Nonostante la buona performance del cast, impreziosito da Diane Lane e Dakota Fanning, con il ruolo di protagonista affidato a Danielle Macdonald, convincente nella parte dell’adolescente obesa per colpa di una madre anaffettiva ed instabile, la disarmonia della costruzione filmica di Amy Berg, con continui e inutilmente prolissi flashback, che rompono la trama, tratta da un giallo della Lippman, frammentandola e complicandola senza necessità, e la semplificazione all’eccesso del profilo psicologico di alcuni personaggi centrali, che avrebbero meritato ben altro rilievo, rendono il film un prodotto mediocre, più adatto alla televisione, come telefilm, che alla grande sala.
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Nonostante la buona performance del cast, impreziosito da Diane Lane e Dakota Fanning, con il ruolo di protagonista affidato a Danielle Macdonald, convincente nella parte dell’adolescente obesa per colpa di una madre anaffettiva ed instabile, la disarmonia della costruzione filmica di Amy Berg, con continui e inutilmente prolissi flashback, che rompono la trama, tratta da un giallo della Lippman, frammentandola e complicandola senza necessità, e la semplificazione all’eccesso del profilo psicologico di alcuni personaggi centrali, che avrebbero meritato ben altro rilievo, rendono il film un prodotto mediocre, più adatto alla televisione, come telefilm, che alla grande sala.
Il tentativo di costruire siparietti familiari e dare credibilità e spessore a personaggi secondari, che in un libro possono essere resi meglio nella loro complessità, fallisce, sia per la specificità del linguaggio cinematografico, che esige sintesi, sia per la scarsa rappresentatività drammatica delle immagini e dei dialoghi e gli stessi finiscono per essere appena abbozzati, come la coppia a cui rapiscono la bambina, o stereotipati in figure convenzionali, come i due detectives, con il risultato di sorvolare, poi, sul dramma vero, la tragedia che si consuma in sordina ed è quasi accennata.
Insomma, troppi ingredienti per uno chef maldestro e ne esce un prodotto da fast food, in cui la sovrapposizione caotica di temi e di generi, dal noir al patetico-familiare, dal giallo-thriller all’introspettivo-drammatico, finisce per annullare tutti i sapori fino a raggiungere, nel complesso, l’insipidità assoluta.
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