guazza da semifonte
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giovedì 13 ottobre 2016
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il caso orlandi
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La pellicola non ha la pretesa di proporre qualche nuova ipotesi ma, più modestamente,di passare in rassegna le tante tessere emerse a dar una forma al mosaico del rapimento della quindicenne figlia di un addetto laico ad uno degli innumerevoli uffici vaticani. Così ci imbattiamo nell'attentato al papa polacco, in Monsignor Paul Marcinkus, onnipotente segretario dello Ior, benaugurante "Istituto per le opere di religione" ma di fatto la banca vaticana, il cui motto era:"La chiesa non può andare avanti con le sole Ave Maria", già ribattezzato"Il gorilla" per i suoi metodi alquanto spicci quando monsignor Montini l'aveva posto a capo del servizio a guardia del pontefice, nel Banco Ambrosiano, nel suo presidente Roberto Calvi, in vari faccendieri romani fra cui spicca Flavio Carboni che, per "par condicio", non faceva mai mancare il proprio nome in qualsiasi indagine fosse avviata in quegli anni su sospetti di illeciti comportamenti tenuti nella speculazione della finanza e dell'edilizia, nei servizi segreti (non si capisce bene quali visto che a quei tempi ce ne erano un paio alla luce del sole e fra loro in insanabile concorrenza ed altrettanti nell'ombra e ribattezzati "deviati" ), nei servizi di sicurezza pronti a chiudere gli occhi ed aprire le mani da debitamente colmare, nella arcinota banda della Magliana e soprattutto in Enrico DePedis, detto Renatino e la sua compagna Sabrina Minardi.
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La pellicola non ha la pretesa di proporre qualche nuova ipotesi ma, più modestamente,di passare in rassegna le tante tessere emerse a dar una forma al mosaico del rapimento della quindicenne figlia di un addetto laico ad uno degli innumerevoli uffici vaticani. Così ci imbattiamo nell'attentato al papa polacco, in Monsignor Paul Marcinkus, onnipotente segretario dello Ior, benaugurante "Istituto per le opere di religione" ma di fatto la banca vaticana, il cui motto era:"La chiesa non può andare avanti con le sole Ave Maria", già ribattezzato"Il gorilla" per i suoi metodi alquanto spicci quando monsignor Montini l'aveva posto a capo del servizio a guardia del pontefice, nel Banco Ambrosiano, nel suo presidente Roberto Calvi, in vari faccendieri romani fra cui spicca Flavio Carboni che, per "par condicio", non faceva mai mancare il proprio nome in qualsiasi indagine fosse avviata in quegli anni su sospetti di illeciti comportamenti tenuti nella speculazione della finanza e dell'edilizia, nei servizi segreti (non si capisce bene quali visto che a quei tempi ce ne erano un paio alla luce del sole e fra loro in insanabile concorrenza ed altrettanti nell'ombra e ribattezzati "deviati" ), nei servizi di sicurezza pronti a chiudere gli occhi ed aprire le mani da debitamente colmare, nella arcinota banda della Magliana e soprattutto in Enrico DePedis, detto Renatino e la sua compagna Sabrina Minardi. Sono quest'ultimi in effetti una bella accoppiata e cinematograficamente assai spendibili: lui e' il personaggio di maggior spicco della malavita romana, il boss dei testaccini, una cura maniacale della persona sia nell'aspetto che nel fisico, non fuma, non beve e soprattutto non sniffa, il che gli consente nella sua lucidità perversa di investire il maltolto in operazioni speculative spericolate ma anche protette dalla legge; lei e' la sua pupa, come si suol dire, nel pieno della sua bellezza, ex moglie del "bomber" da 'a Lazio Giordano, dalla morale con maglie assai larghe se non smagliata del tutto, succube del suo uomo che asseconda con disinvolta insensibilità in tutte le riprovevoli iniziative che le siano sollecitate. Così li vediamo aggirarsi da pari nel bel mondo della capitale e nelle loro feste dove lui, ricercato, scambia da super protetto continue occhiate d'intesa con monsignori, generali, politici ed ineffabili uomini d'affari, lei che le allieta con la sua presenza e quella delle altre disinvolte fanciulle che si porta appresso. Niente di nuovo per la verità, la solita Roma di certi ambienti : sesso, droga e rock en roll. Già Sallustio, storico romano del I° secolo a.C., fa dire a Giugurta, il re numida, al ritorno nelle sue terre da un viaggio a Roma, che la' la corruzione e' così diffusa che tutto ha un prezzo e che, se riesci a concordare quello giusto, ti vendono anche la madre. La tesi sposata ed anche quella maggiormente plausibile dagli elementi emersi e' quella che vorrebbe qualcuno delle stanze vaticane direttamente coinvolto nella vicenda e che in qualche cassetto di qualche armadio allocato nelle medesime sia riposto un dossier contenente una esauriente spiegazione dell'accaduto.
