Tre colori - Film blu |
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Un film di Krzysztof Kieslowski.
Con Emmanuelle Riva, Juliette Binoche, Benoit Regent, Yann Trégouët.
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Titolo originale Trois couleurs: Bleu.
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 95 min.
- Francia, Polonia 1993.
- Lucky Red
uscita lunedì 11 settembre 2023.
MYMONETRO
Tre colori - Film blu
valutazione media:
3,73
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Niente è importante.di stefano giasone da-fréFeedback: 106 | altri commenti e recensioni di stefano giasone da-fré |
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domenica 16 dicembre 2012 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Ha forma la libertà? E’possibile sventolarla, guardarla, toccarla, e poi strappare, possedere, ingurgitare? O appare entità eterea, che irrompe improvvisa ad illuminare i sentieri interrotti del disvelamento? In questi spazi Film Blu s’immerge, e ci sommerge, non lasciando spiraglio interpretativo alcuno. Concederci al caos, al caso. Spalancarsi e cadere, orbitare in un’ellittica satura di particolari, requiem, luminosità eterne, in cui Kieslowski ci porge sommo la sua mano, offrendosi a guida e spiraglio dell’inconoscibile. Risorgere è privilegio ristretto che intromette la morte. Delle membra, non è condizione sufficiente. E’un morire a sé che incede dalla vita ed ivi si modella. Atto senza volontà, nel solo intento dell’ascolto che vanifica qualunque tentativo strutturale. Un senso che si promette in sposa Julie, miracolosamente scampata al tragico, e rigettata al mondo intrisa di consapevole ed assoluta nullità del fare. Prenderne conto è eyes wide open, immobilità. Movimento semicircolare a scoprire e ritrarsi, sguardo che fonde e lacera l’oggetto soggettiva per poi tornare al piano terra, spietatamente mortale e filmico. Bonjour! La voce s’affaccia postuma, delicatezza registica a tagliare ogni dubbio esegetico a chi non avesse inteso il raffinato incanalare anagogico, visivo e sonoro in cui la pellicola procede. Astuzia ad aggiungere cerchie alla spirale fruitiva dell’opera, sebbene rimanga eletto il testimone. Nulla può essere smentito perchè tutto è già in luce, ed il fotogramma dopo la prima decina di minuti potrebbe dissolvere a nero, muto, a fine, lasciando spettatori ed attori ammalgamati, separati da una tenda buia tra due bui, nella fissità incontrovertibile. Il regista però, seppur già personalmente al di là dell’umano preservare, non osa imporre prematura sorte alle pedine egocentriche del gioco cui ancora protagonista partecipa. Ne approfitta così per assolvere il restante, permeandolo di quella visione sopraffina che scava tra i meccanismi della mente e ne sviscera i moti, che sancisce la rottura tra chi in quegl’ingranaggi vi è invischiato, ed una minoranza che inevitabilmente alienata ne viene e ne vive contraddittoriamente a contatto. La dicotomia ha breve respiro, ed il sipario si ricongiunge nell’inesorabile ultimo destino, ciclo e riciclo, nascita, rinascita, morte. E’motivo che non accenna affievolirsi, a cui compimento è impossibile arrivare; mosaico di geometrie, colori, situazioni, che convergono in ponte e trapasso verso il resto della trilogia. Quando ero piccola avevo una lampada identica a questa, il mio sogno era saltare tanto in alto da poterla toccare. Crescendo l’ho dimenticato. Stefano Giasone Da-Fré
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