vanessa zarastro
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martedì 6 agosto 2019
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conseguenze belliche
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Prodotto nel 1988 e riuscito al cinema nel 2015 “Hotaru no haka”, titolo originale, racconta il terribilebombardamento americano del 17 marzo del 1945, durante la Seconda Guerra mondiale, che costò la vita a 8.800 abitanti e distrusse più del 20% dell'area urbana.
L'evento aveva ispirato il romanzo “Una tomba per le lucciole”del 1967 scritto da Nosaka Akiyuki, uno scrittore che era distrutto dal dolore per aver perso la sorella minore nel Giappone proprio in quella data.
Isao Takahata dal romanzo ha trattoil film omonimo animato ambientandolo nell’isola devastata dalla guerra. Siamo, infatti, a Kobe nell'isola di Honshu, in Giappone, nel giugno del 1945, mentre gli attacchi delle forze armate americane con bombe incendiarie, si fanno sempre più intensi.
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Prodotto nel 1988 e riuscito al cinema nel 2015 “Hotaru no haka”, titolo originale, racconta il terribilebombardamento americano del 17 marzo del 1945, durante la Seconda Guerra mondiale, che costò la vita a 8.800 abitanti e distrusse più del 20% dell'area urbana.
L'evento aveva ispirato il romanzo “Una tomba per le lucciole”del 1967 scritto da Nosaka Akiyuki, uno scrittore che era distrutto dal dolore per aver perso la sorella minore nel Giappone proprio in quella data.
Isao Takahata dal romanzo ha trattoil film omonimo animato ambientandolo nell’isola devastata dalla guerra. Siamo, infatti, a Kobe nell'isola di Honshu, in Giappone, nel giugno del 1945, mentre gli attacchi delle forze armate americane con bombe incendiarie, si fanno sempre più intensi.
Seita e Setsuko sono due fratelli in fuga che cercano riparo essendosi disuniti dagli altri membri della famiglia, in particolare dalla loro madre. Immensi incendi stanno distruggendo interi villaggi, le cui case erano costruite prevalentemente in legno. Alla fine vedono la città di Kobe ridotta in cenere.
Seita si mette in cerca della madre che scoprirà essere ferita, lasciando la sorellina da una vicina riconosciuta tra gli sfollati, e dovrà purtroppo verificare che le ferite erano talmente gravi da procurarle la morte. Assisterà quindi alla cremazione riportando le ceneri in uno scatolone che nasconderà alla vista della sorellina. Dire a lei che la madre è morta significa anche dirlo a se stesso.
I due fratelli vanno a stare dalla zia, la sorella del padre e Seita si sente sempre più responsabile del benessere della sorella che cerca di viziare. Sembra proprio che il suo unico scopo nella vita sia quello di prendersi cura di lei: ci gioca, la lava, la accudisce in tutto e per tutto, disinteressandosi di tutto il resto. Il filmato mostra con tenerezza tutti i giochi che lui si inventa per intrattenere la bambina, la porta al mare, la fa giocare con la sabbia, le promette di insegnarle a nuotare quando sarà un po’ più grande e, soprattutto giocano con le lucciole che useranno come luci di notte.
Seita scrive al padre militare della Marina Imperiale Giapponese, una lettera per comunicargli la morte della madre, sempre di nascosto dalla sorella verso la quale è molto protettivo.
Il disinteresse di Seita per tutte le altre cose che non siano stare con la sorellina, provocherà una forte irritazione nella zia che si aspetta aiuto e gratitudine dai due orfanelli e gli rinfaccia di stare tutto il giorno senza far niente e di mangiare a sbafo, mentre zio e cugino lavorano per la Nazione. Dopo l’ennesimo rimprovero della zia, venduti i preziosi kimono della madre per mangiare un po’ di riso bianco, e racimolati in banca un po’ di soldi lasciati sul conto, i due fratellini se ne vanno a vivere per conto loro. Dove? La loro casa non c’è più e tutto il loro quartiere è stato raso al suolo. Hanno uno zio a Tokio da parte di madre ma non ne conoscono l’indirizzo, quindi se ne vanno a vivere in una grotta, ex rifugio antiaereo, dove spesso andavano a giocare. Finalmente faranno ciò che vogliono!