Alla fine sorge il sospetto che nella città leonina, per tanti che vi dimorano, gli unici libri messi all'indice in perpetuo siano quattro: i quattro evangeli.
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roberto
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venerdì 10 febbraio 2017
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ibrido cinematografico che si è rivelato un aborto
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Finalmente ho visto il film "la verità sta in cielo". Pur interessante il documento, devo dire che mi sia difficile pensare ad un film piu' brutto. Cioe', hai il Vaticano, intrighi, mistero, cronaca d'inchiesta, la storia contemporanea piu' oscura del Paese, e riesci a far una simile immondizia. Imperdonabile, come le due giornaliste auto doppiate (malissimo), e dei dialoghi piu' falsi delle banconote da 15 euro. Shel Shapiro che fa il direttore fricchettone di un giornale londinese fa anche sorridere. Chi conosce il caso sa delle due teorie presentate dal film, esposte in qualsiasi trafiletto di youtube, mentre chi non conosce il caso non riesce a capire molte cose, molte cose sono abbozzate e si sparano input e nomi di personaggi a mitraglia che necessitano di conoscenze previe sull'argomento.
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Finalmente ho visto il film "la verità sta in cielo". Pur interessante il documento, devo dire che mi sia difficile pensare ad un film piu' brutto. Cioe', hai il Vaticano, intrighi, mistero, cronaca d'inchiesta, la storia contemporanea piu' oscura del Paese, e riesci a far una simile immondizia. Imperdonabile, come le due giornaliste auto doppiate (malissimo), e dei dialoghi piu' falsi delle banconote da 15 euro. Shel Shapiro che fa il direttore fricchettone di un giornale londinese fa anche sorridere. Chi conosce il caso sa delle due teorie presentate dal film, esposte in qualsiasi trafiletto di youtube, mentre chi non conosce il caso non riesce a capire molte cose, molte cose sono abbozzate e si sparano input e nomi di personaggi a mitraglia che necessitano di conoscenze previe sull'argomento. Gli unici personaggi con un minimo di costruzione sono De Pedis e chiaramente la Minardi, della quale sembra voler scavare la storia personale di amante dei potenti con un tocco di morbosità del quale non si ha il coraggio, (basta leggere qualsiasi articolo con le affermazioni della Minardi, come quando portava a Marcinkus borse piene di soldi e delle "amiche" per avere una costruzione narrativa maggiore a quella del film) mentre grave è la carenza di sviluppo su Marcinkus, a parte il "divertente" paragone con Al Capone. Quando si vuole trattare argomenti cosi' delicati si dovrebbe cercare di esserne all'altezza, senza abbordare sceneggiature improbabili ed abbozzare montaggi di dialogo esplicativo che rivelano pecche tecniche da primo anno di scuola di cinema e di recitazione (salvo Scamarcio). Vorrei dire a Faenza di far fare queste cose a chi le sa fare, e tornare a fare documentari per la tv, come difatti nelle intenzioni doveva essere questo film, un ibrido tra film storico e documentario che invece si è rivelato un aborto.
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valterchiappa
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sabato 24 giugno 2017
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nessuna verità, nessun film
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Certo che era da fare un film sul caso di Emanuela Orlandi. Quale vicenda giudiziaria fu mai più romanzata, più colma di mistero, più ricca di colpi di scena? Altro che caso Spotlight, altro che squallide vicende di borsa o pruriginosi fatti di cronaca nera. Una storia che potrebbe addirittura avere risvolti surreali o altamente simbolici, se si confronta la natura dell’avvenimento in sé, la sparizione di una ragazza, che, pur nella sua drammaticità, potrebbe essere relegato tra le pagine di cronaca locale, con quello che invece ne scaturì: delinquenza ordinaria, spionaggio internazionale, pedofilia, crack finanziari, con il coinvolgimento di boss, attentatori, banchieri, delle più alte sfere ecclesiastiche, addirittura il Papa, oltre ad una selva di sordidi personaggi di contorno.
