emanuelas
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lunedì 5 agosto 2024
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grande nobile cinema
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Un film sorprendentemente maturo, ottimamente recitato -da non dimenticare il cammeo perfetto di Pierobon. Saluto con entusiasmo il ritorno di una cinematografia civile di alto livello professionale. Non solo buoni sentimenti non solo denuncia ma vero cinema!
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jean
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martedì 28 maggio 2024
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un film coinvolgente sulla vita dell’operaio.
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LA STORIA VERA TRA ABUSI È SOPRUSI TRA VITTIMA O CARNEFICE.
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LA STORIA VERA TRA ABUSI È SOPRUSI TRA VITTIMA O CARNEFICE.
La pellicola è tratto da una storia vera dove racconta gli abusi è il mobbing fatti dai titolari hai suoi dipendenti della ditta Ilva di Taranto dove anche i piú qualificati operai vengono trasferiti nell’ prefabbricato decadente è marcio noto come “Palazzina Laf” ( acronimo di laminatoio a freddo.)
Il dirigente senza scrupoli Giancarlo Basile (Elio Germano) con questa sorta di elaborato marchingegno vuole sì chè i suoi operai firmano un nuovo contratto a tutto vantaggio della azienda.
Peró alla Palazzina Laf ì dipendenti non lavorano! Ma giocano a carte, dormono, pregano, giocano a Ping Pong, insomma si direbbe un paradiso, ma che alla fine un paradiso non è perché i dirigenti sanno bene che trascorrere del tempo anche senza lavorare è davvero difficile è logorante con la sensazione di essere rinchiusi in una prigione ( che poi di fatto lo è ) è dove devi tenere la mente occupata è difficile per far scivolare le noiose ore lavorative sapendo chè non puoi lasciare la palazzina, perché sorvegliati sempre a vista dalla sicurezza è l’unico modo possibile per allontanarsi è con un permesso del capo Basile.
Un giorno mettono nella palazzina Caterino Lamanna (Michele Rondino), un operaio addetto hai forni è appena fresco di promozione a capo squadra, ma essendo molto ambizioso, strafottente è sicuro di se, mandato lì dallo stesso Basile con il compito di riferire tutto quello che succede nella palazzina.
Così preso dalla sua nuova mansione di spia chè di propria iniziativa pedina i propri colleghi anche al di fuori dalle ore lavorative, oltrepassando tutti i limiti della moralità.
Michele Rondino al suo debutto come regista sembra che volesse raccontare con le scene la vita degli operai con i propri occhi… un lavoro duro,sporco, di sudore è assai monotono della vita di fabbrica, esempio è ad inizio film quando la scena degli operai vanno a beggiare ad inizio è a fine turno, alla entrata è alla uscita della ditta, qui il regista con il montatore sembra che volessimo creare una unica sequenza a "Loop" quasi con le immagini a raccontare il lavoro che i dipendenti da li a poco dovranno svolgere.
La trama è fluida grazie anche alla ottima interpretazione di Elio Germano è Michele Rondino ( che si districa bene tra attore è regia) fa sì che lo spettatore si gode appieno il film anche se in alcune scene c’è proprio del grottesco.
La pellicola fa anche riflettere come i sindacati prima è le istituzioni poi, al tempo non potessero fare niente contro un “potere forte!”
Molto bella la canzone nei titoli di coda di Dionato che chiude la pellicola con un velo di malinconia.
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massimo maggiore
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domenica 26 maggio 2024
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film non riuscito
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Mi aspettavo molto di più. È un film che porta alla ribalta una vicenda tutto sommato marginale rispetto a quello che l'ilva ha rappresentato per Taranto. C'è la tara di voler riprodurre un'estetica da film operaistico anni 70. Che qui è ridotta all'uso dei baffi nei personaggi e a un tipo di recitazione forzata (quella di Germano in particolare). Un film privo di inventività registica con poco "cinema" e tutto sommato noioso.
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ivan il matto
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lunedì 13 maggio 2024
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la fabbrica protagonista ****
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La classe operaia va in paradiso o alla "Palazzina Laf"? Scimodando il famoso titolo di Elio Petri (1971), Michele Riondino esordisce alla regia mettendo in scena il celebre caso di mobbing collettivo degli anni 90 all'LVA di Taranto. Confinati in un'ala in disuso dell'enorme complesso siderurgico, la palazzina laf (acronimo di Laminatoio a freddo), ha accolto dalla seconda metà dei 90 al 2005, fino a 70 fra tecnici, impiegati e operai "scomodi" o troppo sindacalizzati. Costretti in quei luoghi fatiscenti, le maestranze in questione venivano ridotte all'inattivita' forzata fra umiliazioni e proposte indecenti di demansionamento professionale.
