felicity
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lunedì 29 luglio 2024
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una parabola di crescita
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Charley Thompson è la storia drammatica di un orfano sperduto e il suo viaggio tra stato di Washington, Oregon e Wyoming, ma non appartengono all’immaginario del western o del road movie, nonostante la fuga e la vastità degli spazi attraversati.
L’immersione nell’ambiente delle corse di cavalli, nella desolazione del deserto, nella povertà estrema degli homeless rappresentano per il protagoniste le tappe di una discesa nell’abisso che potrebbe sfociare nel martirio.
La parabola di Charlie è sempre a un passo dal patetico, a cominciare dalla relazione con Pete.
Haigh, però, non dimentica mai la centralità della figura nell’inquadratura, non perde l’attenzione per i corpi in quanto tramite dell’emozione e mai semplice presenza da osservare e compatire.
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Charley Thompson è la storia drammatica di un orfano sperduto e il suo viaggio tra stato di Washington, Oregon e Wyoming, ma non appartengono all’immaginario del western o del road movie, nonostante la fuga e la vastità degli spazi attraversati.
L’immersione nell’ambiente delle corse di cavalli, nella desolazione del deserto, nella povertà estrema degli homeless rappresentano per il protagoniste le tappe di una discesa nell’abisso che potrebbe sfociare nel martirio.
La parabola di Charlie è sempre a un passo dal patetico, a cominciare dalla relazione con Pete.
Haigh, però, non dimentica mai la centralità della figura nell’inquadratura, non perde l’attenzione per i corpi in quanto tramite dell’emozione e mai semplice presenza da osservare e compatire. Al contrario, grazie a piani spesso più lunghe del necessario, sono i personaggi stessi a guardarsi, cercarsi e avvicinarsi.
In scena ci sono uomini e donne che costruiscono semplice relazioni di vicinanza e affetto, che nell’incontro reciproco sviluppano un’idea di familiarità.
L’umanità sembra rinunciare alle proprie categorie e alle proprie funzioni per offrire semplicemente vicinanza.
Così la ‘passione’ del giovane Charley non diventa mai un’epopea malinconica, decadente e debordante. Diventa invece un viaggio nell’ignoto, nell’oscuro della notte, una sfida al termine della quale il ragazzo deve imparare a non appoggiarsi più a nessuno.
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aurora
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lunedì 1 giugno 2020
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non mi è piaciuto
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Questo film mi ha fatto schifo scena dopo scena, a peggiorare. Non ne consiglio la visione. Ho sprecato una sera a guardarlo.
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fabio
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venerdì 8 marzo 2019
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l'america abbietta
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Il primo tempo è una lenta e un po' noiosa preparazione alla svolta che si avrà nel secondo tempo, decisamente più interessante.
Seguendo la parabola in discesa e la fuga di un'adolescente il film getta un sguardo sull'America profonda, quella della provincia: abbietta e senza speranza che ricordava Calvino nelle sue lezioni americane.
Vengono in mente i racconti di Fante o Steinbeck; povertà, emarginazione sociale, disadattamento. Il tono generale è alquanto deprimente anche se il finale sembra voler lasciare uno spiraglio alla speranza di redenzione, di un riscatto umano.
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cardclau
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domenica 15 aprile 2018
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tutto bene, ma se non hai soldi
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Negli ultimi tempi abbiamo avuto la possibilità di vedere diversi film sull'altra faccia dell'america. Quella della povertà, della mancanza di opportunità, dei falliti, dell'assenza di una vera rete familiare, della malattia mentale, dello strapotere dello status quo, ma anche della solidarietà. Detroit, Tre manifesti ad Ebing, Missouri, Un sogno chiamato Florida, ..., ne sono un esempio. Charley Thompson racconta la storia di un adolescente, che affronta un viaggio attraverso gli Stati Uniti, meno dotato di Ulisse nell'Odissea perché senza compagni, alla ricerca dell'unico riferimento affettivo che gli è rimasto, sua zia Martha, dopo la morte del padre.
