eugenio
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martedì 21 giugno 2011
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l'enfant alla dardenne
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Rosetta che corre,Rosetta che va, Rosetta che scappa in fuga dalla realtà.
Una realtà di stenti, miseria e fatica quella in cui si muove la giovane adolescente debilitata nel fisico e spezzata negli affetti familiari da una madre alcolizzata che si concede in cambio di una bottiglia e da un padre inesistente,fuggevole figura senza nome né volto.
Rosetta è sola, emarginata, non ha amici, né giochi: è cresciuta troppo in fretta ai margini di una Bidonville lercia e puzzolente, cucinando (quando va bene) trote pescate con una lenza “artigianale” in uno stagno fangoso, cambiando lavoro giornalmente e venendo immancabilmente licenziata per spesso futili motivi.
Ma Rosetta non si arrende: ha un sogno, un obiettivo: trovare un lavoro onesto, uno status quo che le permetta di emanciparsi, raggiungendo una dignità morale e un orgoglio da “persona normale”.
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Rosetta che corre,Rosetta che va, Rosetta che scappa in fuga dalla realtà.
Una realtà di stenti, miseria e fatica quella in cui si muove la giovane adolescente debilitata nel fisico e spezzata negli affetti familiari da una madre alcolizzata che si concede in cambio di una bottiglia e da un padre inesistente,fuggevole figura senza nome né volto.
Rosetta è sola, emarginata, non ha amici, né giochi: è cresciuta troppo in fretta ai margini di una Bidonville lercia e puzzolente, cucinando (quando va bene) trote pescate con una lenza “artigianale” in uno stagno fangoso, cambiando lavoro giornalmente e venendo immancabilmente licenziata per spesso futili motivi.
Ma Rosetta non si arrende: ha un sogno, un obiettivo: trovare un lavoro onesto, uno status quo che le permetta di emanciparsi, raggiungendo una dignità morale e un orgoglio da “persona normale”. Per far questo è disposta anche a tradire, a infrangere inviolabili regole di amicizia, a far perdere il posto di lavoro all’unica persona che l’aveva aiutata nei momenti di maggiore crisi, offrendole un sostegno ben lungi dal semplice possesso fisico: l’amico/nemico Riquet, disonesto impiegato presso un chiosco di cialde, venditore non autorizzato di prodotti fatti in casa. Ogni azione è inutile per Rosetta: lei sfugge a ogni contatto,non prova amore, pietà, la sua vita è orientata solo alla sofferenza e all’odio verso gli altri: ne è testimonianza la scena in cui arriva a desiderare la morte di Riquet indugiando fino all’ultimo a salvarlo mentre questi sta affogando.
Giovanissima d’anni, Rosetta ha assorbito la cinica spregiudicatezza, la stanchezza morale di un’epoca segnata dalla disoccupazione, dall’indigenza e dallo spietato opportunismo. Il suo malessere interiore la conduce inesorabilmente al dolore, un sentimento troppo difficile da affrontare con le sole forze di fanciulla, troppo potente per una ragazzina di sedici anni. Solo dalla consapevolezza di questa constatazione, Rosetta imparerà finalmente il vero significato della parola “vivere”.
I fratelli belgi Dardenne tornano alla scena analizzando senza enfasi retorica o sofisticate elaborazioni tecniche (una scenografia che non ha nulla da invidiare alle pellicole danesi del Dogma di Von Trier) il complicato cammino esistenziale di un enfant alle prese con le difficoltà del vivere quotidiano. L’accento è posto all’analisi intimista e al mondo interiore di una giovane donna, tratteggiato attraverso l’utilizzo di frequenti primi piani della telecamera in movimento che si pone al totale servizio della protagonista studiandone movenze e gestualità. La pellicola rappresenta un work in progress, un lavoro in fase di sviluppo, un semplice spaccato della grandezza e dignità morale di un’esistenza in solitudine. Sebbene essa sia oscurata da un dolore vivo e pungente, i cineasti sembrano suggerire che esiste una via di scampo, una speranza tale da squarciare il velo di ipocrisia quotidiana e mostrare finalmente la bellezza della vita e la grande forza dell’amore (vedi la lunga e intensa scena finale).
Rosetta è un film di sguardi,gesti,sensazioni, lucido e scarno, potente e effimero nella sua breve durata, un lampo a ciel sereno che difficilmente non scuote (e scuoterà) l’animo di molte coscienze.
Di certo è riuscito nel suo intento con quelle dei giurati a Cannes nel 1999, vincendo la meritata Palma d’oro e l’obbligato premio per la miglior interpretazione femminile a Emilie Dequenne, la forte e fragile protagonista.
