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bettipigna
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mercoledì 26 novembre 2025
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la grande invenzione di pupi avati: horror/noir
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La vena horror di Pupi Avati è magnifica. Ne "L' orto americano" ritornano le atmosfere da incantamento noir nostrano che tanto intrigano perché lasciano intravedere insidie dove non verrebbe mai da pensarne. Buona parte del mistero attraverso il quale si dipana la storia è tenuta in tensione da posture di recitazione e di sceneggiatura che verrebbe da definire "fuori moda", non fosse proprio questo a rendere il tutto tanto più efficace, perché ricorda le grandi, indimenticabili paure, di produzioni gotiche nostrane che avevano dentro ancora un bel po' di teatro (una fra tutte "Il segno del comando"). Avati non si smentisce.
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La vena horror di Pupi Avati è magnifica. Ne "L' orto americano" ritornano le atmosfere da incantamento noir nostrano che tanto intrigano perché lasciano intravedere insidie dove non verrebbe mai da pensarne. Buona parte del mistero attraverso il quale si dipana la storia è tenuta in tensione da posture di recitazione e di sceneggiatura che verrebbe da definire "fuori moda", non fosse proprio questo a rendere il tutto tanto più efficace, perché ricorda le grandi, indimenticabili paure, di produzioni gotiche nostrane che avevano dentro ancora un bel po' di teatro (una fra tutte "Il segno del comando"). Avati non si smentisce. Una vocazione la sua, alle storie che inquietano, che dà filo da torcere alla maggior parte di pseudo thriller/horror in circolazione. Molto, molto bello.
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charlie94
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martedì 26 agosto 2025
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scusa pupi avati
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A Pupi Avati si perdona tutto, anche un film come questo, bello per le atmosfere, ma alquanto illogico nello svolgimento.
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ivan il matto
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lunedì 28 luglio 2025
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fra la via emilia e il (mid) west
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A 86 anni suonati Pupi Avati si permette un horror di categoria 'lusso' da far arrossire Robert Eggers ed il suo ultimo Nosferatu. Fra la via Emilia e il (mid) west, per citare un Guccini d'annata, una vicenda assolutamente visionaria tratta da un suo romanzo, ben scritta, impaginata e fotografata con un B/N da far invidia a Carl Theodor Dreyer. Memore della lezione di Hitchcock il regista bolognese non si concede una sbavatura nel senso dello splatter, rimanendo misurato e linerare nella narrazione, pur nella scabrosità dell'argomento trattato. Come quasi sempre nelle sue pellicole fra gli attori compare sempre qualche figura emarginata o diemnticata del cinema di una volta.
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A 86 anni suonati Pupi Avati si permette un horror di categoria 'lusso' da far arrossire Robert Eggers ed il suo ultimo Nosferatu. Fra la via Emilia e il (mid) west, per citare un Guccini d'annata, una vicenda assolutamente visionaria tratta da un suo romanzo, ben scritta, impaginata e fotografata con un B/N da far invidia a Carl Theodor Dreyer. Memore della lezione di Hitchcock il regista bolognese non si concede una sbavatura nel senso dello splatter, rimanendo misurato e linerare nella narrazione, pur nella scabrosità dell'argomento trattato. Come quasi sempre nelle sue pellicole fra gli attori compare sempre qualche figura emarginata o diemnticata del cinema di una volta...magari improbabili ma sempre ottimamente in parte, benchè anche in ruoli secondari. Ricordate Carlo delle Piane, Katia Ricciarelli o Renato Pozzetto? Stavolta tocca a Chiara Caselli, Andrea Roncato, Roberto de Francesco, Claudio Botosso...ed infine anche Cesare Cremonini. Non vi resta che correre al cinema a vedre l'Avati migliore (insieme al "Dante" di qualche tempo fa) degli ultimi anni
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ralphscott
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sabato 5 aprile 2025
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un barattolo compromettente
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Come sempre, più che mai, Avati scava nel passato con risultati convincenti, anche grazie ad un' affascinante bianco e nero. Il suo protagonista trova un barattolo di resti umani, lo spettatore la malìa che lo incolla allo schermo. Che dire poi di abiti ed acconciature d'epoca ? Basta lasciarsi trasportare, e divertirsi con stupore, fianco a fianco del bel visino di Filippo Scotti, brillantina ed efelidi, della sorprendente Romina Mondello, quasi caricaturale nel suo difetto di pronuncia portato disinvoltamente come la sua figura sensuale e decadente. Interessante il rapporto tra i due fratelli, un latin lover di rara ruvidezza ed un ambiguo insegnante - personaggio degno di Peter Lorre - legati da un inestricabile ed irrisoluto rapporto.
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Come sempre, più che mai, Avati scava nel passato con risultati convincenti, anche grazie ad un' affascinante bianco e nero. Il suo protagonista trova un barattolo di resti umani, lo spettatore la malìa che lo incolla allo schermo. Che dire poi di abiti ed acconciature d'epoca ? Basta lasciarsi trasportare, e divertirsi con stupore, fianco a fianco del bel visino di Filippo Scotti, brillantina ed efelidi, della sorprendente Romina Mondello, quasi caricaturale nel suo difetto di pronuncia portato disinvoltamente come la sua figura sensuale e decadente. Interessante il rapporto tra i due fratelli, un latin lover di rara ruvidezza ed un ambiguo insegnante - personaggio degno di Peter Lorre - legati da un inestricabile ed irrisoluto rapporto. Siamo nella provincia rurale, come ai tempi delle finestre che ridevano. E le brume del fiume coprotagoniste.