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Negli ultimi tempi abbiamo avuto la possibilità di vedere diversi film sull'altra faccia dell'america. Quella della povertà, della mancanza di opportunità, dei falliti, dell'assenza di una vera rete familiare, della malattia mentale, dello strapotere dello status quo, ma anche della solidarietà. Detroit, Tre manifesti ad Ebing, Missouri, Un sogno chiamato Florida, ..., ne sono un esempio. Charley Thompson racconta la storia di un adolescente, che affronta un viaggio attraverso gli Stati Uniti, meno dotato di Ulisse nell'Odissea perché senza compagni, alla ricerca dell'unico riferimento affettivo che gli è rimasto, sua zia Martha, dopo la morte del padre. Charley ha vissuto un terribile svantaggio nella sua infanzia, è stato abbandonato totalmente dalla madre che se ne è andata facendo perdere le tracce, e un incredibile vantaggio, perché suo padre l'ha sempre, e veramente, voluto con se, malgrado le sue "imperfezioni", senza per questo vituperarne la madre e il suo abbandono, anzi cercando di far comprendere a Charley che sua madre era una donna particolarmente "irrequieta". Charley quindi non ne viene fuori come uno psicopatico anaffettivo, ma come un bell'adolescente, per quanto incerto per l'assenza o precarietà di figure genitoriali, che cerca di darsi da fare, anche facendo da padre al padre, sebbene non possa abbandonarsi all'affetto perché deprivato. Sempre con l'idea che sia di troppo, di disturbo, che non sia voluto. Come ogni Odissea che si rispetti, ne succedono di tutti i colori. Ma la fortuna vuole che parta bene, trova un lavoretto da un allevatore di cavalli da corsa, e prendendosi cura di un cavallo, riesce a prendersi cura di se. Col quale, in pericolo perché non essendo più produttivo malgrado la spemitura farmacologica e non, affronta il viaggio. Che alla fine, giunge alla sua Itaca.
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angeloumana
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venerdì 13 aprile 2018
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la lunga strada di charley
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Quando è assente l'affetto di esseri umani, la loro attenzione, quando gli adulti sono scorbutici e senza scrupoli, allora l'innato amore per gli animali diventa qualcosa di più che un semplice prendersene cura. Così accade a Charley, 15 anni quasi 16, vive solo col papà, suo buon amico ma di comportamenti “adolescenti” e troppo distratto da amicizie femminili che si succedono in casa. La mamma Nancy se ne andò appena dopo la nascita di Charley, la zia Maggie non la vede da quando aveva 12 anni, a lei il ragazzo spesso pensa e ne custodisce la foto che guarda spesso.
Dopo la morte violenta del padre il miglior amico di Charley diventa “Lean on Pete”, un cavallo da corsa ormai esausto e sfruttato dal suo proprietario, il vecchio Del (Steve Buscemi): è destinato alla vendita e poi al macello.
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Quando è assente l'affetto di esseri umani, la loro attenzione, quando gli adulti sono scorbutici e senza scrupoli, allora l'innato amore per gli animali diventa qualcosa di più che un semplice prendersene cura. Così accade a Charley, 15 anni quasi 16, vive solo col papà, suo buon amico ma di comportamenti “adolescenti” e troppo distratto da amicizie femminili che si succedono in casa. La mamma Nancy se ne andò appena dopo la nascita di Charley, la zia Maggie non la vede da quando aveva 12 anni, a lei il ragazzo spesso pensa e ne custodisce la foto che guarda spesso.
Dopo la morte violenta del padre il miglior amico di Charley diventa “Lean on Pete”, un cavallo da corsa ormai esausto e sfruttato dal suo proprietario, il vecchio Del (Steve Buscemi): è destinato alla vendita e poi al macello. Il nome dell'animale potrebbe significare qualcuno su cui contare o a cui affidarsi (lean on). Al ragazzo non basta la giustificazione che gli dà una giovane fantina, la quasi amica Bonnie (Chloé Sevigny), è solo un cavallo. Charley lo ruba per evitargli la brutta sorte ed attraversa con lui lande desolate e deserti, verso il Wyoming dove suppone che la zia Maggie viva. Questo vagare in solitudine, con la sola compagnia del cavallo, l'unico a cui parla volentieri (a te lo posso dire) e confida i suoi segreti anche piangendo, a lui spesso dice (e nel contempo a sé stesso) andrà tutto bene, rimanda un poco al ragazzo di Into the Wild, anche per i contatti umani che trova per strada e coi quali sembrerebbe potersi fermare. Diventa però anche un viaggio nell'America profonda, un paese tanto evoluto ma con sacche terribili di povertà e violenza, famiglie sconnesse, un paese libero dove sei libero di fuggire, di essere ignorato per giorni e chilometri.
