riccardo tavani
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martedì 4 febbraio 2014
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pensiero e scena quanto mai attuali
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Il film convince anche sul piano dello stile formale che Margarethe von Trotta ha scelto ed è perfettamente riuscita a determinare sullo schermo. Rappresentare un personaggio così importante, non solo nella storia della filosofia moderna, ma della Storia tout court è sempre un’operazione ardua e perciò piena di rischi. C’è una modalità stilistica che il cinema ha elaborato e sedimentato lungo il suo cammino per rappresentare il personaggio in quanto Storia. Tale elemento stilistico è il frapporre una distanza, un elemento di ostacolo tra l’immagine dell’evento storico cruciale rappresentato sullo schermo e la percezione visiva dello spettatore. Un esempio è in Nascita di una nazione di Griffith. L’evento cruciale dell’assassinio di Lincoln, a cui sparano durante una rappresentazione teatrale, è ripreso in campo lungo, seminascosto dietro le tende che pendevano raccolte sul palco d’onore del Presidente. L’evento-personaggio messo in scena dalla von Trotta non è soltanto quello di un gigante della filosofia ma anche quello di un gigantesco scontro dell’intero pensiero occidentale. La genesi e lo sviluppo di un tale scontro critico sono sempre sotto l’occhio dello spettatore. La regista vi frappone così una impalpabile patina stilistica di colore che ricopre l’intera pellicola, intesa proprio nel senso di supporto materiale. È una tonalità cromatica giallo paglierino, quasi come il colore del tabacco delle sigarette che Hannah accende o ha tra le dita in continuazione e il cui fumo va a rafforzare il senso di cortina che pone un’impercettibile distanza tra il nostro sguardo e la scena della Storia. La pellicola inserisce all’interno della sua ricostruzione scenica le immagini vere, in bianco e nero, di Eichmann che si difende nel processo. Ciò conferisce all’opera una particolare forza storica e, paradossalmente, un riverbero quasi sperimentale, simile a L’Istruttoria, di Peter Weiss, che vedeva inserite dentro il testo teatrale le vere parole pronunciate dai testimoni nel processo di Francoforte del 1963 contro SS e funzionari di Auschwitz. La Arendt coglie del processo l’aspetto strutturale, di efficienza burocratica, amministrativa, da catena di montaggio della morte come produzione industriale strategicamente pianificata. È un aspetto, questo, che non può essere ridotto in nessun modo alla mostruosità di un singolo per quanto malefico individuo. Il vero aspetto del male assoluto è quello di privare l’essere della propria singolare umanità. Un aspetto ripreso poi anche da Primo Levi che parla della riduzione, praticata nei campi di sterminio, dell’umano al sub-umano, dell’oscena nudità dell’essere spogliato di ogni proprio sé. La stessa spoliazione, la stessa negazione, però, il Totum sistemico la pretende dai propri addetti in stivali e divisa, o in giacca e cravatta da funzionari. Hannah Arendt ha paragonato il primo atto politico allo stesso atto teatrale: presentarsi davanti all’agorà, nella scena collettiva, prendere la parola ed esporsi al giudizio critico del pubblico. La filosofa si presenta nell’anfiteatro a gradinate dell’aula magna della scuola, chiede teatralmente il permesso di accendersi una sigaretta e mette in scena questo atto che è estetico e insieme etico, politico. È il cinema stesso, dunque, ad essere opera estetica e insieme critica, politica e con questo suo film Margarethe von Trotta mette in atto, attraverso la stessa materia artistica, un aspetto quanto mai attivo e attuale del pensiero di Hannah Arendt.
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pascale marie
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martedì 28 gennaio 2014
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la nullità del male
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Margarethe Von Trotta ha fatto bene a presentare il film nelle lingue originali che gli danno più enfasi, credibilità e un'intensità maggiore. La bravura degli interpreti è indiscutibile. Hannah Arendt, scrittrice, filosofa e giornalista fugge dalla Germania nazista e con l'amato e devoto marito trova asilo in America, a New York dove è ammirata e rispettata. Ha spesso incontri con amici e stretti collaboratori con cui intavola accese discussioni di principi filosofici, ottenendo quasi sempre l'indiscutibile appoggio del marito. Un criminale nazista, Eichmann, viene estradato in Israele e Hannah parte come inviata del New Yorker per assistere al processo, il marito la esorta a non andare ma lei non può non esserci.