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gianleo67
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lunedì 20 maggio 2013
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la piccola fiammiferaia di liegi
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Rosetta,poco più che adolescente, cerca ostinatamente di mantenere un lavoro stabile tra il bisogno di una difficile normalità umana e sociale e la necessità di accudire una madre alcolista con cui vive nella precaria sistemazione di una roulotte alla periferia di Liegi. Incontra Riquet che lavora nel chiosco di un grande panificio e che cerca di aiutarla facendola assumere dal suo principale ed offrendole una sistemazione stabile in casa sua. Quando anche questa occupazione sembra sfuggirle di mano però,spinta dalla disperazione, non esita a tradire l'amico per prenderne il posto.
Il rigore implacabile di una camera a mano che segue la ostinata lotta per la sopravvivenza della indomita protagonista di una vita ai margini di una moderna civiltà urbana; una piccola fiammiferia immersa nel gelo dell'inverno belga, nel suo moto perpetuo quotidiano tra i cespugli ed il fango di un sentiero suburbano verso la roulotte che chiama 'casa' e la grigia ostilità di una società del lavoro quale unico balurado di salvaguardia di una dignità calpestata, ignorata, esposta al ricatto di una incombente esclusione sociale.
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Rosetta,poco più che adolescente, cerca ostinatamente di mantenere un lavoro stabile tra il bisogno di una difficile normalità umana e sociale e la necessità di accudire una madre alcolista con cui vive nella precaria sistemazione di una roulotte alla periferia di Liegi. Incontra Riquet che lavora nel chiosco di un grande panificio e che cerca di aiutarla facendola assumere dal suo principale ed offrendole una sistemazione stabile in casa sua. Quando anche questa occupazione sembra sfuggirle di mano però,spinta dalla disperazione, non esita a tradire l'amico per prenderne il posto.
Il rigore implacabile di una camera a mano che segue la ostinata lotta per la sopravvivenza della indomita protagonista di una vita ai margini di una moderna civiltà urbana; una piccola fiammiferia immersa nel gelo dell'inverno belga, nel suo moto perpetuo quotidiano tra i cespugli ed il fango di un sentiero suburbano verso la roulotte che chiama 'casa' e la grigia ostilità di una società del lavoro quale unico balurado di salvaguardia di una dignità calpestata, ignorata, esposta al ricatto di una incombente esclusione sociale.
Un film duro e necessario quello dei Dardenne, dove la purezza e la lucidità dello sguardo non lascia scampo, don indugia al patetismo di una retorica della rappresentazione drammatica così cara al cinema realista nè tantomeno si lascia irretire dalla facili lusinghe intellettuali del cinema verità (pur surrogandone stilemi e contenuti), mettendo a fuoco nella ravvicinata intimità dei primi piani le diffidenza dolorosa di una straordinaria protagonista femminile (la giovanissima Émilie Dequenne) la cui coscienza di classe è il paradigma etico con cui misurare la radicalità di scelte talora incomprensibili (la tentazione di lasciar affogare il suo diretto concorrente benchè sia l'amico,l'unico, che le ha teso una mano) piu' spesso improntate ad una commovente ostinazione (l'aggrapparsi con le unghia e con i denti al posto di lavoro di cui la hanno ingiustamente defraudata, cercare di salvare la madre ingrata dal circolo vizioso di una devastante dipendenza tra alcolismo e prostituzione).
Dramma sociale in presa diretta che pure segue la nobile tradizione del cinema europeo (dell'anno prima è il bellissimo 'La vie rêvée des anges' di Erick Zonca con un'altro straordinario esordio femminile premiato a Cannes) degli anni 90; uno spaccato credibile e impietoso di una deriva sociale ed umana che troppo spesso ci lascia indifferenti e che pure si astiene da qualunque valutazione di ordine morale, concedendo solo nel finale di traguardare nell'ironica sorte di un suicidio mancato,nel crepitio molesto di una livorosa persecuzione la speranza di uno slancio inatteso, e la mano tesa di una solidale comprensione umana. Opera scabra, senza fronzoli, dove all'asciuttezza dello sguardo si coniuga la totale assenza di una partitura musicale a sottolinearne da un lato il rigore di un intento documentaristico (Belgio, ai nostri giorni,vita della giovane Rosetta...) dall'altro il silente lirismo di una vita sospesa tra l'istinto di sopravvivenza e una tenace aspirazione alla normalità (la protagonista in una scena ripete come un mantra il proprio nome e l'affermazione di una propria identità umana e sociale ricordando il Jean-Pierre Léaud ormai cresciuto dei 400 colpi che ripete il suo nome davanti allo specchio della propria insicurezza). Come l'attore feticcio di Trouffaut anche per la straordinaria prova della Dequenne si tratta di un esordio folgorante: vincitrice del Prix d'interprétation féminine al Festival di Cannes 1999.
