atticus
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venerdì 22 agosto 2008
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semplicemente perfetto
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Ford più di ogni altro cineasta americano (evito di elencarli perchè tantissimi e senza dubbio GRANDI), ha saputo mostrare l'epica della frontiera, dando ai suoi eroi, anche se negativi (Ethan) una pienezza che non da scampo. Entrano nel cuore. I silenzi
l'ostinazione, il senso dell'onore, la consapevolezza che il loro agire conduce alla tragedia,
ce li fa amare incodizionatamente. C'è ben più della facile lettura del mito Americano, Ford,
ci incalza, ci porta a scoprire, che come i suoi eroi, possiamo essere NOBILI perchè possiamo anche noi essere leali, dignitosi, umili.
Fort Apache, è uno splendido western, ma è anche una meravigliosa metafora dell'uomo che sceglie il suo destino.
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nicolas bilchi
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domenica 4 settembre 2011
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il massacro di fort apache.
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Anticipando in parte l'anno storico, il 1970, per il cinema western, John Ford realizza un'opera estremamente interessante non solo sul piano tecnico e stilistico, ma anche per l'indagine delle cause sociali e morali dell'astiosità degli indiani nei confronti del governo americano. Ford cala la sua straordinaria forza etica per rompere lo stereotipato sistema proprio del genere western (in larga parte forgiato dallo stesso regista), che era solito realizzare una marcata decisione tra i cowboy buoni e gli indiani cattivi e selvaggi, privi di morale e di valore; Ford invece inizia a stendere, almeno in parte, una mano amica nei confronti dei nativi americani: la "pace" - che poi pace non era, perchè gli indiani risultavano confinati in riserve sotto il controllo dei dominatori americani, e di questo il film non fa accenno - tra i due schieramenti vieni infranta nel momento in cui l'uomo bianco offre prostitute, fucili, alcolici ed altri divertimenti "occidentali" ai nativi.
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Anticipando in parte l'anno storico, il 1970, per il cinema western, John Ford realizza un'opera estremamente interessante non solo sul piano tecnico e stilistico, ma anche per l'indagine delle cause sociali e morali dell'astiosità degli indiani nei confronti del governo americano. Ford cala la sua straordinaria forza etica per rompere lo stereotipato sistema proprio del genere western (in larga parte forgiato dallo stesso regista), che era solito realizzare una marcata decisione tra i cowboy buoni e gli indiani cattivi e selvaggi, privi di morale e di valore; Ford invece inizia a stendere, almeno in parte, una mano amica nei confronti dei nativi americani: la "pace" - che poi pace non era, perchè gli indiani risultavano confinati in riserve sotto il controllo dei dominatori americani, e di questo il film non fa accenno - tra i due schieramenti vieni infranta nel momento in cui l'uomo bianco offre prostitute, fucili, alcolici ed altri divertimenti "occidentali" ai nativi. Il regista sembra così lasciare intendere come queste persone temessero di perdere la propria identità, erano consapevoli che questo contatto costituiva una forma di corruzione dei loro principi e di annientamento della loro cultura, sembra quasi una proiezione, anche se meno approfondita, del tema fondamentale del cinema di Pasolini: l'omologazione delle masse ad un certo tipo di mentalità, nel cineasta italiano quella borghese, in Ford quella di matrice europeiggiante in senso più ampio. Ed infatti il personaggio meglio caratterizzato è quello di Henry Fonda, una sorta di generale Custer che incarna in pieno i principi dell'Ovest nella loro luce più negativa ed oscura, posta in palese contrasto con la genuina moralità di Wayne (assolutamente straordinario per recitazione, in questa circostanza); Ford trasforma Fonda da buono per antonomasia (lo aveva diretto nel leggendario Furore) a personaggio veramente "nero": non è un cattivo tradizionale - e questo lo rende ancor più significativo - perchè la sua malvagità non deriva da una cosciente presa di posizione, cioè egli non compie il male volutamente, ma come conseguenza del suo effettivo sincero ai valori americani, che però in lui distruggono ogni possibilità di affetto umano e di senso della compassione e della tolleranza verso i "diversi". Di fronte ad una figura così artisticamente grande si eleva, e risplende di luce riflessa, anche il personaggio di John Wayne, che pur avendo una parte oggettivamente di second'ordine in questa pellicola, sul versante idelogico costituisce un tassello fondamentale del discorso... il suo modo di rapportarsi agli indiani, il senso di fratellanza con gli uomini del reggimento (opposto alla ferrea disciplina di Fonda) si caricano di una valenza sentimentale notevole, e conferiscono grande spessore ad un'opera che, pur definibile solo come un western, trascende il genere per presentare agli occhi degli spettatori una profonda riflessione di carattere socio-politico con lo stile chiaro e comprensibile a tutti proprio di un grande maestro quale John Ford.
