ninoraffa
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lunedì 23 ottobre 2017
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anti grey's anatomy
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Storia di opposti, quest’ultima fatica di Thomas Lilti, ex medico votatosi al cinema senza dimenticare la prima vocazione. Opposti una volta tanto risolti: tra città e campagna, tra oltranzismo terapeutico e morte dignitosa “il Medico di Campagna” non ha dubbi.
Il non più giovane Jean Pierre (François Cluzet) esercita con devozione d’altri tempi l’arte di Ippocrate nel paesino francese in cui è nato; ha un figlio architetto in uno studio internazionale e la moglie a Parigi di cui significativamente non sappiamo altro. Quando gli viene diagnosticato un tumore al cervello la prende senza drammi. Si sottopone alle terapie, ma nasconde la notizia pretendendo che nulla cambi nel suo lavoro, non sappiamo se per stoicismo o rimozione; coraggio e paura, com’è noto, sono facce della stessa medaglia.
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Storia di opposti, quest’ultima fatica di Thomas Lilti, ex medico votatosi al cinema senza dimenticare la prima vocazione. Opposti una volta tanto risolti: tra città e campagna, tra oltranzismo terapeutico e morte dignitosa “il Medico di Campagna” non ha dubbi.
Il non più giovane Jean Pierre (François Cluzet) esercita con devozione d’altri tempi l’arte di Ippocrate nel paesino francese in cui è nato; ha un figlio architetto in uno studio internazionale e la moglie a Parigi di cui significativamente non sappiamo altro. Quando gli viene diagnosticato un tumore al cervello la prende senza drammi. Si sottopone alle terapie, ma nasconde la notizia pretendendo che nulla cambi nel suo lavoro, non sappiamo se per stoicismo o rimozione; coraggio e paura, com’è noto, sono facce della stessa medaglia. Gli viene forzatamente affiancata Nathalie (Marianne Denicourt), una collega neo-laureata quasi quarantenne, già espertissima infermiera. Anche per lei si tratta di una scelta: ignoriamo perché, ma ha proprio voluto quest’incarico disagiato e fuori mano. L’accoglienza che le riserva Jean Pierre oscilla tra la freddezza, l’ostruzionismo e il sabotaggio; anche i pazienti all’inizio non sono da meno nel rifiutarla, un po’ per antica consuetudine col collega, un po’ per diffidenza di genere. Ma la tempra di Nathalie avrà la meglio: non ci vorrà molto prima che la fila delle visite si allunghi dietro la sua porta.
Come nel precedente “Hippocrate”dello stesso autore, anche qui la medicina è occasione propizia per più vasti interrogativi sulla civiltà e l’uomo. Jean Pierre, e presto anche Nathalie, rappresentano le vecchie cure quasi dimenticate, fatte più di ascolto e tempo per i pazienti che di chimica; di parole semplici e non di tecnicismi e macchinari. Medicina senza orario né meteo, che attraversa strade polverose, campi fangosi, fienili, stalle, cani e oche. Pratica umana lenta, silenziosa e affatto spettacolare, anti Grey’s Anatomy et similia, dove una morte familiare nei propri luoghi è preferibile a una ricoverata intubata vita estranea. Parigi con le sue TAC e i policlinici tecnologici è inquadrata da lontano, volutamente grigia e dominata dalla selva dei grattacieli della Defense, quasi come nella distopia fantascientifica di un futuro che preferiremmo evitare.
Thomas Lilti rappresenta comunque le sue preferenze umaniste con stile piano, senza eroi né antieroi, senza retorica né illusioni. In paese c’è un ragazzo autistico che, in una trincea scavata nel giardino, crede di combattere la guerra del 14-18, di cui sa tutto. Stretto tra magri bilanci pubblici e grosse multinazionali, politica debole e schiaccianti interessi privati, urbanizzazione selvaggia e disumanizzante, il mondo che Jean Pierre e Nathalie cercano ancora di coltivare è un po’ come questo ragazzo, rimasto alla sua vecchia guerra mentre ormai se ne combattono altre.
