Il film- girato in presa diretta nel 1952- è ancora moderno ed attuale perché, pur se ambientato nella Napoli dei primi del Novecento, descrive, con asciutto linguaggio cinematografico, una realtà che ha molte analogie con la vita politica e sociale dell’Italia dei nostri tempi: la malavita organizzata e la pressione violenta che esercita sulla società, le torbide protezioni di cui godono i capi delle famiglie malavitose, il malaffare politico, l’ azione di contrasto svolta con tenacia e coraggio da magistrati,spesso isolati, decisi a fare piena luce sugli stretti, ed apparentemente inafferrabili, intrecci tra crimine organizzato e settori del mondo delle professioni e degli apparati deviati dello stato.
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Il film- girato in presa diretta nel 1952- è ancora moderno ed attuale perché, pur se ambientato nella Napoli dei primi del Novecento, descrive, con asciutto linguaggio cinematografico, una realtà che ha molte analogie con la vita politica e sociale dell’Italia dei nostri tempi: la malavita organizzata e la pressione violenta che esercita sulla società, le torbide protezioni di cui godono i capi delle famiglie malavitose, il malaffare politico, l’ azione di contrasto svolta con tenacia e coraggio da magistrati,spesso isolati, decisi a fare piena luce sugli stretti, ed apparentemente inafferrabili, intrecci tra crimine organizzato e settori del mondo delle professioni e degli apparati deviati dello stato.
La complessità dei temi trattati e l’intenso ritmo narrativo di “Processo alla città” si devono alla prodigiosa sinergia di un gruppo di cineasti e sceneggiatori che avrebbero poi, con il loro appassionato talento, contribuito alla crescita culturale e civile del cinema italiano: Luigi Zampa, Nanni Loy, Mauro Bolognini, Francesco Rosi, Ettore Giannini, Diego Fabbri, Suso Cecchi d’Amico, Turi Vasile.
Ma come prese corpo l’idea di un film sulla Napoli degli inizi del Novecento e sul ruolo che, in quel contesto sociale ed ambientale, aveva avuto la camorra? Perché e come nacque l’idea di portare sullo schermo un film come “Processo alla città”?
All’ inizio degli anni cinquanta, Francesco Rosi ed Ettore Giannini pensavano ad una storia da ambientare nella Napoli dei primi anni del Novecento, un racconto che da uno dei più gravi fatti di sangue dell’epoca: l’omicidio, probabilmente eseguito su commissione della camorra, dei coniugi Gennaro Cuocolo e Maria Cutinelli.
L’ efferato crimine aveva suscitato nell’opinione pubblica napoletana una vasta ondata di sdegno e la richiesta di una dura repressione da parte dello Stato, i cui apparati non avevano tardato ad infliggere un possente colpo alla malavita organizzata, arrestandone, processandone e condannandone capi e gregari.
Giannini e Rosi erano consapevoli di coltivare un progetto molto ambizioso ma erano altrettanto convinti di accingersi ad un’impresa che presentava difficoltà di realizzazione, perché richiedeva non soltanto una conoscenza approfondita e documentata (storica, ed insieme letteraria e sociologica) di situazioni, luoghi, aspetti della vita politica e sociale napoletana a cavallo tra l’Ottocento ed il Novecento, ma anche la capacità di saper tradurre quella realtà, tanto complessa quanto avvincente, in un convincente racconto cinematografico.
Il progetto che avevano in mente stentava, quindi, a prendere quella forma e quella concretezza indispensabili per far germogliare da una buona idea la trama di un film.
Il caso volle, però, che, improvvisamente, quel grumo d’incertezze, timori e perplessità si sciogliesse d’incanto, quasi come neve al sole.
Una mattina, infatti, tornando a Napoli da Roma, città tra le quali si divideva, Rosi scoprì, curiosando tra le bancarelle, due vecchi libri introvabili che ricostruivano accuratamente la cronaca dell’omicidio Cuocolo.
Il futuro regista de “ La Sfida”, letti i due testi avidamente, comprese che la stesura del soggetto del quale aveva tanto discusso con Giannini non era più rinviabile, e si lanciò a capofitto nella scrittura di un “primo trattamento”, di poche pagine, redatto tutto di un fiato, e poi affidato nelle sapienti mani di Turi Vasile, intellettuale siciliano dal multiforme ingegno e dalla intensa attività letteraria, teatrale e cinematografica. Vasile curò la produzione della pellicola (per la Film Costellazione), partecipando alla sceneggiatura con Ettore Giannini, Diego Fabbri, Suso Cecchi d’Amico e Luigi Zampa.
“Processo alla città”, liberamente ispirato alla vicenda storica dell’omicidio dei coniugi Cuocolo, è uno spaccato efficace e molto ben documentato del mondo della camorra, dei suoi riti, della sua penetrazione nel tessuto sociale ma anche un affresco storico della Napoli a cavallo tra l’Ottocento ed il Novecento.
