riccardo tavani
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mercoledì 17 agosto 2011
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il paradosso dello stato d'eccezione
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Robert Redford ricostruisce in questo film una pagina cruciale della storia americana: quella dell’assassinio di Abramo Lincoln. Lo fa, però, per parlarci del presente. Un presente quanto mai critico che riguarda non solo il suo Paese. Per giudicare i cospiratori partecipanti all’assassinio di Lincoln, viene istituito un tribunale militare che risponde direttamente all’inflessibile titolare del Ministero di Giustizia.
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Robert Redford ricostruisce in questo film una pagina cruciale della storia americana: quella dell’assassinio di Abramo Lincoln. Lo fa, però, per parlarci del presente. Un presente quanto mai critico che riguarda non solo il suo Paese. Per giudicare i cospiratori partecipanti all’assassinio di Lincoln, viene istituito un tribunale militare che risponde direttamente all’inflessibile titolare del Ministero di Giustizia. Questo tribunale speciale ha un mandato altrettanto rigido: giungere alla condanna capitale degli accusati, senza badare troppo a quella lettera e a quella forma delle leggi che dovrebbe costituirne anche la sostanza. Tra i processati, Mary Suratt, madre di John, uno dei congiurati resosi latitante. La Suratt è la titolare di una piccola pensione all’interno della quale i cospiratori si sono incontrati diverse volte: solo per questo è alla sbarra. Redford restituisce perfettamente l’atmosfera di sdegno, di caos emotivo collettivo in cui precipita una nazione appena riunificata dopo la lunga e sanguinosa Guerra Civile che ha contrapposto gli Stati confederati del Nord a quelli del Sud, favorevoli al mantenimento della schiavitù. Lincoln era considerato e amato come un vero padre della Patria, difensore dei deboli e degli oppressi, ma anche l’unico capace di rimarginare quelle laceranti ferite. Il suo assassinio rischia di rimettere tutto in discussione, di fomentare una nuova ribellione tra i sudisti e di distruggere tutto il delicato disegno politico di pacificazione e integrazione tra le due parti. Per questo il Ministro della Giustizia non si limita a chiedere ma pretende dal tribunale una condanna tanto rapida quanto esemplare: l’eccezionalità della situazione lo impone. Ad assumere la difesa di Mary Suratt è un giovane avvocato che si è distinto come valoroso ufficiale dell’esercito nordista. Egli smonta pezzo per pezzo le accuse contro la sua assistita, dimostra irrefutabilmente che, aldilà delle sue idee politiche apertamente professate, lei non ha partecipato alla cospirazione e all’assassinio del Presidente Lincoln. Lo scontro tra Ragione di Stato che impone a tutti i costi la condanna a morte e la lettera della Legge che si attiene ai suoi principi formali non potrebbe essere più aperto. Ed è questo contrasto irriducibile, questa anima buia, nascosta, eppure sempre presente e incombete dello Stato che Redford vuole denunciare, ieri come oggi: nella vicenda di Lincoln come in quella di Kennedy o delle Torri Gemelle. Non a caso nel film si vedono i cospiratori che giacciono incappucciati a terra, proprio come a Guantanamo. Lo Stato moderno nasce per garantire l’incolumità e la sicurezza fisica delle persone, ma nella sua condizione di eccezionalità revoca questa garanzia e paradossalmente la rovescia in una immane minaccia diretta contro la quale è impossibile difendersi. È un paradosso inaccettabile, ma ormai sempre più all’ordine del giorno.
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filippo catani
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sabato 9 luglio 2011
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processi sommari di ieri e di oggi
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La pellicola prende in esame un momento dolorosissimo della storia americana; l'assassinio del presidente Lincoln al termine della Guerra di Secessione. Un giovane avvocato, distintosi in combattimento tra le fila del Nord, deve difendere una donna dall'accusa di aver ospitato i cospiratori e di aver partecipato al piano per l'uccisione del presidente. Piano al quale aveva aderito il giovane figlio.
Robert Redford ci regala un'altra piccola perla all'interno del suo cinema che da sempre è piuttosto impegnato. Quello che (volutamente) colpisce del film è il suo assoluto parallelismo con le vicende che hanno sconvolto gli USA dopo l'11 settembre. Per reagire al peggior evento mai capitato negli Usa (Lincoln ieri, le Torri oggi) tutto è lecito: sospensione del diritto, torture, abusi, pene di morte eseguite sommariamente, indagini condotte senza metodo, corpo giudicante già schierato.
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La pellicola prende in esame un momento dolorosissimo della storia americana; l'assassinio del presidente Lincoln al termine della Guerra di Secessione. Un giovane avvocato, distintosi in combattimento tra le fila del Nord, deve difendere una donna dall'accusa di aver ospitato i cospiratori e di aver partecipato al piano per l'uccisione del presidente. Piano al quale aveva aderito il giovane figlio.
Robert Redford ci regala un'altra piccola perla all'interno del suo cinema che da sempre è piuttosto impegnato. Quello che (volutamente) colpisce del film è il suo assoluto parallelismo con le vicende che hanno sconvolto gli USA dopo l'11 settembre. Per reagire al peggior evento mai capitato negli Usa (Lincoln ieri, le Torri oggi) tutto è lecito: sospensione del diritto, torture, abusi, pene di morte eseguite sommariamente, indagini condotte senza metodo, corpo giudicante già schierato. Chi osa difendere lo stato di diritto viene bollato con l'accusa infamante di tradimento.
Pur essendo un evento che non riguarda direttamente la nostra storia, il film appassiona anche il pubblico non americano e, per quanto appena detto in precedenza, non ci si può stupire della tiepida accoglienza del pubblico a stelle e strisce.