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Margarethe Von Trotta ha fatto bene a presentare il film nelle lingue originali che gli danno più enfasi, credibilità e un'intensità maggiore. La bravura degli interpreti è indiscutibile. Hannah Arendt, scrittrice, filosofa e giornalista fugge dalla Germania nazista e con l'amato e devoto marito trova asilo in America, a New York dove è ammirata e rispettata. Ha spesso incontri con amici e stretti collaboratori con cui intavola accese discussioni di principi filosofici, ottenendo quasi sempre l'indiscutibile appoggio del marito. Un criminale nazista, Eichmann, viene estradato in Israele e Hannah parte come inviata del New Yorker per assistere al processo, il marito la esorta a non andare ma lei non può non esserci. La grandezza della regista è aver introdotto il reale processo, dove Eichmann appare staccato, occhi spenti dietro gli occhiali neri, niente rimorsi o vergogna. Alle domande risponde con una voce secca, quasi infastidito e le sue risposte sono fredde e lucide: " io non ho toccato un ebreo, ho solo eseguito gli ordini che mi hanno dato, ho rispettato le leggi e se me lo ordinavano avrei ucciso anche mio padre ". Hannah, sigaretta dopo sigaretta, scruta, osserva e studia Eichmann. Al rientro a New York, il suo articolo farà scalpore, indignerà i capi e tutta la Comunità Ebraica perchè lei non si scaglia accusando Eichmann, non si indigna per quello cha ha fatto, non si comporta come tutti si aspettano che faccia. Doveva accusare, diventa l'accusata. Riceve lettere da ogni parte, che la sua stretta collaboratrice l'aiuterà a smistare, violente, intimidatorie; la insultano pesantemente, l'accusano di essere dalla parte dei nazisti, di essere fredda, calcolatrice e di non provare sentimenti. La minacciano di morte. Il suo articolo parla, spiega il pensiero umano, spiega la differenza tra il male e il bene. Eichmann con i suoi crimini e le sue terrificanti parole al processo, non è una persona, non esiste, non è nessuno. Il male che aveva fatto, che lui difende come un comportamento normale quasi, di lealtà verso gli ordini ricevuti, lo rende " banale ". E' il bene importante, ciò che più conta. Nel suo articolo invece accusa la Comunità Ebraica e alcuni capi della loro passività che hanno permesso che accadessero tutte quelle atrocità. Accusa anche la Chiesa che ha aiutato Eichmann a salvarsi. Le sue parole, il suo pensiero non sono capiti, ha tanti flashback che la riportano indietro quando seguiva le lezioni del suo mentore e poi amante, che non era contro il nazismo, ma che le ha insegnato il significato del pensiero e a pensare. Si inimica perciò anche gli amici, soprattutto il suo migliore amico dai tempi universitari. Il suo rapporto con il marito, dopo l'infarto, diventa ancora più stretto, complice e tenero. Hannah rimane fedele ai suoi principi, non si scompone nè si abbatte nemmeno quando le proibiscono di non insegnare più, anzi si presenta nell'aula colma e spiega ai suoi studenti, che la capiscono e l'applaudono, in un modo semplice, chiaro, meticoloso ma fermo e deciso, come è lei comunque, le parole del suo articolo enfatizzando l'importanza di non fermarsi soltanto ai fatti trovando solo una conclusione, ma di aprire la mente per poter dare il giusto valore ai propri pensieri. Film straordinario da non perdere.
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no_data
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sabato 18 gennaio 2014
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un bellissimo ritratto a tutto tondo.
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Assolutamente da vedere: ricostruzione storica accurata e precisa, un personaggio non facile che viene restituito in tutta la sua umanità, grandezza e contraddizioni.
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minnie
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giovedì 21 marzo 2013
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se una pensatrice negli anni sessanta
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Questo film parla di un periodo preciso nella vita di Hannah Arendt, grande filosofa vissuta dal 1906 al 1975, con escursioni nella sua gioventù quando, come tutti sanno o almeno dovrebbero sapere, ella ebbe una relazione con il filosofo Martin Heidegger, suo professore all'università di Heidelberg. Se un difetto ha il film, forse è quello di essere tenero verso il vecchio Heidegger che risulta come un inoffensivo vecchietto che cita Agostino passeggiando fra i boschi mentre fu un attivo sostenitore del nazismo, ma mostrandolo così la regista von Trotta ne fa anche un simbolo: simbolo di quegli intellettuali mitteleuropei che si chiusero in una torre d'avorio (come in Italia Croce) senza contrastare attivamente i totalitarismi.