Nonostante Seita si ingegni nel trovare vecchi fornelli da riesumare e strumenti per attrezzare la casa, la vita sarà dura e faticosa, il cibo diventa scarso e sembra che nessuno più aiuti più i due orfanelli. Seita finirà per aspettare gli attacchi aerei degli Americani per correre, rischiando, nelle case a rubare cibo e vestiti mentre gli abitanti scappano o sono al rifugio.
Questa escalation nella vita di stenti porterà a tragiche conseguenze. La piccola Setsuko si ammala, si riempie di bolle e ha sempre la diarrea. Finalmente Seita la porterà da un medico che constaterà, tardi purtroppo, che il suo male è dovuto a cattiva nutrizione pertanto non ci sono medicine per farla guarire ma solo un buon cibo.
Seika, andato in cerca di cose buone e sane per la sorellina, scopre che la guerra è finita, il Giappone si è arreso, ma la Marina Imperiale è stata annientata. Svanita così anche la speranza di rivedere il padre, piange disperatamente.
Trova finalmente del cibo sano e corre a portarlo dalla sorellina, ma ormai sarà troppo tardi. Curerà in prima persona e fino all’ultimo il funerale della bimba, compresa la cremazione, e metterà le sue ossa in una scatola di caramelle che lei amava tanto. Poi si trascinerà in città vivendo come un barbone. Morirà di stenti e dopo la sua morte si ricongiungeranno i due spiriti felici.
È stato lo stesso Takahata a rivelare come il romanzo di Akiyuki Nosaka lo abbia colpito nel profondo, ricordandogli il drammatico periodo della Seconda Guerra mondiale e dei bombardamenti che distrussero le maggiori città giapponesi. Fu proprio questa profonda commozione a convincerlo a trasformare il romanzo in un film d'animazione.
Distribuito in Giappone una prima volta trent’anni fa, Il film, fatto apposta per commuovere, è straziante anche se Isao Takahata cerca di trattare con (apparente) leggerezza i temi drammatici delle conseguenze della guerra.
Il regista, morto un anno fa, è stato co-fondatore nel 1985 assieme a Hayao Miyazaki del celebre Studio Ghibli, produttore di molti popolari film d’animazione.
L’influenza della cultura e del cinema d’animazione europeo sono stati la caratteristica distintiva dei due protagonisti dell’animazione giapponese. Isao Takahata in particolare aveva studiato in Francia dove aveva preso una laurea in Letteratura Francese, era un appassionato di Jacques Prévert, e aveva curato gli adattamenti e le traduzioni in giapponese del film di Grimault (rifacimento nel 1980 dell’incompiuto “La Bergère et le ramoneur” e di quelli di Michel Ocelot.
Gran parte dei lavori dello Studio Ghibli ha vinto premi nel campo dell'animazione, tra cui l’Anime Grand Prix, tanto che alcuni sono stati giudicati dalla critica tra i più bei film per bambini mai realizzati come “Il mio vicino Totoro” (1988), “Kiki – Consegne a domicilio” (1989) e “Principessa Mononoke”(1997). Nel 2002, “La città incantata” ha vinto l’Oscar per il miglior film d’animazione.
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martedì 22 luglio 2025
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l''innocenza e la guerra
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Il cinema ha raccontato e racconta tante volte la seconda guerra mondiale, narrando spesso vicende che si svolgono in Europa: più raramente (almeno così sembra da questo angolo di mondo) sono state inscenate storie che raccontano questo conflitto ponendo come sfondo, il continente asiatico. Se poi ci si sofferma sul Giappone non si può dimenticare che è proprio lì che il secondo conflitto globale si concluse definitivamente e nel peggiore dei modi.