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nino pellino
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domenica 23 marzo 2025
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pupi avati questa volta non mi colpisce nel finale
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Ogni volta che Pupi Avati decide di dirigere un thriller-horror, il suo operato è sempre una garanzia di qualità e di interesse per lo spettatore appassionato a questo tipo di genere cinematografico. E anche questa volta, in occasione del film "L'orto americano", il regista emiliano sembra non smentire la sua bravura. La trama è ambientata nell'immediato secondo dopoguerra e il protagonista è un giovane sognatore dalle tendenze visionarie di nome Lui che, durante una giornata trascorsa a Bologna nel locale del proprio barbiere intento a farsi tagliare i capelli, incrocia con lo sguardo una giovane donna dell'esercito americano che entra per un istante nel negozio per chiedere un'informazione.
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Ogni volta che Pupi Avati decide di dirigere un thriller-horror, il suo operato è sempre una garanzia di qualità e di interesse per lo spettatore appassionato a questo tipo di genere cinematografico. E anche questa volta, in occasione del film "L'orto americano", il regista emiliano sembra non smentire la sua bravura. La trama è ambientata nell'immediato secondo dopoguerra e il protagonista è un giovane sognatore dalle tendenze visionarie di nome Lui che, durante una giornata trascorsa a Bologna nel locale del proprio barbiere intento a farsi tagliare i capelli, incrocia con lo sguardo una giovane donna dell'esercito americano che entra per un istante nel negozio per chiedere un'informazione. Lui che conosce l'inglese, le fornisce le notizie di cui lei ha bisogno ed è da tale incontro, durato appena pochi minuti, che Lui viene perdutamente rapito dalla bellezza di costei fino a suscitarne un morboso amore platonico. L'intento del giovane sarà quello di mettersi pertanto sulle tracce della donna tentandone una ricerca affannosa che lo porterà in Italia dove scoprirà delle macabre verità sulla scomparsa eventuale della ragazza, il cui nome è Barbara, e di altre sventurate donne che si presume siano state brutalmente assassinate dalle parti di Ferrara da un maniaco omicida. L'originalità e la particolarità di Pupi Avati in questo film sta nell'aver saputo tessere da una scena iniziale di tipo cauale, tutta una serie di avvenimenti e situazioni che sfoceranno in delle crude verità. Questa volta però l'effetto sorpresa delle scene finali, che tanto mi aveva rapito in altri suoi celebri film di questo genere e mi riferisco a pellicole come "La casa dalle finestre che ridono" o in tempi più recenti "Il signor diavolo", non sono riuscito a percepirlo dal momento in cui il mistero e la verità sugli avvenimenti di cronaca che caratterizzano la trama vengono intuitivamente svelati allo spettatore già circa venti minuti prima che arrivi il finale. Ciò che accomuna questo lavoro del regista con i due precedenti film citati è sicuramente lo sguardo che viene incrociato tra il protagonista (che ancora una volta ci appare come uno sconfitto) e l'omicida o comunque colui che inpersonifica la controparte non buona della situazione. Ma stavolta l'effetto mi è apparso smorzato da qualche lungaggine di troppo (il fatto che Lui verrà provvisoriamente rinchiuso in un maniconio) e, come ho detto prima, dalla verità che sale a galla già con anticipo. Nell'insieme però ho trovato sicuramente la regia di una bellezza ineccepibile (per carità, Pupi Avati è pur sempre un grande) e anche l'uso del bianco e nero riesce a donare al film la giusta atmosfera e l'adeguata impressionabilità a tutto il contesto.
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martedì 18 marzo 2025
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p.avati super super.
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La bellezza di un viso che ti sorride e' l"incantamento sufficiente a dar senso ad una intera vita. Ma la bellezza che ti salva e' la stessa che ti perde, sempre insidiata dall'abisso . Siamo dalle parti di Dostoevskij, che questo film firmerebbe all' istante. Per i dettagli, moltissimi e ficcanti ,non c'e'spazio. Penazzi Serafino
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athos
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lunedì 17 marzo 2025
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magico
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Un film magico, misterioso, antico, onirico. Pupi AVati racconta una storia del dopoguerra con un tocco così speciale che solo i veri maestri del cinema riescono a fare.
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alexia62
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sabato 15 marzo 2025
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grande pupi avati!!
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Bellissimo film drammatico thriller, tutto tranne che horror!!
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joecondor
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sabato 8 marzo 2025
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bel film girato bene scotti bravissimo
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Mi è piaciuto molto bene girato ottime atmosfere che Avati sá ottimamente creare ,la storia tiene e Filippo Scotti è veramente bravo.Gli indizi ci sono nella storia thriller ma uno è fuorviante il segno Zodiacale forse fatto apposta tutto il resto si incastra in un finale aperto allo spettatore che ne trarrá le sue conclusioni.Ce ne fossero di questi film Ottima la regia di Avati un bel film
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goldy
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sabato 8 marzo 2025
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pi? che inquietante
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Chi ama l'horror potrà anche apprezzarlo ma gli altri si astengano!
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