Al centro della trama vi è l’ostinato ed onesto magistrato Antonio Spicacci, che indaga con rigore e scrupolo per assicurare alla giustizia i colpevoli dell’omicidio dei coniugi Ruotolo (nella finzione filmica il cognome Cuocolo divenne Ruotolo), un truce delitto del quale inizialmente si stenta ad individuare la matrice.
L’inchiesta, condotta da Spicacci, affiancato dall’integerrimo delegato di Polizia Perrone, fa luce su una fitta rete di interessi illeciti, di alleanze tra criminalità e palazzi del potere, di ambigue connivenze e protezioni. Resistendo a pressioni provenienti da ambienti diversi, e vincendo anche qualche sua iniziale perplessità, Spicacci, profondamente turbato dalla drammatica morte di un innocente ingiustamente accusato del duplice omicidio, va fino in fondo e firma una serie di mandati di cattura, inquisendo esponenti della criminalità organizzata ma anche insospettabili notabili e professionisti.
Zampa e la produzione non ebbero alcuna esitazione nella scelta dell’attore al quale affidare la parte del tenace e coraggioso giudice istruttore: quel ruolo sembrava, infatti, essere tagliato su misura per le robuste spalle di Amedeo Nazzari, già noto al grande pubblico per aver interpretato “La cena delle beffe” di Blasetti, ” “Luciano Serra pilota”, e, nel dopoguerra, i drammi strappalacrime di Raffaello Matarazzo.
L’ attore sardo, in quegli anni all’apice di una meritata notorietà, era tenebroso come un divo di Hollywood, sebbene schivo e serio come la gente della sua terra, le spettatrici lo ammiravano per la figura alta ed imponente, per il portamento elegante, per il fascino d’uomo maturo, ed accorrevano ad assistere ai tanti film sentimentali e popolari in cui egli era al centro di una trama emozionante che lo vedeva spesso vittima di inganni orditi da presunti amici ed amanti infedeli.
In “Processo alla città”, l’ attore sardo diede, a giudizio della critica, la migliore prova delle sue notevoli capacità interpretative, anche perché magistralmente diretto da Zampa ed affiancato da un formidabile cast di colleghi.
La scelta degli attori e delle attrici avvenne, infatti, con estrema accuratezza, individuando, per ciascun ruolo- da quelli principali a quelli di contorno- i volti ed i temperamenti adatti.
Silvana Pampanini( che nel film di Zampa riuscì, per la prima volta, a fornire prova delle sue apprezzabili qualità d’interprete), Paolo Stoppa( il fedele, duro e determinato delegato Perrone), il giovane Franco Interlenghi, Turi Pandolfini( attore siciliano che sembrava un personaggio di una novella di Pirandello), Dante Maggio( che se fosse nato a Parigi, e non a Napoli, sarebbe stato diversamente valorizzato ed apprezzato e forse sarebbe diventato un divo del grande schermo), Eduardo Ciannelli( che aveva vissuto lungamente negli Stati Uniti, dove aveva recitato in teatro e nel cinema, superbo nel ruolo di don Alfonso Navona, il capo della camorra), Tina Pica, Bella Storace Sainati ,Gualtiero Tumiati, Mariella Lotti, Irene Galter conferirono intenso spessore drammatico al racconto,facendo di “Processo alla città” un film autenticamente corale.
Accanto a loro, alcuni tra i migliori interpreti del teatro napoletano: gli “eduardiani” Agostino Salvietti e Rino Genovese, Salvatore Cafiero, il giovane Nino Veglia.
Zampa, nella fase di preparazione del film, trascorse intere giornate a Napoli alla ricerca di luoghi nei quali ambientare gli esterni e di volti ai quali affidare i ruoli minori.
Anni dopo, il regista romano avrebbe raccontato episodi divertenti e curiosi accaduti mentre saltellava tra un teatro e l’altro della Ferrovia, dove si esibivano quelli che allora erano ritenuti i re della sceneggiata partenopea, a capo di irresistibili compagnie. Era proprio in quel mondo pieno di fantasia, di ingenua passione per le scene, ed eternamente affamato, che Zampa intendeva pescare le facce giuste che avrebbero dovuto dare volto e voce al variopinto universo di piccoli delinquenti, affiliati alla camorra, gente del popolo minuto della Napoli dei primi del secolo scorso.
Anche la scelta dei luoghi e degli ambienti fu molto attenta ed accurata, ed ancora oggi chi ha la fortuna di vedere o rivedere la pellicola prova un’intensa emozione nel riconoscere strade e vicoli di Napoli.
“Processo alla città”, forse la migliore opera di Luigi Zampa, è un film moderno persino nei ritmi, un film che s’inserisce, con originalità, sia nel filone neorealistico perché denuncia ingiustizie sociali, sia nel filone cosiddetto “giudiziario”, e, pur essendo di ambientazione partenopea, non cade mai nel bozzettismo e nel macchiettismo di maniera.
Napoli, 21 ottobre 2007 Antonio Frattasi
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