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Il cinema ha raccontato e racconta tante volte la seconda guerra mondiale, narrando spesso vicende che si svolgono in Europa: più raramente (almeno così sembra da questo angolo di mondo) sono state inscenate storie che raccontano questo conflitto ponendo come sfondo, il continente asiatico. Se poi ci si sofferma sul Giappone non si può dimenticare che è proprio lì che il secondo conflitto globale si concluse definitivamente e nel peggiore dei modi. La ricerca si fa ancora più ardua se ci si rivolge al cinema d’animazione, ma gli esempi ci sono: si pensi ai due film che furono tratti, negli anni ’80, dal manga di Keiji Nakazawa, “Gen di Hiroshima”, oppure a “Si alza il vento” di Hayao Myazaki. Anche “La tomba delle lucciole”, come lo splendido film di Myazaki, è targato “Studio Ghibli”. Vale la pena di spendere qualche riga sulla storia produttiva di questo film, uscito nel 1988. La storia è tratta da un romanzo parzialmente autobiografico di Nosaka Akiyuki, e alla base di essa c’è un fatto dolorosissimo: l’autore riversò sul testo il suo senso di colpa per la morte della sorella minore, deceduta durante il conflitto. Allo scrittore fu proposto varie volte di cedere i diritti per una trasposizione cinematografica tradizionale, ma Akiyuki optò infine, per un lungometraggio d’animazione e il progetto finì sotto la responsabilità dello Studio Ghibli e di Isao Takahata (una delle “colonne” dello Studio Ghibli insieme a Myazaki). Fu la mossa vincente: il risultato fu un film rimasto giustamente nella storia del cinema d’animazione mondiale e impregnato di una poesia e di una delicatezza difficilmente raggiungibili con un film tradizionale. Tuttavia, “La tomba delle lucciole” non è un film la cui visione lascia comodi sulla poltrona e chi si appresta a vederlo è avvisato fin dalle prime scene: qui il tono è poetico ma è anche molto tragico e crudo.
La vicenda si apre nella stazione di Kobe, in Giappone, nel settembre del 1945: la guerra è finita da poche settimane, lasciando dietro di sé una scia di morti e di miseria. Su uno dei marciapiedi della stazione un ragazzino, Seita, muore di stenti. Nel palmo di una mano stringe una scatolina di latta (scopriremo, in seguito, che conteneva caramelle e che ha una sua importanza narrativa). La morte sopraggiunge in mezzo all’indifferenza dei passanti. Dopo il decesso, il fantasma di Seita osserva il suo stesso cadavere, spaventato e incredulo. Nessuno può accorgersi di questa “presenza”. Uno degli addetti alle pulizie trova la scatolina di latta e la getta in un prato. Nel punto raggiunto dall’oggetto, compare improvvisamente il fantasma di una bambina: si chiama Setsuko, è la sorella minore di Seita e lo sta aspettando. Seita la raggiunge e i due si tengono per mano, cominciando a dirigersi verso una destinazione. Mentre proseguono il loro cammino, Seita rivive gli ultimi mesi della loro vita, dalla morte della madre sotto i bombardamenti ai loro disperati tentativi di sopravvivenza, fino al loro tragico destino.
“La tomba delle lucciole” comincia, dunque, dal pre-finale, con uno stratagemma “fantastico” inscenato abilmente e che inframezza la vicenda per far digerire allo spettatore bocconi amarissimi: perché il resto del film sbatte la tragicità della guerra e della miseria che porta con sé, spirituale più che materiale, con una forza che forse non ha eguali e dove l’empatia che suscitano i due protagonisti (oltretutto i disegni sono bellissimi e le espressioni facciali dei due personaggi principali sono meravigliose e abbracciano tutta la vasta gamma delle emozioni), con la loro voglia di giocare e di vivere nonostante tutto, conduce senza tentennamenti lo spettatore verso la commozione che racchiude in sé il messaggio del film. In questa meravigliosa opera, la condanna della violenza è totale e senza ambiguità: non ci sono sconti sull’imperialismo giapponese e sulla manipolazione psicologica dei popoli (il personaggio della zia ne é l’esempio più evidente e lo stesso Seita, figlio di un ufficiale della Marina, ne è a sua insaputa imbevuto per poi subirne inconsapevolmente le conseguenze), la stragrande maggioranza degli adulti dà il peggio di sé (un’eccezione c’è, in questo film ed è un esempio di grandissima umanità durante una delle scene più belle) e gli istinti peggiori scatenati dal conflitto si riversano soprattutto sui minori, ben rappresentati dalla coppia di protagonisti. Ma non ci sono soltanto l’importanza delle tematiche (purtroppo sempre attuali) e la bellezza dei disegni a rendere grandissimo questo film: no, ciò che lo rende davvero un capolavoro è la sua finezza psicologica. Se non fosse un film d’animazione e non avesse quel prologo e quell’epilogo (meravigliosi e davvero poetici), lo si potrebbe perfino definire un film quasi neorealista (“quasi” perché il neorealismo fu una corrente del cinema italiano) perché i