa nenia a vostro rischio e pericolo ma se, invece, volete un amichevole suggerimento, andate con gli amici a farvi una pizza e una birra all'aperto.
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ashtray_bliss
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giovedì 8 agosto 2019
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abbandonate ogni speranza o voi che entrate.
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Questa frase potrebbe benissimo sintetizzare la trama del film Aniara, un prodotto tipico del cinema indipendente nordico, fedele per estetica e contenuto alle opere migliori del panorama scandinavo, guidato da una forte vena nichilista e un'atmosfera asfissiante e soffocante almeno quanto quella evocata da High Life di Claire Denis. E sono tante le omologie tra questi due lungometraggi, che mettono in scena un'umanità devastata e condannata a un eterno errare, logorata dall'interno, consumata dagli istinti primordiali insiti nella nostra specie, i quali prendono il sopravvento non più per garantire la sopravvivenza e la conservazione del genere umano ma per disintegrarlo e sfibrare ogni aspetto socialmente evoluto che ci contraddistingue.
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Questa frase potrebbe benissimo sintetizzare la trama del film Aniara, un prodotto tipico del cinema indipendente nordico, fedele per estetica e contenuto alle opere migliori del panorama scandinavo, guidato da una forte vena nichilista e un'atmosfera asfissiante e soffocante almeno quanto quella evocata da High Life di Claire Denis. E sono tante le omologie tra questi due lungometraggi, che mettono in scena un'umanità devastata e condannata a un eterno errare, logorata dall'interno, consumata dagli istinti primordiali insiti nella nostra specie, i quali prendono il sopravvento non più per garantire la sopravvivenza e la conservazione del genere umano ma per disintegrarlo e sfibrare ogni aspetto socialmente evoluto che ci contraddistingue. La scienza, la cultura, l'arte, i sentimenti si riducono a essere semplicemente degli specchi per le allodole, degli idoli nefasti e vacui di un passato irripetibile e irraggiungibile. E quando la società inizia a crollare, dopo la dissolutezza e la perdita di valori morali e di scopi elevati, prevale solo l'impulso dell'eros e della morte come osservò Freud, nel tentativo di sopperire a un'esistenza segnata.
Perchè Aniara, questo il nome della navicella che a sua volta affonda le radici etimologiche nella parola greca che significa tedioso, prosaico o monotono, e ispirato a una lunga poesia di un nobelista (per la letteratura) svedese, costituisce la materializzazione di tutte le più recondite paure dell'umanità. Quella di imbarcarsi per un viaggio senza mai poter raggiungere la propria destinazione, e senza possibilità di tornare indietro, di resettare i comandi e rimettersi in traiettoria. La consapevolezza di andare in contro a morte certa, all'estinzione inevitabile di questa umanità già da tempo perduta e doppiamente condannata dal Fato a un incommensurabile sradicamento, sia dalla Terra, devastata dalle catastrofi prodotte dall'avidità, e dagli altri pianeti disposti ad accogliere questa diaspora di superstiti. Mentre lo Spazio la inghiottisce propagandola eternamente nel suo profondo, nell'oscurità di un viaggio interstellare senza fine. Una condanna pesante da sopportare e che inizialmente verrà mistificata dai comandanti di Aniara, facendo vivere gli ignari passeggeri con delle fragili e infondate speranze di salvezza, di raggiungimento di una terra promessa dove ricominciare da capo quello che è stato sospeso e interrotto sul nostro pianeta madre, sulla nostra Gaia.
Una speranza che incarna perfettamente la protagonista di quest'opera intima, profonda e disperatamente nichilista attraverso il volto della tenace e anonima protagonista (Emilie Jonsson) la quale va contro il clima di crescente angoscia, preoccupazione e desolazione mettendo in funzione la prodigiosa MiMa, un'intelligenza artificiale in grado di ricreare nella mente dei suoi visitatori gli scenari e ambienti tipici della Terra, tra cui laghi, mari, boschi, ricollegando -seppur in modo plasmatico-gli uomini alla loro casa, alla Natura, quella stessa natura che hanno contribuito a distruggere e uccidere. Frammenti di immagini, suoni, sensazioni che MiMa riproduce fedelmente basandosi sui ricordi e sulla memoria degli individui ma che gradualmente si sovrappongono alle immagini di morte, distruzione, devastazione che gli uomini si portano dietro e che condividono inevitabilmente con MiMa fino al momento in cui anch'essa, sopraffatta dal dolore (in qualità di IA senziente) si lascia andare. Persa anche quest'ancora di plasmatica e ingannevole speranza di fugace ritorno a una normalità da tempo andata, la popolazione di Aniara inizia a sprofondare verso l'abisso più nero, metaforicamente e letteralmente parlando, correndo in contro a un destino di dissolutezza, una deriva morale profonda e irreversibile come il viaggio verso l'ignoto e la morte certa cui sono destinati.