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La classe operaia va in paradiso o alla "Palazzina Laf"? Scimodando il famoso titolo di Elio Petri (1971), Michele Riondino esordisce alla regia mettendo in scena il celebre caso di mobbing collettivo degli anni 90 all'LVA di Taranto. Confinati in un'ala in disuso dell'enorme complesso siderurgico, la palazzina laf (acronimo di Laminatoio a freddo), ha accolto dalla seconda metà dei 90 al 2005, fino a 70 fra tecnici, impiegati e operai "scomodi" o troppo sindacalizzati. Costretti in quei luoghi fatiscenti, le maestranze in questione venivano ridotte all'inattivita' forzata fra umiliazioni e proposte indecenti di demansionamento professionale. Nei panni del viscido delatore Caterino Lamanna, Riondino riporta al cinema, dopo chissà quanto, la fabbrica, gli ambienti di lavoro reali, l'abbandono e la desolazione di chi difende con le unghie e con i denti la propria dignità umana, prima che di lavoratore. "Il ns acciaio serve ad arricchire qualcun altro...a noi resta solo la monnezza", sentenzia uno dei confinati scrutando dall'alto l'azienda. Fra l'atto d'accusa e i toni della commedia grottesca, il film trascina alla gogna i piani alti dell'impresa nella persona di Giancarlo Basile, dirigente lugubre e marcio, cui Elio Germano conferisce lo spessore formidabile del borgataro romano già interpretato meravigliosamente nelle pellicole dei fratelli D'Alessandro. Dal canto suo Vanessa Scalera, pugliese di Mesagne, anch'essa fra i confinati, offre il suo contributo, benché relativo, convinta di spendersi per una chiamata alle armi. Pur in una periferia umana e sociale degradata, che fotografa la famigerata palazzina nei modi di un campo di concentramento, il finale di Riondino regala "due soldi di speranza" con la sentenza del 2006 che inchioda l'azienda alle sue responsabilità. Insieme alla canzone del pugliese Diodato "la mia terra", significativamente interpretata sui titoli di coda.
Che dire poi dell'abbrraccio fra Elio, Michele e lo stesso cantautore alla notte dei David di Donatello, poiché tutti e tre premiati!?...un'Italia migliore è sempre possibile!!
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harroldthebarrel
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venerdì 10 maggio 2024
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stupendo e necessario
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Le vicende dell'Ilva viste da un'altra prospettiva, quella della palazzina dove veniva confinato chi si opponeva al ricatto dell' azienda, senza però mai perdere di vista il tema di fondo, quello della fabbrica che dà lavoro e quindi vita, ma anche lento annientamento fisico e non solo dell'individuo. Prospettive che si saldano nel personaggio dell'operaio Caterino, la spia del padrone che è anche vittima inconsapevole. Un film di denuncia ma che sa uscire da schemi classici del genere. Film necessario, realistico, potente, poetico. Se Elio Germano conferma il suo immenso talento e la disponibilità a interpretazioni anche non da protagonista, Riondino è semplicemente straordinario non solo per la prova attoriale, ma per la maturità che mostra al suo debutto da regista.
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fulvio wetzl
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lunedì 6 maggio 2024
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ilva=auschwitz
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Un film potentissimo, degno dell'Elio Petri de La classe operaia va in paradiso, recitato in maniera sublime da tutti, dove l'Ilva di Taranto è paragonata alla Auschwitz della Zona d'interesse, film che stilisticamente è molto simile (la fabbrica e il campo mai inquadrati dal di dentro, una colonna sonora di rumori sordi e ripetitivi, meccanici ed umani, che evocano l'inferno delle due "prigioni", una musica concreta lacerante di Theo Teardo, non diversa da quella di Levi. Un montaggio, sincopato dissonante spettacolare di Julien Panzarasa, una struggente ma mai consolatoria canzone di Diodato). Insomma un capolavoro agghiacciante.
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matteo
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giovedì 22 febbraio 2024
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il non lavoro come lavoro
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Il confino aziendale come pratica segregatrice e punitiva dei lavoratori non allineati o improduttivi mi era del tutto sconosciuta. Questo film ne traccia una storia dettagliata all'interno del grande polo industriale dell'Ilva di Taranto e per quanto mi riguarda i meriti di questo film finiscono qua. Riondino tocca molti temi del lavoro di fabbrica all'interno dell'Ilva (ma generalizzabili al lavoro industriale) senza approfondirne in modo significativo nemmeno uno. Ma il limite maggiore sono i personaggi che mi sembrano troppo scontati e poco autentici ridotti a macchiette caratteriali, in particolar modo Basile (Elio Germano) che risulta nella mimica e nei comportamenti un burattino grottesco.
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Il confino aziendale come pratica segregatrice e punitiva dei lavoratori non allineati o improduttivi mi era del tutto sconosciuta. Questo film ne traccia una storia dettagliata all'interno del grande polo industriale dell'Ilva di Taranto e per quanto mi riguarda i meriti di questo film finiscono qua. Riondino tocca molti temi del lavoro di fabbrica all'interno dell'Ilva (ma generalizzabili al lavoro industriale) senza approfondirne in modo significativo nemmeno uno. Ma il limite maggiore sono i personaggi che mi sembrano troppo scontati e poco autentici ridotti a macchiette caratteriali, in particolar modo Basile (Elio Germano) che risulta nella mimica e nei comportamenti un burattino grottesco. Lo stesso protagonista riversa l'odio di classe sulla sua classe di appartenenza senza nessun scupolo di coscineza. Sul lavoro c'è bisogno di narrazioni lucide e sagaci e questa non credo che lo sia. Insomma Ken Loach è un'altra cosa.
