Maria

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Un film di Pablo Larraín. Con Angelina Jolie, Pierfrancesco Favino, Alba Rohrwacher, Haluk Bilginer.
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Biografico, durata 123 min. - Germania, USA, Emirati Arabi Uniti, Italia 2024. - 01 Distribution uscita mercoledì 1 gennaio 2025. MYMONETRO Maria * * * - - valutazione media: 3,47 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Una Callas di troppo Valutazione 2 stelle su cinque

di ANTONIO GARGANESE


Feedback: 25 | altri commenti e recensioni di ANTONIO GARGANESE
martedì 21 gennaio 2025

 Un altro film musicale (“Maria”, ossia la Divina). Ma è poi una pellicola musicale? Ci spiega l’arte dei suoni, i misteri, le ascese al Cielo, le distorsioni della Musa sia pure attraverso una vita? Macché. E’ l’ennesimo prodotto in celluloide dei tempi nostri che ti imbarazza nel parlarne, perché non puoi dire che sia brutto, ma nemmeno profondamente bello, malgrado l’enfatizzazione del grande schermo, la patinata ed apparentemente autentica (ma molto falsa) interpretazione dell’attrice protagonista.


Angelina Jolie: sì sì, bella-anche più dell’originale-e brava, disegna-per le cure dello sceneggiatore e del regista d’una produzione che mira essenzialmente alle vendite e promozioni in sede di concorsi più che ad un minimo di credibilità nel filmico-disegna dunque una Callas sopra le righe, sofisticatissima dieci volte oltre quella reale. Basta confrontarla visivamente con gli estremi spezzoni in coda, da lacerti di documentari televisivi e 8 mm.

Tripudio estetizzante spesso, talvolta prolisso (ma meno del “Bernstein”, anche se abbastanza inutile come quello), chiede allo spettatore di conoscere bene la vera storia della cantante-donna-artista, per non restare fregati come un critico sagace quale Alberto Crespi ha scritto lapidariamente. Ma chi conosce davvero la reale vicenda terrena, quotidiana ed intima del grande soprano? Basta setacciare Youtube e sentire (risentire!) le accorate memorie di questo o quello (Zeffirelli, la Simionato…) per sapere infine meno di prima, per aggiungere confusione su incertezze e nel film di Larraín di congèrie ne abbondano.

Resta ovviamente tutto il resto. Ossia la necessità, l’opportunità di un film del genere, e delle vacuità callassiane 2023 (Augias in testa in TV, convegni poi e ancora e ancora) nell'anno della memoria.

Ad un certo punto del film vien fatto dire ad Angelina-Callas all’incirca (cito a memoria): “Non ascolto i (miei) dischi. I (miei) dischi sono perfetti. Ma sono sempre uguali. Invece è in teatro il momento giusto, preciso perché sempre diverso”.

Ma per aver ascoltato e visto (!) la Callas nel momento del suo fulgore bisogna essere nati non oltre il 1935, avendo dunque vent’anni (età giusta per essere un melomane di loggione) nel 1955 quando-per dire-lei era Violetta , Norma o Lucia. Chi è nato quell’anno però oggi potrebbe non esserci più, anzi ha raggiunto da un pezzo la Divina nell’alto dei Cieli. Tutti gli altri debbono fare riferimento ai dischi deprecati (giustamente) da Maria. Puoi parlare e giudicare di Napoleone o Hitler sulla base dei documenti e testimonianze; puoi parlare e giudicare di Verdi o Puccini perché la musica la trovi sulle partiture e dal 1900 su un surrogato quale è il fonografo. Ma la Callas (e altri ovviamente) devi averla vissuta nei teatri in contemporanea. La musicista Callas, non altro, ché tutta l’aneddotica (l’armatore greco, i cagnolini, le omelette…) sono fuffa. Ovviamente poi nel film di musica ne senti poca, male e alterata.

E paccottiglia sono o rischiano di essere tante cose di questo abbastanza scipito, triste, persino seccante film. I falsi ma “veri” brani di filmati della Divina rifatti ad arte che martellano i 124 minuti di durata complessiva, le scene nei teatri autentici come la Scala, con ombre vere ma false, i sette mesi impiegati da Jolie ad imparare il canto per doppiare i brani della Callas (tutti i brani sono cantati anche da lei, a volte coperti dalla voce della Callas, altre solo intervallati: vedi le prove col pianista, cfr. Maurizio Porro), gli anda e rianda del sedulo Ferruccio-Favinio che sposta il coda nell’appartamento parigino, la grulla governante e critica forzata Bruna-Rohrwacher, il finto documentarista-terapeuta che ha lo stesso nome del farmaco letale, l’humor inglese disseminato dal dialoghista Steven Knight, il più che deformato Onassis, il film nel film, i flashback in bianco e nero, la Callas tratteggiata ahimé un po’ matta di suo e un po’ per posa e si potrebbe continuare a lungo.

“Maria” alla fine è un film non musicale, non biografico e quasi non drammatico, piuttosto un’operetta. E francamente l’operetta non calza a Maria.

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