Si ritorna quindi a parlare della teoria di S. Freud e del principio del piacere che prenderà il sopravvento mentre i meccanismi socialmente imposti si allentano. Le orgie, anche di carattere mistico o para religioso sostituiscono la corsa al consumismo, mentre i negozi abbassano definitivamente le serrande e la ricerca del piacere sembra in grado di placare le ansie e le angosce dei passeggeri. E quando anche l'eros e la ricerca di gratificazione edonistica giunge al termine e appare come un vano tentativo di colmare un vuoto inconciliabile con la natura umana, viene prontamente sostituito dall'istinto di morte. Le persone, passati ormai anni dall'incidente che portò Aniara fuori rotta, iniziano a dare evidenti segni di stress e squilibri psicologici che li portano a suicidarsi o uccidere persino i propri figli. La morte costituisce ormai l'unica via di salvezza, assumendo ruolo salvifico in grado di porre fine a questa eterna condanna, a questa lenta agonia che macera e disgrega quel barlume d'umanità rimasto acceso all'interno della navicella.
La salvezza, come in High Life, non è garantita, nè da dentro nè tanto meno da fuori, e noi assistiamo inermi ed impotenti come i passeggeri a bordo a questo continuo degenerarsi e sfibrarsi del tessuto sociale che lascia il posto soltanto alla morte o alla pazzia.
Aniara, prende spunto dall'omonima poesia del premio Nobel svedese Martinsson e consiste in un'opera fortemente pessimista dove la filosfia, l'esistenzialismo e la fantascienza si incontrano e confluiscono creando un'opera intrigante e visivamente interessante in grado di porre l'attenzione su vari aspetti e problemi della nostra società quali il consumismo illogico e immotivato, la distruzione, ormai irreversibile, del pianeta Terra, il progetto molto concreto di colonizzare nuovi pianeti tra cui Marte e creare una nuova casa, un nuovo habitat per l'umanità, ma anche trattare quel lato intrinsecamente autolesionistico dell'uomo che lo porta a distruggere tutto ciò che crea e che lo circonda. Ma è anche una vivida riflessione su dove vogliamo dirigerci come umanità, dove vogliamo andare quando in realtà tutti noi siamo come i passeggeri di Aniara, alla deriva sia morale che fisica, abbagliati da questo falso bisogno di consumo il quale non ci sazierà mai completamente, ci porterà a desiderare sempre di più, subito, ora. Il consumismo ci ha distolto dai veri piaceri della vita e dagli obiettivi nobili che dovrebbero nutrire e arricchire il nostro spirito e portarci alla scoperta di altri pianeti in nome della scienza e del progresso tecnologico non come bisogno sempre più urgente di trarre in salvo un'umanità corrotta e viziosa, al centro della quale vi è solo uno smisurato ego e gli impulsi primordiali di gratificazione e soddisfazione puramente personale e mai collettiva.
Adottando un registro tipico dei film nordici, e strutturato su più capitoli, Aniara opta per una narrazione lineare e partendo da un poema distopico propone un'atmosfera ansiogena, cupa, ossessiva, nichilista a servizio di un film che privilegia l'introspezione e i dialoghi all'azione, ai colpi di scena o alla suspence. L'impossibilità di raggiungere la propria destinazione e di essere condannati ad una esistenza priva di un vero e proprio scopo porta alla decomposizione sociale e personale, alla progressiva perdita dei valori, della fede, della speranza. Idea tanto interessante quanto inquietante visivamente tradotta in modo plausibile e minimalista che non perde il suo valore espressivo. E se in High Life i passeggeri del vascello 7 avevano almeno quel giardino a ricordagli la Terra, a salvarli dal disorientamento e disgregamento psicoemotivo, in Aniara c'è solo MiMa che rievoca i ricordi legati alla Natura ma quando smette di funzionare i suoi passeggeri sembrano doppiamente condannati all'abisso, esistenziale e fisico, dal quale non vi è ritorno, non vi è salvezza e nemmeno speranza.
Opera solida e precisa, sorretta da una brava interprete protagonista e due registi con le idee ben chiare risulta affascinante e inquietante mentre trascina all'interno di questo inesorabile viaggio interstellare dove domina il buio e l'oscurità assoluta, fisica o meno che essa sia. Voto: 3,5/5.