Film quindi dalla materia importante, trattata con delicatezza, spesso per sottintesi e sottrazioni. Rimane però la sensazione che si disperda in tanti quadretti e giri a vuoto, fallendo di lasciare il segno che si propone. Qualche concessione di troppo alla commedia: il nostro medico, capelluto e abbastanza in forma dopo chemio e radio, rende più facile la storia ma abusa della credulità ordinariamente richiesta allo spettatore. Buona rappresentazione della vita semplice, dell’umanità e dei divertimenti schietti della campagna, sebbene anche qui con un’evitabile festa in stile country americano sulle note dell’Hallelujah di Leonard Coen. Forse nella provincia transalpina, come altrove in tutto il mondo, ci si diverte veramente così, ma nel cuore profondo della Francia ci aspetteremmo qualcosa di più locale: una volta tanto, un tocco di genuino sciovinismo gallico sarebbe stato apprezzabile.
L’ottima interpretazione dei due protagonisti tenta di coprire i limiti del film, riuscendo a renderlo comunque godibile. Bravissima Marianne Denicourt in tutte le varietà del suo sorriso: dalla pazienza all’ironia, dall’attesa alla comprensione, dalla compassione all’incoraggiamento, con un velo di malinconia a richiamare il suo passato incognito e lo sconosciuto profondo della sua scelta. E forse, più che nei temi portanti - l’antica incomprensione tra città e campagna, il cortocircuito tra il medico e la sua malattia, il dialogo tra la vita e la morte – “Il Medico di Campagna” dà il meglio proprio in questa figura femminile d’incrollabile ma lieve determinazione.
Nathalie e Jean Pierre andranno oltre la stima professionale che lei ha saputo conquistarsi, fino all’amicizia e forse oltre. L’ultima scena li coglie insieme in auto chiamati d’urgenza. Lei alla guida. Una lunga strada, dritta tra i boschi, si apre davanti.
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zarar
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giovedì 29 dicembre 2016
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una storia autentica
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Film gentile e malinconico, tutto giocato sui mezzi toni, sull’intuìto più che sul detto, sull’implicito più che sull’esplicito, sull’accenno rapido subito sorvolato, sul pudore dei sentimenti, sull’immersione dell’io nel molecolare quotidiano come cifra di vita e consonanza con il proprio orizzonte di riferimento. In tutto questo, uno sdegnoso rifiuto della drammatizzazione. Così, sullo sfondo un po’ chiassoso, un po’ sempliciotto, un po’ piatto di una campagna che non ha nulla di letterario, il medico Jean-Pierre, pur non essendo vecchio, incarna al suo meglio la figura del medico di famiglia alla vecchia maniera, conosciuto da tutti e che di tutti conosce vita morte e miracoli, coscienzioso, indispensabile, sempre disponibile, abbastanza disincantato da vedere le miserie che lo circondano, e tuttavia devotissimo alla sua missione, amato, rispettato e perfettamente integrato nel suo ambiente.
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Film gentile e malinconico, tutto giocato sui mezzi toni, sull’intuìto più che sul detto, sull’implicito più che sull’esplicito, sull’accenno rapido subito sorvolato, sul pudore dei sentimenti, sull’immersione dell’io nel molecolare quotidiano come cifra di vita e consonanza con il proprio orizzonte di riferimento. In tutto questo, uno sdegnoso rifiuto della drammatizzazione. Così, sullo sfondo un po’ chiassoso, un po’ sempliciotto, un po’ piatto di una campagna che non ha nulla di letterario, il medico Jean-Pierre, pur non essendo vecchio, incarna al suo meglio la figura del medico di famiglia alla vecchia maniera, conosciuto da tutti e che di tutti conosce vita morte e miracoli, coscienzioso, indispensabile, sempre disponibile, abbastanza disincantato da vedere le miserie che lo circondano, e tuttavia devotissimo alla sua missione, amato, rispettato e perfettamente integrato nel suo ambiente. Un tumore al cervello lo mette nella per lui penosa necessità di valersi dell’aiuto di una giovane dottoressa. Il film è la storia del loro incontro/scontro quotidiano, di un equilibrio di vita rotto che fatica a ricomporsi, del riconoscersi di due solitudini che non cercano facili conforti, del nascere lento di un’intesa che è prima riluttante stima e poi ammirazione inconfessata e poi comprensione umana e infine imprevisto e confortante rischiararsi di orizzonte. Storia semplice e autentica raccontata in modo semplice, senza effetti speciali di alcun tipo. La macchina da presa gioca tra grigi paesaggi, intensi primi piani, pagine sanguigne di vita di campagna, freddi interni ambulatoriali e ospedalieri, pennellate espressionistiche. Quel che manca all’eccellenza è forse una maggiore fusione tra tutte queste tinte, un più deciso elemento unificante.