personaggi sono tutti credibili e verosimili e le scene hanno un impatto perfino sgradevole durante i momenti più crudi: non poteva essere altrimenti, perché qui si parla della guerra con il suo corollario di stragi e di stenti. Seita e Setsuko attraversano uno scenario in cui la follia e l’egoismo la fanno da padroni, dove non c’é pietà per i due nemmeno, complice la miseria, subito dopo la fine del conflitto ma anche dove, nello stesso tempo, l’infanzia e la giovinezza reclamano il loro diritto alla felicità: ecco, quindi, che gli unici posti rassicuranti diventano, temporaneamente, il rifugio isolato dove fratello e sorella tentano di ricomporre una parvenza di serenità e quella spiaggia che si affaccia su un mare bellissimo, simbolo di un’innocenza che rischia di essere perduta o sopraffatta. Innocenza incarnata perfettamente anche dalla piccola Setsuko che, attraverso i suoi gesti e le sue affermazioni, ricorda agli spettatori che i bambini, pur avendo uno sguardo ancora puro, percepiscono anche la crudeltà del mondo: è lei a scavare la tomba del titolo mentre, seppellendo le lucciole, dice che è ingiusto che vivano troppo poco. Un’immagine tristissima che si trasforma, attraverso il montaggio e la narrazione, in una metafora terribile: quelle lucciole gettate nella terra sono come gli esseri umani, le cui vite sono state “spente” appunto troppo presto, buttati nelle fosse comuni. Una scena veramente difficile da dimenticare e che contribuisce anch’essa a rendere memorabile un film veramente “forte” (complice anche una colonna sonora veramente tenera e commovente), ma che rimane nella memoria come tutti i veri capolavori e resta purtroppo attuale: perché questo film è anche un grido, duro e straziante, contro ogni forma violenza, inclusa soprattutto la guerra, che mette con le spalle al muro chi non vuole né vedere né sentire.
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Il cinema ha raccontato e racconta tante volte la seconda guerra mondiale, narrando spesso vicende che si svolgono in Europa: più raramente (almeno così sembra da questo angolo di mondo) sono state inscenate storie che raccontano questo conflitto ponendo come sfondo, il continente asiatico. Se poi ci si sofferma sul Giappone non si può dimenticare che è proprio lì che il secondo conflitto globale si concluse definitivamente e nel peggiore dei modi. La ricerca si fa ancora più ardua se ci si rivolge al cinema d’animazione, ma gli esempi ci sono: si pensi ai due film che furono tratti, negli anni ’80, dal manga di Keiji Nakazawa, “Gen di Hiroshima”, oppure a “Si alza il vento” di Hayao Myazaki. Anche “La tomba delle lucciole”, come lo splendido film di Myazaki, è targato “Studio Ghibli”. Vale la pena di spendere qualche riga sulla storia produttiva di questo film, uscito nel 1988. La storia è tratta da un romanzo parzialmente autobiografico di Nosaka Akiyuki, e alla base di essa c’è un fatto dolorosissimo: l’autore riversò sul testo il suo senso di colpa per la morte della sorella minore, deceduta durante il conflitto. Allo scrittore fu proposto varie volte di cedere i diritti per una trasposizione cinematografica tradizionale, ma Akiyuki optò infine, per un lungometraggio d’animazione e il progetto finì sotto la responsabilità dello Studio Ghibli e di Isao Takahata (una delle “colonne” dello Studio Ghibli insieme a Myazaki). Fu la mossa vincente: il risultato fu un film rimasto giustamente nella storia del cinema d’animazione mondiale e impregnato di una poesia e di una delicatezza difficilmente raggiungibili con un film tradizionale. Tuttavia, “La tomba delle lucciole” non è un film la cui visione lascia comodi sulla poltrona e chi si appresta a vederlo è avvisato fin dalle prime scene: qui il tono è poetico ma è anche molto tragico e crudo.
La vicenda si apre nella stazione di Kobe, in Giappone, nel settembre del 1945: la guerra è finita da poche settimane, lasciando dietro di sé una scia di morti e di miseria. Su uno dei marciapiedi della stazione un ragazzino, Seita, muore di stenti. Nel palmo di una mano stringe una scatolina di latta (scopriremo, in seguito, che conteneva caramelle e che ha una sua importanza narrativa). La morte sopraggiunge in mezzo all’indifferenza dei passanti. Dopo il decesso, il fantasma di Seita osserva il suo stesso cadavere, spaventato e incredulo. Nessuno può accorgersi di questa “presenza”. Uno degli addetti alle pulizie trova la scatolina di latta e la getta in un prato. Nel punto raggiunto dall’oggetto, compare improvvisamente il fantasma di una bambina: si chiama Setsuko, è la sorella minore di Seita e lo sta aspettando. Seita la raggiunge e i due si tengono per mano, cominciando a dirigersi verso una destinazione. Mentre proseguono il loro cammino, Seita rivive gli ultimi mesi della loro vita, dalla morte della madre sotto i bombardamenti ai loro disperati tentativi di sopravvivenza, fino al loro tragico destino.