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gianleo67
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mercoledì 19 giugno 2019
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da greta thunberg ad oumuamua...
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Il trasbordo su Marte di una umanità in fuga dagli sconvolgimenti climatici della Terra, subisce una deviazione imprevista quando lo scampato impatto dell'astronavave Aniara con un asteroide finisce per metterla definitivamente fuori rotta. La prospettiva dei passeggeri si riduce quindi ad una inesorabile deriva, fisica e morale, attraverso l'immensità degli spazi interstellari e quella dell'astronave ad un viaggio che continuerà ben oltre l'estinzione della sua insignificante popolazione. Da Greta Thunberg ad Oumuamua, passando attraverso le nascenti prospettive della colonizzazione commerciale del nostro vicinato planetario sono i facili approdi di una rivisitazione cinematografica (in principio fu un tv-movie svedese del 1960) del poema distopico del premio nobel Harry Martinson, nel quale le pulsioni nichiliste di una umanità divisa tra l'omologazione consumista e l'apocalisse nucleare sono trasfigurate in una odissea spaziale verso nessun dove, nel confronto impietoso tra la pochezza tecnologica dell'uomo e l'immensità delle traversate comsiche, tra le limitate prospettive temporali dell'esistenza umana e la dimensione incommensurabile dei tempi astronomici.
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Il trasbordo su Marte di una umanità in fuga dagli sconvolgimenti climatici della Terra, subisce una deviazione imprevista quando lo scampato impatto dell'astronavave Aniara con un asteroide finisce per metterla definitivamente fuori rotta. La prospettiva dei passeggeri si riduce quindi ad una inesorabile deriva, fisica e morale, attraverso l'immensità degli spazi interstellari e quella dell'astronave ad un viaggio che continuerà ben oltre l'estinzione della sua insignificante popolazione. Da Greta Thunberg ad Oumuamua, passando attraverso le nascenti prospettive della colonizzazione commerciale del nostro vicinato planetario sono i facili approdi di una rivisitazione cinematografica (in principio fu un tv-movie svedese del 1960) del poema distopico del premio nobel Harry Martinson, nel quale le pulsioni nichiliste di una umanità divisa tra l'omologazione consumista e l'apocalisse nucleare sono trasfigurate in una odissea spaziale verso nessun dove, nel confronto impietoso tra la pochezza tecnologica dell'uomo e l'immensità delle traversate comsiche, tra le limitate prospettive temporali dell'esistenza umana e la dimensione incommensurabile dei tempi astronomici. Assecondando la trama e lo spirito dell'opera originaria, l'esordio nel lungo della svedese Pella Kagerman limita le incursioni immaginifiche nei risvolti tecnologici del futuro prossimo venturo (si parla solo di combustibile nucleare espulso, di calcolo tensoriale avanzato, di gravità artificiale e di un dispositivo olografico-emozionale), per concentrarsi sulle dinamiche sociali che conducono un immenso centro commerciale che fa la spola tra la Terra e Marte alle progressive degenerazioni di un futuribile condominio ballardiano (High Rise - 1975), tra le spinte autoritariste del comandante in capo, le gestione del consenso basato sulla menzogna e la mistificazione, il progressivo allentamento dei freni inibitori e la resilienza psicologica di una società allo sbando che cerca di arginare il terrore escatologico dello spazio vuoto con l'impegno professionale o la mistica religiosa. Operazione per la verità che non brilla per originalità o visionarietà, limitandosi a scandire la progressione temporale del viaggio verso l'ignoto attraverso i capitoli della evoluzione pluriennale di una società sempre più chiusa in sé stessa ed a seguire le peripezie sentimental-sessuali di una sosia svedese della nostra Isabella Ragonese (una convincente Emelie Jonsson), puntando piuttosto sul progressivo disfacimento fisico e morale che vince qualunque resistenza umana (quando tutto è perduto e persino l'utima speme di un impenetrabile manufatto raccattato dallo spazio in cerca di combustibile sembra svanire, non resta che il suicidio o la fornicazione) e scagliando i rimasugli di una civiltà che ritorna alla polvere delle sue origini cosmiche trasportata dall'inerte visitatore interstellare che dopo un viaggio di 1276 anni luce incrocia l'orbita di un azzurro mondo alieno in attesa, lassù da qualche parte nel cielo della Lira.
...e la Terra, ormai ridotta ad un globo senza vita, continuerà a descrivere nello spazio le sue impassibili orbite.
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