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angelo umana
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domenica 25 dicembre 2016
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volemose bene!
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Una sagoma femminile sbuca dalla nebbia una sera e il passo deciso delle lunghe gambe ci dicono che sarà una donna fatale, una che lascerà un’impronta, qualcosa di nuovo nell’aria di paese. Viene ricevuta nello studio da Jean-Pierre, il paraplegico François Cluzet di Quasi Amici che ora è un medico di campagna. Dinamico e sempre in movimento, abituato ai suoi giri in visita dei paesani, il suo ambulatorio sempre popolato, ha una parola rincuorante per tutti, parole che spesso servono più delle medicine. Ha un figlio lontano e della moglie non è fatta menzione. In solitudine comincia ad affrontare una malattia (in)guaribile che ha a sua volta.
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Una sagoma femminile sbuca dalla nebbia una sera e il passo deciso delle lunghe gambe ci dicono che sarà una donna fatale, una che lascerà un’impronta, qualcosa di nuovo nell’aria di paese. Viene ricevuta nello studio da Jean-Pierre, il paraplegico François Cluzet di Quasi Amici che ora è un medico di campagna. Dinamico e sempre in movimento, abituato ai suoi giri in visita dei paesani, il suo ambulatorio sempre popolato, ha una parola rincuorante per tutti, parole che spesso servono più delle medicine. Ha un figlio lontano e della moglie non è fatta menzione. In solitudine comincia ad affrontare una malattia (in)guaribile che ha a sua volta.
La sagoma femminile è di Nathalie, la Marianne Denicourt dal bel sorriso, si rivela essere non una paziente, ma un’aiutante dottoressa mandatagli in apprendimento dal medico amico dell’ospedale, l’unico a sapere della malattia di Jean- Pierre. Mai un bacio tra i due, mai un abbraccio pure se in qualche momento pareva essercene la voglia, essendo nata una certa amicizia oltreché una proficua collaborazione. Complice deve essere stata la bonarietà dell’atmosfera e dei suoi paesani, e gli avvenimenti che la piccola comunità celebra assieme. Un film senza troppe pretese, mezzo commedia e mezzo drammatico ma una storia positiva, amabile, lascia come un senso di ottimismo e di speranza. Volemose bene!
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[+] il passo deciso delle lunghe gambe
(di angelo umana)
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vanessa zarastro
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lunedì 2 gennaio 2017
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una lezione di umanità
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Siamo a Chaussy, una piccolissima cittadina di neanche 700 anime nella Val-d’Oise, al confine con la Normandia. Jean-Pierre Werner (un bravissimo François Cluzet) è un medico condotto si occupa da solo di tutti i malati della zona, di cui molti seguiti a domicilio. Quindi, oltre all’orario di ambulatorio, deve percorrere parecchi chilometri per raggiungere tutti i suoi pazienti. Talvolta anche di notte, con il fango nelle strade sterrate e con il cattivo tempo. I suoi pazienti lo amano molto e si sentono rassicurati dalla sua presenza piena di attenzioni umane.
A un certo punto Jean-Pierre scopre di avere un tumore e deve seguire i protocolli del caso, iniziando con la chemioterapia. Il suo amico oncologo gli suggerisce di prendere un aiutante per il suo ambulatorio e gli manda Nathalie Delezia (un’affascinante Marianne Denicourt) una giovane, non giovanissima, e determinata dottoressa con esperienza prevalentemente di pronto soccorso.