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Certo che era da fare un film sul caso di Emanuela Orlandi. Quale vicenda giudiziaria fu mai più romanzata, più colma di mistero, più ricca di colpi di scena? Altro che caso Spotlight, altro che squallide vicende di borsa o pruriginosi fatti di cronaca nera. Una storia che potrebbe addirittura avere risvolti surreali o altamente simbolici, se si confronta la natura dell’avvenimento in sé, la sparizione di una ragazza, che, pur nella sua drammaticità, potrebbe essere relegato tra le pagine di cronaca locale, con quello che invece ne scaturì: delinquenza ordinaria, spionaggio internazionale, pedofilia, crack finanziari, con il coinvolgimento di boss, attentatori, banchieri, delle più alte sfere ecclesiastiche, addirittura il Papa, oltre ad una selva di sordidi personaggi di contorno. Ogni sorta di malaffare, come se il corpo della povera ragazza romana fosse stato il coperchio di un immenso vaso di Pandora. Materia che avrebbe ingolosito qualunque sceneggiatore.
L’occasione sospesa l’ha colta Roberto Faenza, già narratore di fatti di cronaca nera; ma nel costruire “La verità sta in cielo” il regista torinese ha completamente mancato il bersaglio. Forte del suo curriculum di corrosivo documentarista, Faenza ha scelto di attenersi al rigore cronachistico; opzione di per sé rischiosa, considerato che la storia a tutt’oggi non ha un finale. Ma chiunque si aspetti rivelazioni da questo film uscirà deluso. La sua ricerca non apporta nulla di nuovo: tutto quello che viene narrato può essere trovato agevolmente su Wikipedia. Tanto meno viene azzardata alcuna ipotesi, se non criptici riferimenti a un qualche potere oscuro non meglio identificato.
Faenza non costruisce nemmeno un’efficace drammaturgia attorno ai nudi fatti; si limita piuttosto ad elencarli con il supporto di una trama esilissima. Nel momento in cui, con l’arresto di Fabrizio Carminati e l’esplodere del caso Mafia Capitale, si aprono nuovi possibili spiragli di luce sul caso Orlandi, una fantomatica giornalista inglese (Maya Sansa) viene inviata in Italia nientepopodimeno che da Shel Shapiro in persona, nelle vesti di un improbabile direttore di testata londinese. Il personaggio di fantasia viene a relazionarsi con la rappresentazione della reale giornalista di “Chi l’ha visto” Raffaella Notariale, interpretata da Valentina Lodovini.
Al centro della narrazione vengono poste le rivelazioni di Sabrina Minardi, ex moglie del bomber della Lazio Bruno Giordano e compagna del boss Renatino De Pedis. In tempi recenti la donna dichiarò che la povera ragazza venne rapita con oscuri fini dalla banda della Magliana, drogata, trattenuta in prigionia in un appartamento di Monteverde e dopo la morte miseramente gettata in una betoniera in un cantiere di Torvajanica. Nel film il racconto della donna viene quindi riportato in una ipotetica intervista, rilasciata alla giornalista inglese in cerca dello scoop.
Il film prosegue così, più simile a quegli inserti sceneggiati che talora arricchiscono i programmi d’inchiesta. Le uniche parti di fiction sono limitate ai flashback in cui Riccardo Scamarcio veste i panni di De Pedis, mentre Greta Scarano interpreta la Minardi da giovane. Ma ai due non viene chiesto di esibire il talento mostrato in altre circostanze, ma solo di dare un tocco glamour, sfoggiando il notorio fascino tramite sguardi intensi e qualche nudo plastico (che ci sta sempre bene, soprattutto se schiaffato nel trailer).
“La verità sta in cielo”finisce per non essere né carne, né pesce; né incalzante come un documentario, né coinvolgente come un racconto. Non racconta, non svela, non elabora, non interpreta, non interessa. Annoia, punto. Un’occasione persa. Dal 1983 il caso di Emanuela Orlandi attendeva di essere narrato. Forse valeva la pena attendere un altro po’.
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