Stefano Reggiani
Un talento nuovo inventa un film e rivela uno sguardo assolutamente originale: l'arrivo di David Byrne nel cinema americano, dove anche la bravura è più che mai costretta nei generi e divisa per fasce di pubblico, segna una benefica scossa, interpreta un momento degli anni ottanta che forse sta già passando, tra edonismo (cosiddetto) e rivendicazione di fantasie private.
True Stories non è un film musicale (anche se Byrne è il leader dei Talking Heads e suggeritore di Stop Making Sense), non è una commedia sulla gente, un fanta-documentario sull'America piccola, in cui il senso è affidato all'ordito delle immagini, nella convinzione che la banalità possieda un senso riposto, che l'eccentricità individuale sia più esauriente dei grandi sentimenti generici. [...]
di Stefano Reggiani, articolo completo (3021 caratteri spazi inclusi) su 15 marzo1987