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Siamo a Chaussy, una piccolissima cittadina di neanche 700 anime nella Val-d’Oise, al confine con la Normandia. Jean-Pierre Werner (un bravissimo François Cluzet) è un medico condotto si occupa da solo di tutti i malati della zona, di cui molti seguiti a domicilio. Quindi, oltre all’orario di ambulatorio, deve percorrere parecchi chilometri per raggiungere tutti i suoi pazienti. Talvolta anche di notte, con il fango nelle strade sterrate e con il cattivo tempo. I suoi pazienti lo amano molto e si sentono rassicurati dalla sua presenza piena di attenzioni umane.
A un certo punto Jean-Pierre scopre di avere un tumore e deve seguire i protocolli del caso, iniziando con la chemioterapia. Il suo amico oncologo gli suggerisce di prendere un aiutante per il suo ambulatorio e gli manda Nathalie Delezia (un’affascinante Marianne Denicourt) una giovane, non giovanissima, e determinata dottoressa con esperienza prevalentemente di pronto soccorso.
La storia praticamente è tutta qui, nella variazione del rapporto tra i due medici. All’inizio Jean-Pierre è contrariato dalla presenza di Nathalie, la mette in imbarazzo dandole casi difficili umanamente, poi man mano comincerà ad apprezzarla fino a che la reputerà indispensabile specialmente nelle emergenze. La vicenda umana, tutto sommato, è un pretesto per uno squarcio sulla provincia francese, dove sembra che la società del consumo debba ancora arrivare e che la mentalità contadina sia conservatrice e antiprogressista. Sembra quasi impossibile vedere un medico che elabora manualmente le schede dei pazienti senza ausilio di un computer. Il ruolo del medico di campagna è anche supplire quello di un poliambulatorio ospedaliero: fa radiografie e interventi di ogni genere.
Una cosa che mi ha stupito del film è la festa tematica in costume da cow-boys con musica americana country-folk. È stato scelto “Halleluja”, il brano di Leonard Cohen (scomparso da pochissimo,) a simbolo di una idilliaca arcadia.
Il regista è un quarantenne ex internista al suo secondo film che parla di medicina. Forse gli piace indugiare un pò troppo sul dettaglio dei corpi, sulle cure prestate, però si vede che crede in un rapporto empatico tra medico e paziente. Viceversa nel film non c’è nessun indugio al piacere del paesaggio della campagna francese né c’è spazio per la piacevolezza delle case in pietra d’Oltralpe.
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giajr
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sabato 31 dicembre 2016
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un altro bel film made in francia.
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L'impronta è inequivocabilmente quella del buon cinema francese, che a mio avviso ha una marcia in più. Non sarebbe corretto affermare che si tratta di un film dai buoni sentimenti in quanto varrebbe a sminuirlo. In realtà si tratta di un film studiato, impegnato ma cortese, delicato ma non certo privo dell'obbligo di riflettere sui temi trattati. Uno scorcio sul paese di provincia e la tematica degli anziani che realmente vivono grandi drammi nel momento dei ricoveri ospedalieri... poi la malattia tenuta nascosta da protagonista... poi le immagini valorizzate da una ottima fotografia. Una tra tutte la palla bianca della felicità che un gruppo eterogeneo di persone lancia in aria con la fantasia.
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L'impronta è inequivocabilmente quella del buon cinema francese, che a mio avviso ha una marcia in più. Non sarebbe corretto affermare che si tratta di un film dai buoni sentimenti in quanto varrebbe a sminuirlo. In realtà si tratta di un film studiato, impegnato ma cortese, delicato ma non certo privo dell'obbligo di riflettere sui temi trattati. Uno scorcio sul paese di provincia e la tematica degli anziani che realmente vivono grandi drammi nel momento dei ricoveri ospedalieri... poi la malattia tenuta nascosta da protagonista... poi le immagini valorizzate da una ottima fotografia. Una tra tutte la palla bianca della felicità che un gruppo eterogeneo di persone lancia in aria con la fantasia. Bravi gli attori e più che buona la regia. Film da consigliare.
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martedì 27 dicembre 2016
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peccato, un'occasione persa
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Invogliato da un trailer molto promettente e da alcuni titoli che ne facevano l'ideale seguito della famiglia Belier per la sua ambientazione rurale sono andato a vedere questo film pensando di passare due ore divertenti. Ma così non è stato. Nonostante le lodevoli iniziative che toccano temi importanti come l'arroganza dell'esperto nei confronti della neofita condita di maschilismo, la diffidenza verso il nuovo, la comunicazione assente del protagonista sia nei confronti della famiglia che della collega, il buon senso di chi la pratica l'ha fatta sul campo, la procreazione "non responsabile", tutti temi affrontati ma non del tutto sviscerati, il film non decolla e si avvita nella seconda parte sui particolari un po'depressivi della malattia del protagonista.