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samanta
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mercoledì 16 gennaio 2019
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l'ultima carica del colonnello
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Il film del 1948 fa parte della trilogia realizzata da John Ford (nei 2 anni seguenti seguirono Cavalieri del Nord Ovest e Rio bravo) e dedicata alla cavalleria americana (parecchi anni dopo un'altro film dedicato a tale arma fu Soldati a cavallo), la cavalleria era stata fondamentale nella conquista del West sia per le grandi distese di pianure e deserti, ma anche perché gli indiani, ottimi guerrieri, combattevano a cavallo. Il film è evidentemente ispirato alla storia del generale Custer (in realtà colonnello, poiché promosso temporanemante durante la guerra civile generale, tale grado, finita la guerra. non gli fu confermato) che mandò al massacro contro i Sioux il 7° reggimento di cavalleria nella battaglia di Little Big Horn nel 1876 (ispirati alla vicenda furono realizzati vari film tra cui quello famoso La storia del gen.
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Il film del 1948 fa parte della trilogia realizzata da John Ford (nei 2 anni seguenti seguirono Cavalieri del Nord Ovest e Rio bravo) e dedicata alla cavalleria americana (parecchi anni dopo un'altro film dedicato a tale arma fu Soldati a cavallo), la cavalleria era stata fondamentale nella conquista del West sia per le grandi distese di pianure e deserti, ma anche perché gli indiani, ottimi guerrieri, combattevano a cavallo. Il film è evidentemente ispirato alla storia del generale Custer (in realtà colonnello, poiché promosso temporanemante durante la guerra civile generale, tale grado, finita la guerra. non gli fu confermato) che mandò al massacro contro i Sioux il 7° reggimento di cavalleria nella battaglia di Little Big Horn nel 1876 (ispirati alla vicenda furono realizzati vari film tra cui quello famoso La storia del gen. Custer interpretato da Errol Flynn).
Il protagonista del film è il colonnello Turner (in originale Thursday) che non viene confermato nel grado di generale acquisito durante la guerra civile ed inviato nel deserto a Fort Apache a comandare il reggimento di cavalleria lì stanziato. Turner (Henry Fonda) è' accompagnato dalla figlia Filadelfia che si innamora di un giovane tenente Manuel O'Rourke (John Agar nella realtà marito di Shirley Temple da cui poi divorziò) figlio del sergente maggiore del reggimento (Ward Bond), nel forte tra gli ufficiali c'é il capitano York (John Wayne) che in assenza del colonnello aveva preso il comando del reggimento. Turner è un uomo onesto, coraggioso come dimostrerà in seguito, ma ligio al regolamento in modo ossessivo e ottuso, con scarsa capacità di colloquio con gli altri ufficiali e con i soldati, incapace di capire la realtà della guerra indiana, credendo gli apache selvaggi buoni a nulla, ma soprattutto sottovalutando le ragioni degli indiani che avevano firmato un trattato con il governo USA che era stato palesemente violato dagli agenti federali. Turner è divorato dal risentimento della sua mancata carriera e vuole coprirsi di gloria mandando al massacro il reggimento in una carica suicida in mezzo ad un canyon. Si salverà York inviato dal colonnello nelle retrovie con la sussistenza.
