Riflettevo leggendo critiche e commenti entusiasti sulle ragioni per le quali un film riceverà una diversa accoglienza rispetto al contesto. Ci è a volte capitato di vedere film incoronati in festival e rassegne che alla prova della distribuzione suscitano non poche riserve. Ed anzi, devo dire che molto raramente ho avuto modo di riscontrare nelle scelte delle giurie l'indicazione di nuovi autori di un qualche interesse.
Ed è un problema di non poco conto perché è come se dicessimo che Shakespeare ha scritto capolavori, ma che lo sono solo se rappresentati in teatri londinesi.
Quindi, a parte il sospetto di sciovinismo che ha determinato a Cannes la laurea ad una produzione francese, non mi riesco a spiegare la ragione per la quale un'opera deboluccia e asimmetrica come questa debba fare gridare al miracolo.
Tanto che poi, a denti stretti, sento da parte di tanti critici ammettere che questo film si porta dietro tanti peccati originali, che non ne faranno una pietra miliare nella storia del cinema.
Alimentando il dubbio che ancora una volta l'industria culturale stia pagando l'ennesimo obolo al conformismo della critica militante. Uffa.
Un film, ed entro nel merito, che nonostante i suoi 140 e passa minuti di lunghezza non si discosta dalla cifra stilistica dello sceneggiato televisivo.. E difatti per l'80 percento di quei 140 minuti le immagini sono fatte di primi piani, che se confermano la bravura degli attori, denunciano i limiti di una produzione. I primi piani sono quelli che costano meno.
E dal momento che parliamo degli interpreti devo dire che quello che ho più apprezzato è stato il ragazzino, perché la tanto incensata protagonista oltre a regalarci intensi primi piani dai quali dovremmo desumere un travaglio interiore, non ci offre molto altro.
Già il titolo è imbarazzante in modo irritante. L'anatomia è sulla caduta del cadavere dalla finestra o sulla caduta della istituzione del matrimonio e sulla crisi della coppia? Grazie. Lasciate pure il messaggio in segreteria dopo il segnale acustico.
Il plot narrativo si alimenta di luoghi comuni di una banalità disarmante. Lo scrittore in crisi. Già visto. La crisi di coppia. Già visto. La liaison gender fluid. Già vista. Persino l'espediente della barriera linguistica. Già vista. Il senso di colpa. Già visto. Tutto detto, tutto annunciato e ben poco mostrato.
La regia è sciatta e priva di qualsiasi eleganza formale. Il film è ambientato per la quasi totalità nell'aula di un tribunale, che, oh meraviglia, dovrebbe indurci a pensare che non è di un processo che si tratta ma di un giudizio morale. Lasciamo perdere.
Ma in questa aula claustrofobica la regista usa la macchina da presa come una clava. O si vorrebbe sostenere che solo io ho udito in sala le risate di involontaria ilarità suscitate da talune riprese?
Insomma, non ci avrei perso tempo su un'opera così modesta se non avessi visto in rete tante critiche positive.
Perciò confermo che siamo molto molto lontani dalla sufficienza.
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