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asia
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lunedì 15 gennaio 2024
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grazie
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almeno qualcuno che tenta di creare qualcosa di utile. non sarà perfetto ma almeno si tenta di fare un passo in avanti. bravi tutti.
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clara stroppiana
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sabato 16 dicembre 2023
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la fabbrica torna al cinema
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Da troppi anni il cinema italiano non entrava in una fabbrica per raccontarla. Con Palazzina LAF torna il cinema di impegno civile di Petri, di Rosi. E Riondino alla sua prima regia, sceglie il cinema di denuncia inserendosi in un ristretto numero di contemporanei a fianco del Vicari di Diaz e del Segre de L’ordine delle cose.
Siamo all’ILVA di Taranto, ora ex ILVA, che per anni ha riempito tristemente le cronache per le violazioni ambientali causa di migliaia di morti di cui si è resa responsabile, i casi giudiziari che l’hanno coinvolta, il ruolo dello Stato nella sua (s)vendita. E su tutto, il conflitto che ha diviso la popolazione tra tutela del lavoro e tutela della salute.
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Da troppi anni il cinema italiano non entrava in una fabbrica per raccontarla. Con Palazzina LAF torna il cinema di impegno civile di Petri, di Rosi. E Riondino alla sua prima regia, sceglie il cinema di denuncia inserendosi in un ristretto numero di contemporanei a fianco del Vicari di Diaz e del Segre de L’ordine delle cose.
Siamo all’ILVA di Taranto, ora ex ILVA, che per anni ha riempito tristemente le cronache per le violazioni ambientali causa di migliaia di morti di cui si è resa responsabile, i casi giudiziari che l’hanno coinvolta, il ruolo dello Stato nella sua (s)vendita. E su tutto, il conflitto che ha diviso la popolazione tra tutela del lavoro e tutela della salute. Ma noi, il pubblico, anche il più attento, poco sapevamo o forse nulla, della Palazzina LAF, ennesimo strumento dei padroni per mantenere il lavoratore in uno stato ansiogeno di soggezione e precarietà. Il film, ambientato nel 1997, è di un’attualità drammatica se ancora in questi giorni (dicembre 2023) gli operai dello stabilimento, ora nelle mani di una multinazionale indiana, sono costretti a manifestare contro una gestione disastrosa che mette a rischio il loro lavoro e la loro vita.
Michele Riondino riesce bene a ritrarre l’inferno dell’acciaieria più importante d’Europa grazie ad una buona padronanza del linguaggio cinematografico nel suo complesso. Dalla fotografia alla sceneggiatura, all’efficacissimo montaggio. Le musiche originali di Theo Teardo giocano un ruolo importante nel creare un universo sonoro assordante e distopico, ma già realtà nelle giornate alienanti degli operai confinati alla LAF dove anche la salute mentale è a rischio. Sfruttamento, controllo, atteggiamenti persecutori nei confronti del lavoratore scomodo, sono da sempre strumenti del “padrone” che delega il lavoro sporco al dirigente, qui ben interpretato da Elio Germano, che fa del cinismo la sua legge morale. Ottimo anche Riondino nei panni di un operaio qualunquista senza una coscienza di classe, che volentieri accetta di spiare e riferire ai capi i comportamenti dei compagni, in cambio di qualche miglioramento economico.
Tutti i personaggi sono tratteggiati con cura, ben caratterizzati, con qualche venatura grottesca, e nessuno ci appare secondario perché nella coralità dell’insieme rappresentano, cioè mettono in scena, una tragedia operaia che è la tragedia di una città e di una terra diventata “un campo minato” come canta Diodato nel brano La mia terra, parte della colonna sonora del film. Ancora in tema di suoni, apprezzabile la scelta di lasciare i dialoghi in dialetto tarantino con sottotitoli.
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[+] tre david di donatello ivan il matto
(di ivan il matto)
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athos
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mercoledì 13 dicembre 2023
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bravo riondino
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Cinema italiano in gran forma e Palazzina Laf ne è una conferma. Narra una storia interna ad una acciaieria, dove i dipendenti sotto punizione venivano trasferiti in una palazzina. Un mobbing di massa che utilizzava spie all'interno della struttura. Ne esce un film forte e di denuncia. Riondino animalesco nella difesa in tribunale e Germano acido e duro nel ruolo del cagnaccio formano una coppia affiatata come nel lontano Il passato è una terra straniera. Riondino ha ambientato questo film a Taranto in omaggio alle tristi vicissitudini decennali della Ilva. Eppure, all'anteprima in città, metà sala era vuota, dimostrazione che siamo un popolo che non sa ricordare.
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