mondolariano
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lunedì 16 maggio 2011
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sana semplicità
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Miniere di discreto prestigio. Da un lato: la bellezza della natura sconfinata. Dall’altro: l’attrazione amorosa appena accennata, suggerita da pochi abbracci e semplici sguardi (oltre che celata dalla classica “finta antipatia”). Ne risulta un quadro esotico a tinte sfumate, sinonimo di sana semplicità. Per di più, la vocazione “animalista” di Granger è in anticipo sui tempi, se si pensa che nel 1950 a tutto si pensava tranne che a biasimare la caccia grossa. L’unico punto debole sta nella carrellata di animali all’inizio del viaggio, che sortisce un effetto meramente documentaristico. Le miniere di Salomone appaiono solo per pochi minuti verso la fine. Finale sobrio, di quelli che lasciano la bocca asciutta ma che - evitando di descrivere il ritorno a casa dei protagonisti - lascia immersi gli spettatori nel cuore dell’Africa nera.
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Miniere di discreto prestigio. Da un lato: la bellezza della natura sconfinata. Dall’altro: l’attrazione amorosa appena accennata, suggerita da pochi abbracci e semplici sguardi (oltre che celata dalla classica “finta antipatia”). Ne risulta un quadro esotico a tinte sfumate, sinonimo di sana semplicità. Per di più, la vocazione “animalista” di Granger è in anticipo sui tempi, se si pensa che nel 1950 a tutto si pensava tranne che a biasimare la caccia grossa. L’unico punto debole sta nella carrellata di animali all’inizio del viaggio, che sortisce un effetto meramente documentaristico. Le miniere di Salomone appaiono solo per pochi minuti verso la fine. Finale sobrio, di quelli che lasciano la bocca asciutta ma che - evitando di descrivere il ritorno a casa dei protagonisti - lascia immersi gli spettatori nel cuore dell’Africa nera.
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celluloide
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mercoledì 5 dicembre 2012
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miniera cinematografica
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Film semplice e genuino, natura meravigliosa come gli interpreti.
Dialoghi studiati a regola d'arte, tra bianchi e neri e tra gli stessi cercatori delle miniere.
Selvaggi che sembrano o sono reali talmente vengono calibrati gli approcci con gli avventurieri.
Danze tribali magiche nella interpretazione accuratissima, accompagnata dal perfetto ritmo dei tamburi.
Fografia che ti lascia attonito per la cura delle inquadrature e del colore.
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Film semplice e genuino, natura meravigliosa come gli interpreti.
Dialoghi studiati a regola d'arte, tra bianchi e neri e tra gli stessi cercatori delle miniere.
Selvaggi che sembrano o sono reali talmente vengono calibrati gli approcci con gli avventurieri.
Danze tribali magiche nella interpretazione accuratissima, accompagnata dal perfetto ritmo dei tamburi.
Fografia che ti lascia attonito per la cura delle inquadrature e del colore.
Da guardare in religioso silenzio pensando a come erano bravi e acuti negli anni 50.
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samanta
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lunedì 25 febbraio 2019
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una bella avventura
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Il film del 1950 è tratto dal romanzo omonimo di Haggard anche pur rispettando le linee essenziali si differenzia sia per i personaggi nel libro non c'é il personaggio femminile che per il finale perché il re tirannico viene ucciso dal personaggio principale il cacciatore bianco che riesce a riportare con i compagni di alcuni grossi diamanti.
La trama: Allan Quatermain (Stewart Granger, Scaramouche, il prigioniero di Zenda)) è un cacciatore bianco che opera nell'Africa Orientale inglese (siamo nel 1897) vedovo, cerca di ritornare in patria per vivere con il figlio di 7 anni, viene contattato da Elisabeth Curtis (Debora Kerr, Da qui all'eternità per cui ebbe l'Oscar come attrice n.
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Il film del 1950 è tratto dal romanzo omonimo di Haggard anche pur rispettando le linee essenziali si differenzia sia per i personaggi nel libro non c'é il personaggio femminile che per il finale perché il re tirannico viene ucciso dal personaggio principale il cacciatore bianco che riesce a riportare con i compagni di alcuni grossi diamanti.
La trama: Allan Quatermain (Stewart Granger, Scaramouche, il prigioniero di Zenda)) è un cacciatore bianco che opera nell'Africa Orientale inglese (siamo nel 1897) vedovo, cerca di ritornare in patria per vivere con il figlio di 7 anni, viene contattato da Elisabeth Curtis (Debora Kerr, Da qui all'eternità per cui ebbe l'Oscar come attrice n.p., Io e il re) ricca inglese che vuole ritrovare il marito scomparso in territori inesplerati alla ricerca di una fantomatica miniera di diamanti di Re Salomone ed è accompagnata dal fratello John, Allan all'inizio rifiuta perché non crede alla leggenda e il viaggio è pericoloso, ma poi di fronte ad una ricchissima ricompensa accetta. I 3 partono e durante il viaggio si aggrega un misterioso guerriero: Umbopa di una razza sconosciuta (in realtà un Watusso) che è pretendente al trono di un regno sconosciuto da cui è stato spodestato. I 3 raggiungono dopo molteplici avventure il regno misterioso dei Watussi e trovano la leggendaria miniera, Umbopoa si rivela per il legittimo re dei Watussi e uccide il re tirannico che aveva usurpato il trono riconquistandolo, i 3 ritornano in patria avendo scoperto che era morto il marito di lei che inevitabilmente si era innamorata di Allan .