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Questo film parla di un periodo preciso nella vita di Hannah Arendt, grande filosofa vissuta dal 1906 al 1975, con escursioni nella sua gioventù quando, come tutti sanno o almeno dovrebbero sapere, ella ebbe una relazione con il filosofo Martin Heidegger, suo professore all'università di Heidelberg. Se un difetto ha il film, forse è quello di essere tenero verso il vecchio Heidegger che risulta come un inoffensivo vecchietto che cita Agostino passeggiando fra i boschi mentre fu un attivo sostenitore del nazismo, ma mostrandolo così la regista von Trotta ne fa anche un simbolo: simbolo di quegli intellettuali mitteleuropei che si chiusero in una torre d'avorio (come in Italia Croce) senza contrastare attivamente i totalitarismi. Che hanno avuto luogo perché? Perché la gente comune, il popolo, è abituata ad agire senza pensare; con sprezzo lei, che ha chiesto e ottenuto dal New Yorker, prestigiosa rivista newyorchese, di assistere al processo contro adolf eichmann , spiega in tante pagine che diventeranno un libro, "La banalità del male", che questo criminale nazista, certo condannabile, certo un essere chemeritava di essere pesantemente condannato come fu, non era certo "un mostro" ma un impiegato che riteneva che l'obbedienza, il fare scrupolosamente il suo dovere, attenersi al giuramento fossero cose più importanti di sapere a quale sorte in realtà fossero mandati milioni di ebrei nei campi di sterminio; il male è estremo ma non radicale, avviene più facilmente del bene perché la gente non pensa, eichmann non si faceva domande. Certo questa tesi non spiega il fanatismo di chi uccideva a sangue freddo donne e bambini, anziani e deboli ma nello stesso tempo dà ragione di come si possa facilmente cadere vittima di bieche dittature. "Pas trop de zel" non troppo zelo, diceva De Gaulle, e certo la burocrazia, l'applicazione cieca della legge fa danni ancor oggi...Poi c'è un altro aspetto della questione che la Arendt ha affrontato, e cioè la collaborazione di funzionari ebrei nella fase finale dello sterminio, come risulta dal processo e che sembra dar ragione a ciò che in quegli anni del processo (1960-1964) i giovani israeliani imputavano agli anziani sopravvissuti, sopravvissuti come, chiedevano, solo se si erano sottomessi fino in fondo per sopravvivere...Del resto, i nazisti che scamparono subito alla giustizia, come eichmann, furono aiutati dal Vaticano in quanto assassini ma bravi cattolici, con passaporti falsi per il Sudamerica. Qui la Arendt, pur osservando che si era attenuta a quanto era risultato dal processo stesso, fu sottoposta a una salve di critiche che tuttavia non ne piegarono, almeno apparentemente (visto che morì di un colpo al cuore) la forte tenuta critica: se è accaduto può accadere ancora perché il bieco funzionario, il mero obbediente non pensa, agisce sotto comando, non riflette e non applica il bene alle sue azioni, perché il bene implica il pensiero.Ha avuto ragione Barbara Sukova, nel presentare a Bari martedì 19 marzo il film, insieme con la regista Margarethe von Trotta, che questo film va visto anche due volte per cogliere l'intensità della sceneggiatura. In fondo l'idea che ci siano mostri fra noi è spaventosa ma accettabile; più inquietante pensare che tutti, a seconda delle circostanze, possono diventare mostri, questo per Hannah Arendt non è accettabile e questo ha voluto provare nei suoi libri, partendo proprio dallo studio del processo eichmann. Sukova è straordinaria nel rendere Arendt a cui non somiglia tanto nelle ultime foto diffuse della pensatrice quanto in un francobollo che si può vedere in un francobollo. Del resto Arendt sapeva di cosa parlava: lei stessa era stata in campo di sterminio e ne era venuta fuori miracolosamente; le sue analisi suonano come severo monito e il rigoroso film di Margarethe von Trotta le rende il giusto omaggio. Un film imperdibile, necessario.
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