La fuga di Martha |
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Un film di Sean Durkin.
Con Elizabeth Olsen, Christopher Abbott, Brady Corbet, Hugh Dancy, Maria Dizzia.
continua»
Titolo originale Martha Marcy May Marlene.
Drammatico,
durata 101 min.
- USA 2010.
- 20th Century Fox Italia
uscita venerdì 25 maggio 2012.
MYMONETRO
La fuga di Martha
valutazione media:
3,12
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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La doppia vita di Marthadi gianleo67Feedback: 61482 | altri commenti e recensioni di gianleo67 |
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martedì 30 dicembre 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Fuggita nottetempo dalla comune hippye governata dall'influenza di un ambiguo leader carismatico, la giovane Martha si rifugia nella casa dove la sorella maggiore Lucy vive insieme al marito. Benchè si sforzi di superare i traumi subiti durante la permanenza nella comunità e ritornare con difficoltà ad una vita normale, inizia a mostrare i segni di un comportamento paranoico che sconvolge la vita della coppia, convincendoli a ricoverarla in un istituto specializzato proprio quando i vecchi compagni di Martha sembrano intenzionati a riportarla indietro.
Uscito nel Gennaio del 2011, in contemporanea con 'Sound of my voice' della premiata ditta Batmanglij-Marling, questo thriller sociologico sul diffuso fenomeno del settarismo yankee dell'esordiente Durkin segna la felice incursione del cinema Indie in quella misconosciuta sottocultura sociale che si sviluppa quale risposta al rigetto per i valori tradizionali della civiltà americana (la famiglia, la religione, il consumismo, il classismo,etc.) e che spesso degera nel governo autarchico di piccoli tiranni che richiamano attorno a sè un nutrito seguito di adepti adoranti a cui spillare soldi e di giovani vergini di cui approfittare. Partendo dalla sordina della fuga inaspettata e improvvisa di una giovane disadattata, Durkin ricostruisce a ritroso, attraverso l'uso del flashback, una storia di circuizione e di disagio familiare che sta alla base della proliferazione di fenomeni del genere e nello stesso tempo ne indaga con sottile acume psicologico i risvolti legati alla ambivalenza emotiva delle vittime, sospese in una sorta di limbo esistenziale in cui si annichiliscono le sovrastrutture mentali del prima e del dopo, precipitandole nell'incertezza e nel disagio di chi non sa più risconoscersi nell'una o nell'altra identità. Frutto di un lavoro di sottrazione tanto del regista che della brava interprete femminile (una bellissima e istintiva Elizabeth Olsen), il film assume i contorni sospesi della favola morale e nello stesso tempo rimane legato alla credibilità di un realismo sociale entro cui inscrivere le contrapposizioni tra il sistema di vita tradizionale della coppia borghese (la sorella maggiore con ambizioni di maternità ed il cognato brillante imprenditore) e quello dei disadattati che si accampano nell'eremo bucolico di una comunità pseudo-patriarcale (i maschi mangiano prima delle femmine e queste ultime sono sempre condivise) seguendo il rigido disciplinare di una entità chiusa che si autofinanzia attraverso le richieste ai familiari o i proventi di piccoli furti domestici. Nel bellissimo e compiuto titolo originale (sprecato dalla banalità della distribuzione nostrana) il senso di uno smarrimento dell'identità che ci fa chiamare la protagonista con tutti i nomi che il suo percorso di vita gli ha attribuito (Martha è il nome della ragazza, Marcy May quello della nonna, Marlene quello di qualunque ragazza della comunità per chi telefoni da fuori) è che rende lo spaesamento di una personalità scissa, combattuta comè tra il ritorno alla normalità e l'abbandono alla dipendenza della tirannia ('Hai mai provato quella sensazione per cui non sai se una cosa l'hai vissuta o l'hai solo sognata?'). Oltre al già citato 'Sound of my voice' (che pure persegue una certa ambiguità metafica), sulla falsariga delle tematiche sviluppate da 'Martha Marcy May Marlene' insistono nuovamente Batmanglij-Marling (già studiosi 'sul campo' del fenomeno) con il successivo 'The East' (2013), quanto Rebecca Thomas con il suo Electrick Children (2012) che ha come protagonista la bionda e riccioluta Julia Garner che esordisce nello stesso film di Durkin. Premio per la regia al Sundance Film Festival 2011.
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