Innanzitutto il film riflette il mondo composito di Ford: ai momenti drammatici si alternano quelli ironici o scherzosi, c'é il momento sentimentale con l'amore tra Filadelfia e il tenente O'Rourke a cui il colonnello si oppone per ragioni di classe, commovente è il ballo tra i due innamorati la sera prima che il reggimento parta per la guerra, c'è la descrizione della vita militare con le donne che si sacrificano in una vita disagiata per amore degli uomini che hanno sposato, il film terminerà con l'elogio di quel mondo militare che nel bene e nel male ha assicurato agli USA immensi territori. Si deve anche considerare che è da sfatare la leggenda assurda di un Ford razzista, nel film (siamo nel 1948) vengono esposte le sacrosante ragioni degli indiani, come anche in altri film (si pensi ad esempio al Grande Sentiero o anche a Cavalcarono insieme). Come al solito il film è girato con una splendida fotografia nella Monumental Valley che in realtà si trova nello Utah lontano dai territori degli Apache che erano vicini al confime messicano come l'Arizona. Eccezionale l'interpretazione di Henry Fonda che dopo quel film (era un degli attori prediletti da Ford che lo utilizzò in Furore o in Sfida infernale), smise di recitare al cinema e si ritirò nei teatri di Broadway per 6 anni, ritornò ad Hollywood con La nave matta di mr. Roberts con la regia di John Ford, con cui Fonda litigò clamorosamente e di cui ottenne la sostituzione dai produttori. Ottima come al solito l'interpretazione di John Wayne che non interpreta un "duro", ma un soldato coraggioso, leale e soprattutto umano, bravi gli altri comprimari attori fedeli di Ford come Ward Bond, Victor McLaglen, Pedro Armendariz ed anche brava Shirley Temple che di lì a poco smise di recitare al cinema.
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figliounico
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sabato 4 giugno 2022
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la favola bella che ancora ci incanta
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Mentre in Italia nasceva il neorealismo, il cinema dei vinti, emblema di un popolo ripiegato su sé stesso, che si leccava le ferite raccontandosi attorno al focolare domestico, unico sopravvissuto alla disfatta generale, piccole storie intimiste tristi e lacrimevoli di gente comune, negli usa Ford girava film che celebravano retoricamente il popolo americano ed il suo esercito vittorioso in europa e nel mondo, metaforicamente rappresentato attraverso l’epopea delle guerre indiane, un genocidio travisato in gag comiche ed imprese eroiche, condotte dalle gloriose giubbe blu del settimo cavalleggeri presto berretti verdi. Al di là di questo, il film del ’48, o proprio per questo, funziona ancora benissimo, perché ci ricorda nostalgicamente i tempi dell’infanzia, quando era bello riconoscersi nell’eroe positivo, il capitano Kirby York, alias John Wayne, impegnato nella duplice lotta contro il nemico interno, il funzionario governativo corrotto e corruttore dei costumi dei nativi ed il colonnello, l’ottuso carrierista Henry Fonda, ed i selvaggi dal cuore nobile, simili a fiere leonine da addomesticare o in alternativa da sterminare.
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Mentre in Italia nasceva il neorealismo, il cinema dei vinti, emblema di un popolo ripiegato su sé stesso, che si leccava le ferite raccontandosi attorno al focolare domestico, unico sopravvissuto alla disfatta generale, piccole storie intimiste tristi e lacrimevoli di gente comune, negli usa Ford girava film che celebravano retoricamente il popolo americano ed il suo esercito vittorioso in europa e nel mondo, metaforicamente rappresentato attraverso l’epopea delle guerre indiane, un genocidio travisato in gag comiche ed imprese eroiche, condotte dalle gloriose giubbe blu del settimo cavalleggeri presto berretti verdi. Al di là di questo, il film del ’48, o proprio per questo, funziona ancora benissimo, perché ci ricorda nostalgicamente i tempi dell’infanzia, quando era bello riconoscersi nell’eroe positivo, il capitano Kirby York, alias John Wayne, impegnato nella duplice lotta contro il nemico interno, il funzionario governativo corrotto e corruttore dei costumi dei nativi ed il colonnello, l’ottuso carrierista Henry Fonda, ed i selvaggi dal cuore nobile, simili a fiere leonine da addomesticare o in alternativa da sterminare. Come non tornare a sognare sulle note delle marcette di Hageman di cavalcare ancora a fianco di quei valorosi in quel mondo fantastico mai esistito dimenticando per sempre il mai rappresentato orrore vero del massacro compiuto a danno dei nativi americani.
