Misery non deve morire |
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Un film di Rob Reiner.
Con Lauren Bacall, James Caan, Kathy Bates, Richard Farnsworth, Frances Sternhagen.
continua»
Titolo originale Misery.
Horror,
durata 105 min.
- USA 1990.
MYMONETRO
Misery non deve morire
valutazione media:
3,53
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Misery non deve morire, Rob Reiner 1990.
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| domenica 15 giugno 2025 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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‘’Misery non deve morire’’ è, un fantastico film, diretto e prodotto da Rob Reiner. E’ un film nel quale, con grande maestria del cineasta, viene inscenata la dinamica vittima-carnefice e l’attaccamento morboso di una mente debole a una mente ‘’geniale’’. Anzitutto bisogna analizzare il rapporto tra spazio e significato che, anche grazie alle tecniche registiche, configura tutta la struttura del film. Il luogo dove prevalentemente è inscenato il lungometraggio è la camera degli ospiti di Annie Wilkes, infermiera e ammiratrice sfegatata di Paul Sheldon. La disposizione degli oggetti di quella stanza allude immediatamente a un prigione, nella quale, un eccellente James Caan alloggerà in stato di detenzione. L’aspetto asfittico della cella/stanza, verrà ripreso da Annie Wilkes che, con i suoi atteggiamenti insistenti e invadenti, non lascerà mai tregua al povero scrittore. Questa donna è l’apoteosi dell’infermità mentale, è l’estremo che, nel suo fanatismo violento e morboso, possiede al contempo una logica extra logica. Quest’ultimo gioco di parole è fondamentale perché raffigura la natura logica di un essere pensante, completamente estraneo alla realtà fenomenica in cui è posto. Il soggetto vive quindi in una realtà ideologica scissa da quella ontologica, a cui appartiene. La scena emblematica di quello appena descritto è il momento, nel quale, Annie frantuma le caviglie di Paul con estrema freddezza, compiendo un gesto abietto per la mentalità dell’essere umano. La sua follia è quindi corroborata da questi metodi di ragionamento che non fanno fronte alla logica comune. Ciò ancor più amplificato dal mondo ideologico che la donna si immagina, dove è serenamente innamorata del protagonista. L’aspetto, però, che turba e inquieta lo spettatore è l'estrema sensibilità della donna che, nonostante la follia, asseconda piccoli capricci mondani comuni a tutti gli uomini. Un esempio è una delle scene finali, nella quale, lei interloquisce a malapena con il suo beniamino perché si sente metereopatica, di conseguenza, non riesce a provare niente, se non, assoluta malinconia. Questo personaggio è quindi, dialetticamente -sennò non sarebbe un capolavoro-, la sintesi dell’estremo logico (extralogico) e di quello sensibile. Due elementi opposti che, grazie alla rappresentazione spettacolare, ricordano all’uomo l’eterna lotta tra la logica pura, unicamente razionalistica e presente nell’intelletto, e la sensibilità della realtà fenomenica. Reiner rappresenta anche in modo concreto la dinamica vittima-carnefice, tipica delle favole per bambini. Egli ripropone una versione alternativa dei racconti fiabeschi che, tramite il passaggio dei ruoli di potenza, esprimono il peccato originale del genere umano: la predominanza del male, l’impossibilità dell’uomo di prosperare senza recare danno al prossimo. Però, a differenza del classico lieto fine espresso tipicamente, il cineasta accentua ancora di più l’aspetto maligno connaturato all’uomo con la scena finale: Anche successivamente al trionfo del ‘’bene’’ - che, non peraltro, avviene con la violenza e la morte- il protagonista rimane tormentato e, per certi versi, affascinato dalla figura morbosa della precedente carnefice/vittima Annie Wilkes. E’ inevitabile omaggiare le interpretazioni di James Caan e Kathy Bates, eccellenti nel cambiare espressione immediatamente. Caan riesce egregiamente a rappresentare la connotazione artistica dello scrittore che, grazie alla sua intelligenza e la sua capacità di eloquio, persuade il suo benefattore/malfattore sfruttando gli attributi corrosivi della mente della donna. Però, a discapito della capacità interpretativa di un ormai famoso Caan, Kathy Bates interpreta, forse con migliore coerenza di come Reiner pensasse, la donna spietata che tortura e cura il pover Paul Sheldon. E’ probabilmente uno dei personaggi meglio riusciti del cinema. Grazie al suo aspetto dialettico, che comprende razionalità e sensibilità, lo spettatore riesce a immedesimarsi in modo concreto con quello che avviene nella casetta isolata. Allo stesso tempo però, lo spettatore si immedesima anche con Paul nelle seccature e nei fastidi che ella causa. Questo film potrebbe essere riassunto con una parola: "Pharmakon", Sia cura che veleno. E’ un film intriso di dualismi logoranti per lo spettatore, con una predominanza negativa che lacera ancora di più l’animo di chi guarda il lungometraggio. Nello stesso film, anche nell’istante immediatamente precedente a un accaduto violento, si trova una situazione maternalistica che turba l’animo dello spettatore ma, allo stesso tempo, lo soddisfa.
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