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Invogliato da un trailer molto promettente e da alcuni titoli che ne facevano l'ideale seguito della famiglia Belier per la sua ambientazione rurale sono andato a vedere questo film pensando di passare due ore divertenti. Ma così non è stato. Nonostante le lodevoli iniziative che toccano temi importanti come l'arroganza dell'esperto nei confronti della neofita condita di maschilismo, la diffidenza verso il nuovo, la comunicazione assente del protagonista sia nei confronti della famiglia che della collega, il buon senso di chi la pratica l'ha fatta sul campo, la procreazione "non responsabile", tutti temi affrontati ma non del tutto sviscerati, il film non decolla e si avvita nella seconda parte sui particolari un po'depressivi della malattia del protagonista. Poi non riesce a finire e se riesce ad evitare ciò che banalmente ci si poteva aspettare fin dall'inizio (la storia d'amore tra i due protagonisti), lo scampato pericolo sembra far ritornare a Jean Pierre l'arroganza iniziale solo stemperata dal rosso tramonto finale. Alcune scene degne di nota come il ballo country o l'occupazione in massa dell'ambulatorio da parte della famiglia Rom, fanno salire il film ma lo proiettano anche nella tipica dimensione delle occasioni perse. Toccante l'episodio del ragazzo che "ricorda tutto della guerra 14-18" per l'approccio empatico della giovane dottoressa. Buona la prova dei due protagonisti.
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silvano bersani
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venerdì 6 gennaio 2017
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il pessimismo ottimista della ragione
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Non farà gridare al capolavoro, ma temo che questo piccolo gioiello che ci viene regalato da questa produzione profontamente ed intimamente francese sia un po' sottovalutato dal pubblico italiano, col palato anestetizzato dalle produzioni nostrane di questo periodo.
Perchè se un merito va ascritto alla filmografia francese contemporanea è di perseguire con profonda onestà intellettuale una rigorosa coerenza nel rivolgere lo sguardo sul presente in modo disincantato, ma senza voli iperbolici o senza voler ad ogni costo mettere nel piatto sapori estremi.
Il soggetto attinge ad una presa di coscienza laica e disincantata della fragilità della esistenza umana e la sceneggiatura colloca la vicenda in una provincia che solo a tratti sembra fuori dal tempo, ma che al contrario trova continui agganci con la realtà globalizzata contemporanea, senza fare dell'una e dell'altra ne' un feticcio, ne' una dannazione.
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Non farà gridare al capolavoro, ma temo che questo piccolo gioiello che ci viene regalato da questa produzione profontamente ed intimamente francese sia un po' sottovalutato dal pubblico italiano, col palato anestetizzato dalle produzioni nostrane di questo periodo.
Perchè se un merito va ascritto alla filmografia francese contemporanea è di perseguire con profonda onestà intellettuale una rigorosa coerenza nel rivolgere lo sguardo sul presente in modo disincantato, ma senza voli iperbolici o senza voler ad ogni costo mettere nel piatto sapori estremi.
Il soggetto attinge ad una presa di coscienza laica e disincantata della fragilità della esistenza umana e la sceneggiatura colloca la vicenda in una provincia che solo a tratti sembra fuori dal tempo, ma che al contrario trova continui agganci con la realtà globalizzata contemporanea, senza fare dell'una e dell'altra ne' un feticcio, ne' una dannazione.
Si può raccontare una storia di oggi senza mettere in scena i soliti luoghi comuni o le macchiette tanto care, per dire, al nostro cinema attuale, Si può mostrare l'estrema dignità che appartiene a chi subisce la degradazione dei corpi, senza essere sdolcinati o debordanti o fatalisti. In coerenza con una laicità matura e non ostentata. Anzi, al contrario, quasi evitando con estremo pudore ciò che potrebbe essere inteso come una presa di posizione militante.
