La saga di Step Up non va certo famosa per la profondità della trama e per il livello introspettivo dei personaggi. La serie ha abituato il pubblico a un certo livello, puntando più sul senso di libertà, il riscatto sociale e la prestazione fisica.
Dopo il quarto capitolo, particolarmente ben pensato, Step Up All In propone una soluzione di continuità attraverso una grande reunion dei ballerini storici. Sean, capogruppo dei Mobs, è accecato dall'ansia di voler fare del ballo un mestiere redditizio, per questo sembra mettere in secondo piano passione e rapporti umani. Il suo comportamento lo porterà così alla rottura coi suoi grandi amici e alla formazione di una nuova crew per partecipare a un talent show. A Moose il compito di richiamare tutti i vecchi membri e di studiare le coreografie assieme a Sean, fino all'arrivo di Andie, desiderosa anch'essa di porsi come leader. Dalla prima coreografia parte dunque la scalata a The Vortex e il talent, ovviamente, si mischia con le turbe personali. Sean è costretto a sfidare i suoi vecchi compagni, e prova persino a costringere Andie a fare passi estremi per infiammare il televoto. Solo dopo l'abbandono di quest'ultima, e dopo aver scoperto che il talent è truccato, Sean si rende conto di dover tornare alle origini, aprendo la strada alla catarsi finale. Nelle ultime scene domina un buonismo quasi infantile, sicuramente commerciale, dove effettivamente i ballerini sono tutti all in, e riescono nello scopo.
Abbiamo già detto che la trama non è da Oscar, ma nessuno pretende ciò; di sicuro c'è stato un appiattimento rispetto al capitolo precedente. Fa più male invece notare come le coreografie siano colate a picco in quanto a spettacolarità ed effetto espressivo. Assistiamo infatti a una omologazione dei passi, a una commistione di sfide personali e movimenti convulsi dove le caratteristiche peculiari si sacrificano al gruppo. Le scenografie presentano alcune buone idee, ma sono rinchiuse in un contesto televisivo che ne tappa le ali e dà un senso claustrofobico.
Step Up All In si è adeguato a un trend e ha perso in libertà espressiva. Non basta far rivivere le vecchie glorie sperando in un effetto alla Mercenari, perchè quando si tratta di ballo il singolo rischia di perdersi nel gruppo. E così dovrebbe essere in ogni scuola di ballo, ma quando si vuole attirare il pubblico proprio grazie alle caratteristiche personali dei singoli, allora bisogna pensare a qualcosa che coordini ed esalti allo stesso tempo. In questo senso, la coreografia finale di Step Up Revolution è ancora maestra.
Terrificante la voce di Guè Pequeno, il cui unico pregio è di rendere ancora più odiabile l'antagonista.
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