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kronos
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giovedì 10 ottobre 2019
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in anticipo sui tempi
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Western generalmente sottovalutato nell'ambito della filmografia di Ford, ma visto con gli occhi dello spettatore contemporaneo è forse il più maturo e ideologicamente in anticipo sui tempi.
Racconta la vita militare all'interno del più celebre avamposto dell'esercito USA in territorio indiano, traendo ispirazione da George Custer per il personaggio del colonnello Oswald Turner, interpretato da Henry Fonda.
Le ragioni dei nativi americani vengono delineate con equilibrio ed onestà intellettuale, mentre alla berlina viene posto il militarismo d'accademia, tronfio e supponente.
Magnifiche come sempre le riprese in esterni sullo sfondo della Monument Valley, ed è magistrale la regia di tutte le sequenze d'azione, per niente datate.
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Western generalmente sottovalutato nell'ambito della filmografia di Ford, ma visto con gli occhi dello spettatore contemporaneo è forse il più maturo e ideologicamente in anticipo sui tempi.
Racconta la vita militare all'interno del più celebre avamposto dell'esercito USA in territorio indiano, traendo ispirazione da George Custer per il personaggio del colonnello Oswald Turner, interpretato da Henry Fonda.
Le ragioni dei nativi americani vengono delineate con equilibrio ed onestà intellettuale, mentre alla berlina viene posto il militarismo d'accademia, tronfio e supponente.
Magnifiche come sempre le riprese in esterni sullo sfondo della Monument Valley, ed è magistrale la regia di tutte le sequenze d'azione, per niente datate.
Qualche perplessità suscitano il bozzettismo della parte centrale e l'esagerato spazio conferito alla love story tra il tenentino di fresca nomina e la dolce fanciulla del west (interpretata dalla mitica Shirley Temple, ormai cresciuta) che rischiano di togliere mordente alla vicenda principale.
All'altezza tutti gli interpreti, protagonisti e caratteristi, con una menzione particolare per John Wayne la cui personalità emerge con forza nonostante un minutaggio abbastanza ridotto attribuito al suo personaggio.
Gli ultimi due retoricissimi minuti, evidentemente stonati col resto dell'opera, sembrano un'imposizione produttiva più che una libera scelta dell'autore.
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biscotto51
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venerdì 20 dicembre 2019
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andava (forse) bene 70 anni fa
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Un colonnello di nome Thursday (giovedì) rigido come un manico di scopa e con la dura faccia scolpita nel marmo al cui confronto Clint Eastwood è Laurence Olivier, arriva fresco di retrocessione da generale per comandare Fort Apache. Lo accompagna la figlia ragazzina, tutta pizzi, cappellini e bauletti che istantaneamente si innamora, con moine svenevoli ed espressioni entusiastiche e fuori dalle righe, del bel tenentino fresco di nomina dell'Accademia anch'egli destinato, azzimato ed elegantissimo, a Fort Apache, dove trova il padre sergente maggiore e la madre. Tra loro baci, abbracci e commozione dissimulata dal duro sergente che finge di soffiarsi il naso per nascondere due lacrimucce di gioia.