Il film è una bella storia di avventura, che si svolge con molta agilità anche se il finale è un pò affrettato. La pellicola mostra delle bellissime scene della fauna africana, un colore e una fotografia (ebbe l'Oscar) eccezionali ancora a distanza di 69 anni da ammirare, con ottimi effetti speciali ancora adesso entrati nell'era del digitale da considerare ottimi. La regia è di Compton Bennet e Andrew Marton (quest'ultimo regista tra l'altro di Fuoco Verde e La sottile linea rossa) da sottolineare il rispetto, senza cadere in quello che oggi si chiamerebbe il politically correct, sia per le tribù indigene che per la fauna e il rispetto per gli animali che solo se aggrediscono si devono uccidere. Ottima l'interpretazione di Stewart Granger e di Debora Kerr una delle migliori attrici di Hollywood degli anni '50, in conclusione un film che dopo tanti anni si vede piacevolmente e che per questo merita 4 stelle.
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elgatoloco
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lunedì 11 gennaio 2021
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film d''avventure, buono per l''epoca
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"King Solomnon's Mines"( 1950; di Compton Bennett e Andrew Marton, screenplay di Helen Deutsch dal romanzo omonimo di H.Rider Haggard, che aveva già ispirato un film degli anni 1930, proudrrà un segutio("Watussi")e un remake, anche fortunato , nel 1985). Ottimo fillm d'avventura dell'epoca e per l'epoca, capace di regalare, a colori, con taglio documentatistico, tante sequenze di animali solo o quai solo africani(all'epoca, per contestualizzare storicamente, c'era ancora il COngo belga), dalle gazzelle ai rinocertonti, agli elefanti, a un picolissimo coccodrillo appena uscito dall'uovo, ma anche reportage un po'"estremi"sulle tribù locali(dove, assieme a una certa fscinazione per l'"uomo primitivo", di stampo neo-rousseauiano, c'era però anche la valutazione negativa dei"selvaggi"-in Italia tale Gualtiero Jacopetti, certo non"plitically correct"ma di chiara ascendenza politica di destra estrema realizzerà"Africa Addio", ma qui la prospettiva è comunque"altra"), contamina il film d'avventura -ed è tale nel plot e nello svolgimento,, comunque.
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"King Solomnon's Mines"( 1950; di Compton Bennett e Andrew Marton, screenplay di Helen Deutsch dal romanzo omonimo di H.Rider Haggard, che aveva già ispirato un film degli anni 1930, proudrrà un segutio("Watussi")e un remake, anche fortunato , nel 1985). Ottimo fillm d'avventura dell'epoca e per l'epoca, capace di regalare, a colori, con taglio documentatistico, tante sequenze di animali solo o quai solo africani(all'epoca, per contestualizzare storicamente, c'era ancora il COngo belga), dalle gazzelle ai rinocertonti, agli elefanti, a un picolissimo coccodrillo appena uscito dall'uovo, ma anche reportage un po'"estremi"sulle tribù locali(dove, assieme a una certa fscinazione per l'"uomo primitivo", di stampo neo-rousseauiano, c'era però anche la valutazione negativa dei"selvaggi"-in Italia tale Gualtiero Jacopetti, certo non"plitically correct"ma di chiara ascendenza politica di destra estrema realizzerà"Africa Addio", ma qui la prospettiva è comunque"altra"), contamina il film d'avventura -ed è tale nel plot e nello svolgimento,, comunque. con il documentario, dove esso non è mai esplictatio come tale ma sostanzialmente è tale, orffrendo agli spettatori, impossibilitati a viaggiare ma desiderosi di farlo una sorta di"surrogato", di"ersatz"(per dirla alla francese, ma il lemma è tedesco)di tale viaggio, quando non esisteva-benineso-.il"trip"di natura chimica... La ricerca del marito di una donna, scomparso anni prima, cercando il tesoro di re Salomone(La Bibbia, però, non c'entra nulla e per nulla). coinvolge un esploratore dapprima anche poiù che "solamente riluttante, poi convinto dall'alta cifra offerta, ma le difficoltà saranno(anzi nO: sarebbero) tali da scoraggiare la donna, il fratello, l'esploratore, gli altri, ossia le guide africane, che rinunceranno quasi tutte, ma ...i"nostri eroi"non demordono. Assolutamente priva di spessore, nel film(bisognerebbe vedere come stanno le cose nel romanzo)la love story che si sviluppa tra la dnna e l'esploratore, quando si parte da una condizione di rifiuto(d'accordo: potrebbe essere un rifiuto che maschera.cela l'attrazione, ma ciò dovrebbe essere espresso in modo completamente diverso, anche proprio a livello intepretativo). Diciamo che il film punta su altro, anche se la personalità e soprattujtto il nome di due portagonisti come Deborah Kerr e Stewart Granger avranno senz'altro attratto gran parte del pubblico dell'epoca, anche se, appunto, il"fasicno africnao"; il titolo stesso e magari la notirietà del romanzo e forse della prima versione filmica della storia, di 13 anni anteriore, avranno giocato un loro ruolo, detemrinante, anche per la cura della fotorgrafia del film a colori, di Robert Surtees, in un'epoca in cuoi il tecnhicolor aveva avuto un suo"top"con"Gone with the Wind"e qualche altro film)solo di produzione USA, dato che in Europa i costi erano altissimi e dunque quasi tutto il cinema europeo rimaneva n binaco e nero). Come si è detto,La Kerr e Granger deludono, in parte, per la loro scarsa capacità di rnedere credibile quanto si palesa troppo imporovvisamente e repentinamente. Rimane un fil di appeal, circostanza dimmostrata anche del successo del remake. El Gato
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