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Il film Il fiume ha sempre ragione è un delizioso documentario un po’ anacronistico che costituisce un elogio alle arti “utili” - come si chiamavano una volta - cioè alle arti applicate. È anche un’apologia della creatività artigiana che ancora si ritrova in alcuni appassionati e ostinati personaggi che la praticano.
A mio avviso, questo film dovrebbe essere proiettato nelle scuole, obbligatoriamente in quelle di studi artistici per la cura con la quale spiega il lavoro di due specifici artigiani. In un mondo ormai sempre più in balia degli smartphone, dei tablet e dei computer, il film mostra cos’era - e ancora è - l’arte della stampa. I tipografi sono i progenitori dei graphic designers e fino alla fine dell’Ottocento erano loro che elaboravano le tavole a colori, progettavano i libri e disegnavano i manifesti; talvolta, lo facevano i pittori cosiddetti “cartellonisti”. Nel film è mostrata la stampa a caratteri mobili - così come pensata da Gutemberg nel Quattrocento – metodo con cui si è stampato in tutti questi secoli. Nel film troviamo anche un insegnamento sul lettering i cui carattericitati sono soprattutto: il Bodoni, un font romano moderno dell’inizio dell’Ottocento, il cui tipografo elaborò il manuale tipografico uscito postumo nel 1818 e l’Helvetica, un elegante font novecentesco senza grazie del 1957.
Silvio Soldini riprende i due artigiani-tipografi al lavoro. Il poliedrico brianzolo Alberto Casiraghy che vive a Osnago un piccolo paesino in Lombardia. È pittore, violinista, editore e un appassionato degli aforismi a cui abbina con estrema attenzione font, disegni e supporto cartaceo. Alberto si racconta, mostra le foto dei suoi genitori giovani e innamorati, mostra i tantissimi suoi lavori, libri d’arte a bassa tiratura costruiti con pazienza e tanto amore. Ha editato persino le poesie di Pietro Ingrao con cui ha avuto uno scambio epistolare. Cita le poesie di Ginzburg, i lavori di Bruno Munari e di vari altri grandi delle arti “applicate”.
L’altro artigiano è Josef Weiss un grafico di Mendrisio in Canton Ticino – nota per la scuola di Architettura di Mario Botta - più tecnico forse di Casiraghy, che ama la rilegatura dei libri che restaura quasi a fornire una seconda vita. I due tipografi amici, nel finale del film, si incontrano sul lago di Lugano dove consumano un buon pasto tradizionale in un ristorante con vista incantevole, come fossero fuori dal mondo. «Bello questo fiasco di vino, dice Albert, ha una bella forma» denotando l’amore per il dettaglio in generale e per le forme degli oggetti demodé.
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