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Un colonnello di nome Thursday (giovedì) rigido come un manico di scopa e con la dura faccia scolpita nel marmo al cui confronto Clint Eastwood è Laurence Olivier, arriva fresco di retrocessione da generale per comandare Fort Apache. Lo accompagna la figlia ragazzina, tutta pizzi, cappellini e bauletti che istantaneamente si innamora, con moine svenevoli ed espressioni entusiastiche e fuori dalle righe, del bel tenentino fresco di nomina dell'Accademia anch'egli destinato, azzimato ed elegantissimo, a Fort Apache, dove trova il padre sergente maggiore e la madre. Tra loro baci, abbracci e commozione dissimulata dal duro sergente che finge di soffiarsi il naso per nascondere due lacrimucce di gioia. Fanno da cornice tre macchiette di sergenti, sbruffoni e bevitori come si deve essere nel duro West, che sanno loro come trattare in modo maschio le reclute imbranate, mica come quel pappamolla del tenentino imbevuto di sciocchi regolamenti. Reclute tanto imbranate che non sanno tenere in mano un fucile né stare allineati né marciare in modo dignitoso. Dove sono i bei western con gli indiani crudeli e ululanti che ti spediscono la freccia diritta nel petto? Bleah! Ho resistito 40 minuti a questa commedia dolciastra piena di tutti gli stereotipi, comprese le inquadrature delle vette della Mountain Valley che nei film di John Ford non mancano mai, ma proprio mai.
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il cinefilo
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venerdì 19 novembre 2010
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la disfatta di little big horn secondo john ford
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La battaglia a cui fà riferimento il film si ispira allo scontro,avvenuto il 25 giugno 1876,tra il 7°reggimento della cavalleria degli Stati Uniti d'America e le tribù Cheyenne,Arapaho e Lakota Sioux che si concluse(come nel film)in una atroce sconfitta dei primi.
La figura del colonnello Thursday(interpretato da Henry Fonda)è tratta dalla figura del generale George Armstrong Custer(che,storicamente,guidò la cavalleria alla disfatta)e il capo indiano che guidò le tribù si chiamava Cavallo Pazzo.
Malgrado i precisi riferimenti storici e la bellezza della sequenza della carneficina finale(come solamente un regista della grandezza di John Ford poteva girare)la commistione tra umorismo ed epica non è propriamente riuscita in quella grandiosa maniera che ci si potrebbe aspettare da un cineasta di questo calibro e l'inutile sottotrama ingenua e romantica(tra il giovane tenente e la figlia del colonnello autoritario)si poteva benissimo evitare.
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La battaglia a cui fà riferimento il film si ispira allo scontro,avvenuto il 25 giugno 1876,tra il 7°reggimento della cavalleria degli Stati Uniti d'America e le tribù Cheyenne,Arapaho e Lakota Sioux che si concluse(come nel film)in una atroce sconfitta dei primi.
La figura del colonnello Thursday(interpretato da Henry Fonda)è tratta dalla figura del generale George Armstrong Custer(che,storicamente,guidò la cavalleria alla disfatta)e il capo indiano che guidò le tribù si chiamava Cavallo Pazzo.
Malgrado i precisi riferimenti storici e la bellezza della sequenza della carneficina finale(come solamente un regista della grandezza di John Ford poteva girare)la commistione tra umorismo ed epica non è propriamente riuscita in quella grandiosa maniera che ci si potrebbe aspettare da un cineasta di questo calibro e l'inutile sottotrama ingenua e romantica(tra il giovane tenente e la figlia del colonnello autoritario)si poteva benissimo evitare.
Il finale spudoratamente patriottico mal si addice alla sequenza della disfatta del 7°reggimento e da quasi l'impressione che vi sia stato imposto con forza dai produttori e,se fosse così,non ci sarebbe da stupirsene se si considera che la rielaborazione dell'immagine dei nativi americani da"popolo oppressore"a"popolo oppresso"pare sia incominciata solamente intorno agli anni settanta.
Non si tratta di un J.Ford in gran forma e nonostante ciò è pienamente meritevole di essere visionato,soprattutto per gli aspetti sopra citati.
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