Avventura, romanticismo, on the road; questi i tre “tag” che uno spettatore superficiale accosterebbe alla pellicola “Convoy” di Sam Peckinpah.
Ad un’analisi più attenta si è di fronte all’ennesimo western del regista, seppure camuffato nelle atmosfere: niente pistoleri o indiani, ma autisti di autotreni; niente cavalli o carri, ma bisonti su 18 ruote; niente saloon e ballerine, ma autogrill, cameriere e donne dalla “aperta” mentalità. La stella di latta, invece, risponde “presente” all’appello, nei tratti a volte troppo marcati di un grande del cinema come Ernest Borgnine; c’è anche un classico acerrimo nemico, fuorilegge per caso, tuttavia Kris Kristofferson nel ruolo di “rubber duck” è fuori ruolo: di gomma sembra avere solo la faccia. Sulla scarsa sufficienza Burt Young, nei panni del controverso e fedele vice capo spedizione: interpretato con insicurezza dall’attore, tratteggiato con superficialità dal regista, legato male alla storia e doppiato, nella versione italiana, con una voce inappropriata. Ali MacGraw è semplicemente raggiante nella sua bellezza: aggiunge qualche pennellata di romanticismo, comunque risulta poco incisiva nel giustificare la propria presenza nei confini della sceneggiatura e di un montaggio spesso distratto.
La colonna sonora è davvero povera di spunti interessanti; qualche perla dei Lynyrd Skynyrd o dei ZZTop d’annata, magari all’ingresso del territorio texano, avrebbero dato un giusto contributo alla causa.
Il film, con una storia alla lunga stucchevole ed un finale a metà strada tra il debole ed il banale, è solo in apparenza mediocre; “Bloody Sam” alla regia lo salva ripetutamente in corner; lascia un senso, il retrogusto amarognolo di temi anarchici che affiorano timidi: caos, sfida ai potenti, lotta contro le ingiustizie, reazione ai soprusi istituzionali, ma anche razzismo nella Grande America, politica del tornaconto elettorale, finto giornalismo asservito, protesta, aggregazione di massa (casuale, per un ideale, per uno scopo, per un’idea di facciata, per inerzia, per miseri interessi personali). Peccato perché sono affogati assieme al vino e ai tarallucci del finale: la beffa, la risata cult dello sceriffo battuto, il “tutti vissero felici e contenti” con l’ipocrita speranza che quel convoglio riparta vittorioso e continui la sua corsa, pronto a nuove battaglie?
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