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immanuel
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sabato 25 giugno 2011
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povero redford
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Povero Redford. Se non fosse stato per le valide interpretazioni dei bravi Tom Wilkinson (il senatore) e Robin Wright (la supposta sediziosa) staremmo a commentare non un film per il grande cinema, ma una modesta fiction televisiva. Perché è per un inserimento nei palinsesti televisivi che questo film si prestava. Non tanto per la povertà della sceneggiatura o la mediocrità delle scenografie (lo script, che poteva essere reso più efficace e vivace, appare ad ogni modo adatto all’impiego in un film da grande schermo), quanto per lo scialbore della pellicola. La trama, in sostanza, c’è, ma è come è stata interpretata e organizzata che non convince.
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Povero Redford. Se non fosse stato per le valide interpretazioni dei bravi Tom Wilkinson (il senatore) e Robin Wright (la supposta sediziosa) staremmo a commentare non un film per il grande cinema, ma una modesta fiction televisiva. Perché è per un inserimento nei palinsesti televisivi che questo film si prestava. Non tanto per la povertà della sceneggiatura o la mediocrità delle scenografie (lo script, che poteva essere reso più efficace e vivace, appare ad ogni modo adatto all’impiego in un film da grande schermo), quanto per lo scialbore della pellicola. La trama, in sostanza, c’è, ma è come è stata interpretata e organizzata che non convince. L’andatura del film è piuttosto compassata, in alcuni punti rigida, del tutto prosaica e incolore. La struttura segue lo schema classico del legal drama: la narrazione dell’evento chiave, la messa in scena del crimine, cui segue il certame giudiziario tra accusa e difesa. ‘’The Conspirator’’ si distingue da qualsiasi altra fiction legale per il fatto di rappresentare le vicende di una vittima illustre, il presidente Abraham Lincoln, e quelle di una cospiratrice fuori dal comune Mary Surratt, la donna accusata di aver orchestrato l’omicidio del presidente. Ad assumere l’incarico della difesa della Surratt, un avvocato in erba Frederick Aiken, un Perry Mason ante litteram che tuttavia dimostra grande abilità oratoria. Il contesto storico, il canovaccio non senza spunti interessanti potevano essere fatti oggetto di una analisi più elaborata e originale. Ma, per converso, l’ultima opera di Redford ci sembra rigida, priva di batticuore, tranne che per peregrini spunti, statica e affetta da un’inerzia e un’artificiosità narrativa che si trascinano grossomodo per tutti i 120 minuti.
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catia p.
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mercoledì 10 agosto 2011
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the conspirator - un inutile buon film
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Per gli amanti del classico film americano che denuncia pregi e difetti della Legge made in USA, è da poco passata nelle sale la solida pellicola dell'immortale Robert Redford.
Diretta con sobria eleganza dal vecchio mestierante e avvalendosi di un cast pregevole, capace e senza sbavature, il film ci narra il “solito” pezzetto di storia statunitense col “solito” confronto tra giustizia e verità per decidere quale delle due debba essere scritta con la lettera maiuscola.
Stavolta il tribunale che vede dibattere l'avvocato idealista in difesa dei diritti umani è situato nel 1865 ed il processo si svolge contro Mary Surratt, accusata di aver cospirato per l'assassinio di Abraham Lincoln.
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Per gli amanti del classico film americano che denuncia pregi e difetti della Legge made in USA, è da poco passata nelle sale la solida pellicola dell'immortale Robert Redford.
Diretta con sobria eleganza dal vecchio mestierante e avvalendosi di un cast pregevole, capace e senza sbavature, il film ci narra il “solito” pezzetto di storia statunitense col “solito” confronto tra giustizia e verità per decidere quale delle due debba essere scritta con la lettera maiuscola.
Stavolta il tribunale che vede dibattere l'avvocato idealista in difesa dei diritti umani è situato nel 1865 ed il processo si svolge contro Mary Surratt, accusata di aver cospirato per l'assassinio di Abraham Lincoln.
Di fatto, il ministro della guerra ne vuol fare un capro espiatorio per placare la nazionale sete di vendetta per la morte dell'amato presidente in assenza dell'unico cospiratore sfuggito all'arresto, il di lei figlio John.
Il verdetto è dunque già deciso e l'avvocato è costretto (prima dal suo mentore e poi dalla sua coscienza) a farsi difensore di una causa persa.
Come nella migliore tradizione, l'eroe senza macchia si trova diviso tra due ideali. In questo caso: l'amor di Patria (è un capitano nordista appena rientrato dal fronte e fresco di medaglia al valore) e l'amore per la Costituzione la quale sancisce il diritto ad un processo equo per chiunque, anche per un presunto colpevole.
“Niente di nuovo sul fronte occidentale”, dunque e sono chiari i motivi per cui questo film, nonostante l'ottima confezione e la bravura dei suoi interpreti, non abbia avuto che una tiepida accoglienza in casa. Da un lato, nulla aggiunge a quanto già non si sappia (sia da un punto di vista storico che di soluzioni narrative), dall'altro è l'ennesima tirata d'orecchi di un regista per l'incoerenza dei propri connazionali: sempre pronti ad acclamare grandi diritti e, subito dopo, a calpestarli.
A Redford che dire? Si doveva fare meglio o, a questo punto, non si doveva fare affatto? Perché il sospetto che sia un buon film, ma assolutamente inutile c'è.
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pelle82
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lunedì 27 giugno 2011
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che spreco!!
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buona regia, sceneggiatura discreta, ottimi costumi e buona interpretazione dei personaggi da parte degli attori.
Alcuni film possono e devono essere strutturati meglio però. Resta un film appena discreto che non si ricorderà più di qualche secondo dopo la sua fine.
la storia è tristemente famosa, ma avrebbe potuto essere arricchita e lavorata molto molto meglio, c'era trippa per gatti. .peccato!
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