“La tomba delle lucciole” comincia, dunque, dal pre-finale, con uno stratagemma “fantastico” inscenato abilmente e che inframezza la vicenda per far digerire allo spettatore bocconi amarissimi: perché il resto del film sbatte la tragicità della guerra e della miseria che porta con sé, spirituale più che materiale, con una forza che forse non ha eguali e dove l’empatia che suscitano i due protagonisti (oltretutto i disegni sono bellissimi e le espressioni facciali dei due personaggi principali sono meravigliose e abbracciano tutta la vasta gamma delle emozioni), con la loro voglia di giocare e di vivere nonostante tutto, conduce senza tentennamenti lo spettatore verso la commozione che racchiude in sé il messaggio del film. In questa meravigliosa opera, la condanna della violenza è totale e senza ambiguità: non ci sono sconti sull’imperialismo giapponese e sulla manipolazione psicologica dei popoli (il personaggio della zia ne é l’esempio più evidente e lo stesso Seita, figlio di un ufficiale della Marina, ne è a sua insaputa imbevuto per poi subirne inconsapevolmente le conseguenze), la stragrande maggioranza degli adulti dà il peggio di sé (un’eccezione c’è, in questo film ed è un esempio di grandissima umanità durante una delle scene più belle) e gli istinti peggiori scatenati dal conflitto si riversano soprattutto sui minori, ben rappresentati dalla coppia di protagonisti. Ma non ci sono soltanto l’importanza delle tematiche (purtroppo sempre attuali) e la bellezza dei disegni a rendere grandissimo questo film: no, ciò che lo rende davvero un capolavoro è la sua finezza psicologica. Se non fosse un film d’animazione e non avesse quel prologo e quell’epilogo (meravigliosi e davvero poetici), lo si potrebbe perfino definire un film quasi neorealista (“quasi” perché il neorealismo fu una corrente del cinema italiano) perché i personaggi sono tutti credibili e verosimili e le scene hanno un impatto perfino sgradevole durante i momenti più crudi: non poteva essere altrimenti, perché qui si parla della guerra con il suo corollario di stragi e di stenti. Seita e Setsuko attraversano uno scenario in cui la follia e l’egoismo la fanno da padroni, dove non c’é pietà per i due nemmeno, complice la miseria, subito dopo la fine del conflitto ma anche dove, nello stesso tempo, l’infanzia e la giovinezza reclamano il loro diritto alla felicità: ecco, quindi, che gli unici posti rassicuranti diventano, temporaneamente, il rifugio isolato dove fratello e sorella tentano di ricomporre una parvenza di serenità e quella spiaggia che si affaccia su un mare bellissimo, simbolo di un’innocenza che rischia di essere perduta o sopraffatta. Innocenza incarnata perfettamente anche dalla piccola Setsuko che, attraverso i suoi gesti e le sue affermazioni, ricorda agli spettatori che i bambini, pur avendo uno sguardo ancora puro, percepiscono anche la crudeltà del mondo: è lei a scavare la tomba del titolo mentre, seppellendo le lucciole, dice che è ingiusto che vivano troppo poco. Un’immagine tristissima che si trasforma, attraverso il montaggio e la narrazione, in una metafora terribile: quelle lucciole gettate nella terra sono come gli esseri umani, le cui vite sono state “spente” appunto troppo presto, buttati nelle fosse comuni. Una scena veramente difficile da dimenticare e che contribuisce anch’essa a rendere memorabile un film veramente “forte” (complice anche una colonna sonora veramente tenera e commovente), ma che rimane nella memoria come tutti i veri capolavori e resta purtroppo attuale: perché questo film è anche un grido, duro e straziante, contro ogni forma violenza, inclusa soprattutto la guerra, che mette con le spalle al muro chi non vuole né vedere né sentire.
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