E Charley scappa sempre, pensa al Wyoming, è un ragazzo delicato e rispettoso ma quel viaggio sembra educarlo, un'educazione “stradale” che lo rende violento e più duro a sua volta, impara una sorta di lotta per la sopravvivenza. Raggiungerà il Wyoming e ritroverà la zia Maggie che lo accoglie affettuosa: è disabituato ad affetti, dopo le perdite subite (anche quella del cavallo), dopo tutta l'estraneità vissuta, si guarda intorno spaesato, come se quel posto “caldo” potesse non essere vero, le dice Non me la prendo se non mi vorrai più accanto, me la caverò. Guarirà dagli incubi che sogna, quando faremo delle cose belle, lo ha rassicurato la zia. Un film niente male, tratto dall'omonimo romanzo di Willy Vlautin, che contiene l'epigrafe di John Steinbeck sulle persone capaci di rialzare la testa e guardare avanti. Applausi al regista Andrew Haigh che lo ha scritto e diretto, molto capace di far esprimere ai suoi personaggi la loro psicologia interiore restando neutrale, e che guidò 'nientepocodimeno' che Charlotte Rampling e Tom Courtenay nel film 45 Anni, proprio gli anni che Haigh ha nel 2018.
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marta73
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giovedì 5 aprile 2018
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banale, lungo, perdibile
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Potrebbe essere un film semplice ma in realtà è semplicistico, potrebbe essere una lunga storia d'amore e liberazione ma è una storia lunga la cui uncica liberazione avviene dopo oltre due ore di film.
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ilcirro
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lunedì 4 settembre 2017
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la lunga strada verso casa
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Un ragazzo e un cavallo a piedi nel deserto verso il Wyoming. Il ragazzo è in fuga dalla dissoluzione della sua famiglia, il cavallo dal destino che attende gli animali non più abili alla corsa. Un rapporto sottile ma intenso, fugace come il vento, ma in grado di aprire il cuore a una non facile speranza. Film dal passo lento, pieno di paesaggi silenziosi ma anche di tanta dolente solitudine. L'ennesima favola dal cuore del Midwest americano da dove sono spariti i legami forti e dove resta solo un grande vuoto.
Bel film, ma il finale giunge liberatorio (anche per lo spettatore).
Tre stelle.
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peergynt
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lunedì 4 settembre 2017
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dolente fuga per la vita
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Road movie dickensiano, che vede come protagonista un orfano (abbandonato dalla madre da piccolo, assiste impotente all'omicidio del padre) che lavora come aiutante di un allevatore di cavalli da corsa. E quando viene a sapere che il suo cavallo preferito, Lean on Pete, non essendo più abile alla corsa verrà venduto ai messicani per farne carne da macello, lo ruba e cerca di attraversare il deserto per salvarlo. Storia dolente di un ragazzo pervaso di solitudine che cerca un affetto sicuro e sincero: per questo, non fidandosi degli uomini, si affida al cavallo, trascinandolo in questa impossibile fuga nel deserto, durante la quale gli racconta la sua storia, come fosse un vecchio amico. Film asciutto, non pietoso né lacrimevole, forse fin troppo semplice e lineare, ma capace comunque di regalare momenti di grande sensibilità.
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robert eroica
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venerdì 1 settembre 2017
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patetico
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#Venezia74. LEAN ON PETE e' il film chr disinnesca qualsiasi concetto sulla presunta "politica degli autori". L'inglese Andrew Haigh acclamato per i precedenti WEEKEND e 45 ANNI vola in America e si cimenta con la fuga di un sedicenne e di un cavallo, Pete da Portland al Wyoming dove vorrebbe raggiungere la zia, dopo la morte del padre. Patetismo, bei paesaggi, efficaci bellurie visive. Un protagonista scaltro per far arrivare la storia alla fine e saltare a piedi pari ogni verosimiglianza. E le annotazioni sulla vita di provincia sono insipide e mai efficaci. Avrebbe potuto dirigerlo chiunque, con gli stessi risultati di Andrew Haigh, ormai gia' perso come i suoi protagonisti nella vastita' del territorio cinema.
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