E' dunque una storia che appartiene a chiunque, ma credo a tutti, prima o poi farà i conti con la misura della propria vicenda umana sul metro della sofferenza. La malattia, dice il protagonista, è un guasto nella macchina che richiede l'intervento di chi sa dove mettere le mani. La malattia che si vede e anche quella che non si vede. Perchè, continua il protagonista, la Natura (vedi bene: la Natura e non Dio) è meravigliosa, ma talvolta è tremenda. E' matrigna. Dov'è che l'avevamo già sentita una cosa così?
Dunque, dicevamo, forse non un capolavoro, ma un'opera stilisticamente corretta, elegante e coerente. Una sceneggiatura equilibrata, una regia attenta e un'ottima interpretazione, particolarmente intensa, ma sempre molto misurata.
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stefano capasso
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giovedì 29 dicembre 2016
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tra umanità e tecnica vivere il presente guarisce
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Quando riceve la diagnosi di cancro al cervello, Jean Pierre sembra non fare una piega. Continua col suo lavoro di medico di campagna, che lo porta ad un continuo andirivieni tra fattorie e case di persone anziane. Sempre coi suoi principi etici improntati alla massima attenzione verso l’uomo, incurante della tecnologia e di tutto quello che può essere moderno e nuovo. Quando arriva Nathalie, medico appena formato, per affiancarlo nel suo lavoro, la collaborazione non è facile. Jean Pierre è scettico e la malattia che progredisce e che non condivide con nessuno lo porta ad esasperare alcuni suoi tratti.
Thomas Litti racconta questa storia semplici in modo lineare, senza troppi sussulti, descrivendo la quotidianità della professione del medico.
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Quando riceve la diagnosi di cancro al cervello, Jean Pierre sembra non fare una piega. Continua col suo lavoro di medico di campagna, che lo porta ad un continuo andirivieni tra fattorie e case di persone anziane. Sempre coi suoi principi etici improntati alla massima attenzione verso l’uomo, incurante della tecnologia e di tutto quello che può essere moderno e nuovo. Quando arriva Nathalie, medico appena formato, per affiancarlo nel suo lavoro, la collaborazione non è facile. Jean Pierre è scettico e la malattia che progredisce e che non condivide con nessuno lo porta ad esasperare alcuni suoi tratti.
Thomas Litti racconta questa storia semplici in modo lineare, senza troppi sussulti, descrivendo la quotidianità della professione del medico. Il tema di fondo è quello del conflitto tra la tradizione e l’apertura alle novità, sia nelle relazioni umani che nella tecnologia a disposizione. E se è vero che la crisi porta ad acuire ed esasperare l’attaccamento ai propri modelli di riferimento chiudendo a tutto quello che arriva di nuovo, è altrettanto vero che solo nel momento in cui si accetta di abbandonare questa forma di difesa, e guardare realmente alla situazione presente, è possibile mettere in moto quel percorso di accettazione che porta a cambiamenti imprevedibili, come mostra il finale del film. Emozioni e tecnica, storia e futuro possono ancora coesistere.
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flyanto
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lunedì 2 gennaio 2017
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la figura ideale di due medici
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In questo periodo natalizio è fortunatamente uscita nelle sale cinematografiche la pellicola francese "Il Medico di Campagna", evidente esempio di cinema all'insegna della delicatezza e della sensibilità.
La storia ruota tutta intorno al suddetto protagonista (Francois Cluzet) che svolge, appunto, l'attività di medico in una località di campagna, al quale, poichè viene diagnosticato un tumore al cervello che lo vedrà costretto ad iniziare un lungo e stremante ciclo di chemioterapia, viene affiliata una più giovane dottoressa al fine di aiutarlo nelle proprie mansioni professionali e di alleviarlo così dalla fatica del lavoro e soprattutto dell'estenuante cura.
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In questo periodo natalizio è fortunatamente uscita nelle sale cinematografiche la pellicola francese "Il Medico di Campagna", evidente esempio di cinema all'insegna della delicatezza e della sensibilità.
