Tre volti

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Un film di Jafar Panahi. Con Behnaz Jafari, Jafar Panahi, Marziyeh Rezaei, Maedeh Erteghaei.
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Titolo originale Se rokh. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 102 min. - Iran 2018. - Cinema uscita giovedì 29 novembre 2018. MYMONETRO Tre volti * * * 1/2 - valutazione media: 3,71 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

I tre volti di un paese Valutazione 4 stelle su cinque

di Zarar


Feedback: 13464 | altri commenti e recensioni di Zarar
mercoledì 5 dicembre 2018

Nel consueto mix di documentario e fiction di Jafar Panahi,  i tre volti sono quelli di tre donne, due delle quali corrispondenti a personaggi reali, i cui destini casualmente si incrociano e in certo modo simboleggiano passato, presente e futuro: Shahrzad , attrice degli anni ’70, completamente emarginata dopo la rivoluzione; l’attrice Behnaz Jafari, volto ben noto di serial televisivi odierni, e la giovane ragazza Marziyeh (Marziyeh Rezai), personaggio d’invenzione, che è ostacolata dalla famiglia e dall’ambiente nel suo sogno di diventare attrice a sua volta. Si immagina che Marziyeh, che vive in uno sperduto villaggio montano,  abbia  inviato  un video disperato, culminante in una scena di suicidio,  alla Jafari da cui aveva sperato inutilmente un aiuto, e che Panahi accompagni l’attrice angosciata in un viaggio alla scoperta di chi sia questa ragazza e di che cosa le sia effettivamente successo. Nel villaggio – si scoprirà – vive dimenticata ed emarginata anche Shahrzad. Ci sarà una lunga ricerca, tante ipotesi, un esito inaspettato, su cui non ci soffermiamo. Il film è un bel film,   nonostante la povertà dei mezzi tecnici, la monotonia della camera fissa, i tempi lunghi non consueti nella cinematografia occidentale, i dialoghi frammentari, persone qualunque attori improvvisati, attori professionisti che prestano fittiziamente il loro io reale a una fiction, uno sviluppo apparentemente casuale e girovagante. Sono condizioni in parte determinate dalla clandestinità a cui è costretto oggi Panahi come regista, in parte da sue scelte consapevoli. Ma Panahi trasforma il limite in opportunità. Il regista, che qui, come in Taxi Teheran, interpreta se stesso,  in modo insieme minimalista e sofisticato ci dà  il senso del suo fare cinema, del suo ‘occhio sulla realtà’:  c’è in lui  un’apertura totale all’ascolto e alla rappresentazione che diventa quasi un suo scomparire  di fronte all’interlocutore (vedi l’emblematica scena iniziale);  disponibilità infinita a dar voce ad un mondo senza intromissioni ideologiche o paternalistiche. Il messaggio politico ne emerge comunque prepotente, ma con sfumature inedite e sorprendenti che confrontano la logica dell’osservatore  con una realtà che sfida qualsiasi logica e che l’occhio del regista coglie imperturbabile e sereno nelle sue contraddizioni: la ragazza determinata a vivere il suo sogno contro tutti accanto alla vecchina che riposa allegramente pregando nella sua prossima fossa, ambedue fortissime e sostanzialmente libere contro le regole assurde degli uomini; la durezza di un sistema patriarcale chiuso, percorso da scoppi di insofferenza e di orgoglio, che però alberga in sé la gentilezza di un’ospitalità senza riserve in qualsiasi circostanza;  le antenne paraboliche su capanne di fango, antiche superstizioni convivono incongruamente con miti televisivi... Una rappresentazione autentica che ha anche la cifra della pazienza, un’antica pazienza e una meditata lentezza, che rivendica un tempo diverso dai nostri ritmi convulsi e non ha paura di reiterazioni, di indugi e di silenzi (qui si sente Karostami alle spalle di Panahi) , la pazienza necessaria a capire e a trovare ilpunto di rottura perché gli eventi maturino. Questa profonda empatia con l’ambiente non lascia spazio a estetismi, ma è capace di cogliere immagini simboliche di grande efficacia anche se fatte di nulla :  una porta che si chiude al centro di un muro spoglio; una casetta persa nella sera con un lume acceso nel buio totale, una curva misteriosa in una strada contorta da cui non si sa chi arriverà. Da vedere.

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