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L'eccessiva propensione al worldbuilding priva la storia di profondità narrativa. La serie sacrifica il pathos, per trasmettere con coerenza una singolare visione di corporeità futuristica. Su Netflix
di Daniele D'Orsi Sentieri Selvaggi
A metà strada tra il biopunk e il mecha anime, The Orbital Children si presenta, sin dall'incipit, come punto culminante di una serie di riflessioni che attraversano da tempo l'animazione giapponese (e il cinema live-action), come ultimo tassello di un percorso che riflette continuamente sugli esiti dell'integrazione/incorporazione di elementi inorganici nella corporeità biologica degli individui. Un processo invasivo solitamente indagato nelle sue manifestazioni più destabilizzanti - se non propriamente deumanizzanti, come nei casi di Tsukamoto, Otomo, Fukui, così come in Cronenberg e Verhoeven - ma che Mitsuo Iso interpreta qui in termini più apertamente positivi, alla luce di una conciliante normalizzazione del progresso bio-cibernetico. [...]
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