La storia ruota tutta intorno al suddetto protagonista (Francois Cluzet) che svolge, appunto, l'attività di medico in una località di campagna, al quale, poichè viene diagnosticato un tumore al cervello che lo vedrà costretto ad iniziare un lungo e stremante ciclo di chemioterapia, viene affiliata una più giovane dottoressa al fine di aiutarlo nelle proprie mansioni professionali e di alleviarlo così dalla fatica del lavoro e soprattutto dell'estenuante cura. L'uomo, all'inizio, non è affatto contento del nuovo arrivo, convinto anche di poter condurre benissimo da solo l'ambulatorio e le visite a domicilio ai vari pazienti, ma col tempo comincia piano piano ad andare sempre più d'accordo con la nuova arrivata ad apprezzarla e, dunque, ad accettarla come collega e sua eventuale sostituta....
Una storia di quotidianità, con la figura del medico operante nella provincia, ideale come figura umana in quanto sempre disponibile e gentile con tutti e soprattutto fortemente appassionato del proprio lavoro, insomma, un film in cui in maniera sensibile, delicata, ma anche divertente, viene dato principalmente risalto alla dedizione spontanea e sincera al proprio lavoro, ai sentimenti personali nonchè ai rapporti umani tra gli individui, ponendo da parte eventuali fini egoistici ed utilitaristici. Sicuramente il ritratto di questo personaggio principale, come del resto di tutta la comunità rurale in generale, risulta, forse, un poco irreale o, al limite un poco esagerato come ideale di modello, ma c'è anche da rimarcare che in un paese od in una cittadina di provincia dove la vita scorre in maniera meno frenetica che in città e dove gli abitanti si conoscono tutti più a fondo e sin dall'infanzia, probabilmente una simile figura professionale ed amicale è più facile ad incontrarsi. Al di là di tutto ciò, comunque, in questa pellicola vengono grandemente apprezzate l'atmosfera generale, le figure di rara umanità dei due medici, e l'interpretazione fresca, spontanea e misurata di Francois Cluzet e Marianne Denicourt (la nuova dottoressa), che ben riescono a dare l'idea e credibilità ai propri personaggi, infondendo anche nello spettatore una sorta di fiducia nel prossimo unita ad una profonda simpatia per loro stessi.
Altamente consigliabile.
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francesco2
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domenica 27 maggio 2018
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il medico..........."paziente"
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Un’eccellente interpretazione maschile illumina questo film, prodotto medio francese che in Italia –Ma perché,poi ?- sarebbe irrealizzabile. Chi non conosca, piuttosto bene, la realtà di certi paesi francofoni non potrà coglierne fino in fondo il messaggio: in Belgio, infatti –ma anche in Francia, evidentemente- questa figura rischia di scomparire, ma un tempo il “medico di campagna” era più diffuso, era colui – o colei- che si inoltrava nei paesini sperduti per curare dei pazienti in difficoltà. Ed, a proposito di “pazienti”, lo è anche il personaggio principale, oltre che medico. Ma lo è anche nel senso etimologico latino di “patere”, provare passione. Ecco che, allora, il suo travaglio assume una doppia natura: la sua salute viene messa alla prova, ed al contempo deve collaborare con il personaggio della Denicourt, figura di “rottura” per la sua routine quotidiana.
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Un’eccellente interpretazione maschile illumina questo film, prodotto medio francese che in Italia –Ma perché,poi ?- sarebbe irrealizzabile. Chi non conosca, piuttosto bene, la realtà di certi paesi francofoni non potrà coglierne fino in fondo il messaggio: in Belgio, infatti –ma anche in Francia, evidentemente- questa figura rischia di scomparire, ma un tempo il “medico di campagna” era più diffuso, era colui – o colei- che si inoltrava nei paesini sperduti per curare dei pazienti in difficoltà. Ed, a proposito di “pazienti”, lo è anche il personaggio principale, oltre che medico. Ma lo è anche nel senso etimologico latino di “patere”, provare passione. Ecco che, allora, il suo travaglio assume una doppia natura: la sua salute viene messa alla prova, ed al contempo deve collaborare con il personaggio della Denicourt, figura di “rottura” per la sua routine quotidiana. La sceneggiatura, tuttavia, non aiuta di certo questo film, ed i tempi –forse- “sincopati” nelle intenzioni del rgista, a volte mi sembrano lenti, piuttosto a vuoto.
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