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luca scial�
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sabato 4 gennaio 2014
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una ragazza sola con i suoi guai
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Rosetta vive in un campeggio, il Gran Kanyon, insieme alla madre, alcolizzata, pronta a prostituirsi per una bottiglia di alcol. Cerca disperatamente un lavoro ma non gliene va bene una. Dalla disperazione arriva a tradire anche l'unico amico che si era trovata, facendolo licenziare per prendere il suo posto. Il lavoro sembra averle dato finalmente un minimo di speranza, ma il mondo le ricrolla addosso.
Dopo il film d'esordio La promesse, i fratelli Dardenne riprendono i concetti del Dogma per proporre una nuova storia sugli emarginati. Un film crudo, essenziale, disperato, che gli valse la palma d'oro al Festival di Cannes 1999. Mentre alla bravissima Emilie Duquenne che interpreta Rosetta, fu data la palma come migliore attrice.
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Rosetta vive in un campeggio, il Gran Kanyon, insieme alla madre, alcolizzata, pronta a prostituirsi per una bottiglia di alcol. Cerca disperatamente un lavoro ma non gliene va bene una. Dalla disperazione arriva a tradire anche l'unico amico che si era trovata, facendolo licenziare per prendere il suo posto. Il lavoro sembra averle dato finalmente un minimo di speranza, ma il mondo le ricrolla addosso.
Dopo il film d'esordio La promesse, i fratelli Dardenne riprendono i concetti del Dogma per proporre una nuova storia sugli emarginati. Un film crudo, essenziale, disperato, che gli valse la palma d'oro al Festival di Cannes 1999. Mentre alla bravissima Emilie Duquenne che interpreta Rosetta, fu data la palma come migliore attrice. Un'interprete dalle grandi promesse, che vinse un altro riconoscimento con il film successivo, ma che poi col tempo si è un pò persa.
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guidobaldo maria riccardelli
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martedì 3 maggio 2016
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mors tua, mors mea
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Angosciante e straziante, obbliga a prendere coscienza di una realtà così disagiata e drammatica, annullando la possibilità di voltarsi dalla parte opposta. Giustamente premiato a suo tempo, rimane del tutto attuale a quasi vent'anni di distanza.
Un inseguimento, un vero e proprio pedinamento è quello che offrono i fratelli Dardenne, provocando una seria riflessione sul tema del lavoro, ed in particolare sulla funzione sociale di questo, sulla penosa equivalenza oramai automatica tra lavoro ed identità.
La storia di Rosetta è drammatica, la sua situazione non così comune, ma le dinamiche che la investono, le pulsioni che in lei albergano rispecchiano in piena regola le dinamiche normali, gli obblighi entro i quali la società permette di muoversi; la giovane è ciò fa, è perché fa; non si può permettere di non fare, equivarrebbe ad una negazione di lei stessa.
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Angosciante e straziante, obbliga a prendere coscienza di una realtà così disagiata e drammatica, annullando la possibilità di voltarsi dalla parte opposta. Giustamente premiato a suo tempo, rimane del tutto attuale a quasi vent'anni di distanza.
Un inseguimento, un vero e proprio pedinamento è quello che offrono i fratelli Dardenne, provocando una seria riflessione sul tema del lavoro, ed in particolare sulla funzione sociale di questo, sulla penosa equivalenza oramai automatica tra lavoro ed identità.
La storia di Rosetta è drammatica, la sua situazione non così comune, ma le dinamiche che la investono, le pulsioni che in lei albergano rispecchiano in piena regola le dinamiche normali, gli obblighi entro i quali la società permette di muoversi; la giovane è ciò fa, è perché fa; non si può permettere di non fare, equivarrebbe ad una negazione di lei stessa. Per questo rimane attaccata con tutte le forze alle mansioni affidatele: ricorre alla forza, alla lotta, alla meschinità, al tradimento per sopravvivere, per sopravvivere come essere sociale.
Ne ha giocoforza bisogno, non naviga in acque tranquille, ma la componente venale arriva dopo, in primis le occorre essere.
In tutto ciò combatte, obbedisce, esegue, fa da madre alla madre, si nega ogni altra implicazione sentimentale, ben conscia che si troverà, prima o poi, costretta a romperla.
Resiste fin che può, si muove agile nei gangli malati delle logiche capitalistiche, ottiene anche il sognato grembiule bianco, con il suo nome, Rosetta, ricamato. Finalmente è. Solissima, abbandonata, ma il buoco nero così temuto è più lontano.
Non può però sfilacciare ogni legame estraneo, non può neutralizzare ogni perturbazione possibile. Risoluta al peggio, all'azione ultima ed incacellabile, dovrà scoprire che nemmeno ciò è scevro da logiche terrene.
La nostra è chiamata all'agone finale, nella magistrale chiusura: accerchiata da quelli che, a tutti gli effetti, paiono avvoltoi in attesa della carcassa sulla quale fiondarsi, scorgerà un appiglio, improvviso ed insperato.
Qualche buon cuore ancora sopravvive, forse.
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