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sergio dal maso
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lunedì 6 marzo 2023
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la tenerezza che ci univa
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“Ti ricordi, Michel del banco nero in terza fila, che ascoltò tutte le risate
Di due bambini che vivevano in un sogno che non si ripeterà (…)
Ti ricordi, Michel, di come era esclusiva la tenerezza che ci univa
E accompagnò la nostra infanzia fino ai giorni della nuova realtà…” Michel di Claudio Lolli
Léo e Rémi. Due tredicenni amici per la pelle. Passano l’estate precedente l’inizio della scuola superiore giocando e scorrazzando tra i prati fioriti della campagna belga. Condividono ogni cosa, dai giochi alla camera, in una simbiosi assoluta, con l’innocenza tipica dell’età preadolescenziale, senza nessuna malizia.
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“Ti ricordi, Michel del banco nero in terza fila, che ascoltò tutte le risate
Di due bambini che vivevano in un sogno che non si ripeterà (…)
Ti ricordi, Michel, di come era esclusiva la tenerezza che ci univa
E accompagnò la nostra infanzia fino ai giorni della nuova realtà…” Michel di Claudio Lolli
Léo e Rémi. Due tredicenni amici per la pelle. Passano l’estate precedente l’inizio della scuola superiore giocando e scorrazzando tra i prati fioriti della campagna belga. Condividono ogni cosa, dai giochi alla camera, in una simbiosi assoluta, con l’innocenza tipica dell’età preadolescenziale, senza nessuna malizia. Il mondo esterno è come se non ci fosse.
Ma tutto sta per cambiare. Non solo per il passaggio alla scuola secondaria, con nuovi compagni e nuovi professori, Léo e Rémi stanno diventando ragazzi, stanno vivendo il delicatissimo passaggio dall’infanzia all’adolescenza, quella fase acerba e incerta in cui si definisce l’identità, non solo sessuale - come spiega lo psicanalista Umberto Garimberti - “in un divariodrammatico tra il non sapere chi si è e la paura di non riuscire a essere ciò che si sogna”.
Bastano delle domande innocue di alcune compagne sulla loro “vicinanza” per far implodere la serenità di Léo e aprire una crepa nella loro amicizia, fino a quel momento inviolabile.
Temendo di non essere accettato dal resto della classe, Léo si allontana progressivamente da Rémi, fino ad evitarne persino lo sguardo. Alla passione dell’amico per l’oboe e la musica classica contrappone la scelta “virile” dell’hockey su ghiaccio. In pista cerca lo scontro duro per dissipare qualsiasi dubbio sulla sua mascolinità.
L’amicizia estiva, intima e assoluta, nel momento in cui deve aprirsi agli altri e relazionarsi con le regole sociali va in frantumi. Ma se Léo è forte e in grado di reagire, pur rabbiosamente e in modo scomposto, Rémi è disarmato, si chiude in sé stesso. Incombe ineluttabile la tragedia.
Dopo l’acclamato e toccante Girl, storia di una quindicenne e della sua straziante transizione sessuale, il trentunenne (!) Lukas Dhont conferma tutto il suo formidabile talento con Close, un autentico gioiello.
Girato con la macchina da presa all’altezza di Léo e Rémi, fa vivere allo spettatore il loro mondo interiore e ne rivela sentimenti e stati d’animo con una grazia che arriva al cuore.
Racconta la storia trasmettendo le loro emozioni, prima con gli sguardi complici, poi con la freddezza di quei silenzi laceranti che valgono più di mille parole. L’uso sapiente di primi e primissimi piani sui volti innocenti e delicati dei due ragazzi mette a nudo l’inutile morbosità di chi guarda: non c’è niente di pruriginoso, non serve aggiungere nulla, la presunta omosessualità resta sullo sfondo.
Anche nel mostrare l’elaborazione della tragedia Dhont dimostra di avere una sensibilità e una maturità fuori dal comune. Non eccede mai nella retorica, rivela l’intima angoscia di Léo nell’elaborare il senso di colpa senza scadere mai nel pietismo.
La credibilità del percorso psicologico dei due ragazzi, ma anche di quello dei genitori, è sottolineata dalle superbe interpretazioni di Eden Dambrine e Gustav De Waele. Il giovane regista belga ha una straordinaria capacità di far recitare i ragazzi in modo magnetico e spontaneo. Per avere un paragone occorre scomodare il Truffaut de I 400 colpi o i film dei fratelli Dardenne (a proposito, la mamma di Rémi è interpretata da Émilie Dequenne, protagonista del loro Rosetta).
Dhont si sofferma spesso su dettagli rivelatori, con inquadrature ricercate e un azzeccato uso di simbolismi. Particolari spesso illuminanti, come nella scena in cui Léo istintivamente si rifiuta di scendere dal pullman, o la vista da lontano della porta del bagno sfasciata.
L’unicità di Close è che racconta il dolore senza che ci sia il male, o quantomeno la malvagità. Non ci sono personaggi negativi, sui genitori o gli insegnanti non c’è nulla da ridire, le stesse compagne di classe non compiono veri e propri atti di bullismo, fanno solo domande che a quell’età sono normali.
Eppure, la vita può far molto male lo stesso. È probabilmente per questo che Close è uno di quei film che ti accompagnano per giorni, ti resta appiccicato addosso, delicato e al tempo stesso potente come il liberatorio abbraccio finale.
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gabriella
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sabato 25 febbraio 2023
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l''innocenza perduta
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I fiori colorati che ondeggiano al vento nella campagna fiamminga e le corse di due ragazzini, Leo e Remy, amici inseparabili, praticamenti fratelli è lo sfondo luminoso di un'età che sta sbocciando. Poi le piogge, i fiori calpestati nel fango, lo scenario cambia, tutto diventa buio e il dolore entra con forza inaspettata a rovesciare il destino dei protagonisti, si nasconde dietro la gabbia di una maschera da hokey, si infiltra negli sguardi vuoti, nelle parole non dette,nel rifugiarsi in un letto per non rimanere soli con le domande , con il rimorso e il rimpianto. Lukas Dhont affronta il fragilissimo tema dell’adolescenza, delle sue ombre, dalla paura di non essere accettati a quella della ricerca della propria identità, con uno stile asciutto ma permeato da una tenerezza infinita e una sensibilità non comune, la telecamera inquadra “up close” i volti, le espressioni, le emozioni , lo sgomento, lo smarrimento con una sintesi visiva impressionante.
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I fiori colorati che ondeggiano al vento nella campagna fiamminga e le corse di due ragazzini, Leo e Remy, amici inseparabili, praticamenti fratelli è lo sfondo luminoso di un'età che sta sbocciando. Poi le piogge, i fiori calpestati nel fango, lo scenario cambia, tutto diventa buio e il dolore entra con forza inaspettata a rovesciare il destino dei protagonisti, si nasconde dietro la gabbia di una maschera da hokey, si infiltra negli sguardi vuoti, nelle parole non dette,nel rifugiarsi in un letto per non rimanere soli con le domande , con il rimorso e il rimpianto. Lukas Dhont affronta il fragilissimo tema dell’adolescenza, delle sue ombre, dalla paura di non essere accettati a quella della ricerca della propria identità, con uno stile asciutto ma permeato da una tenerezza infinita e una sensibilità non comune, la telecamera inquadra “up close” i volti, le espressioni, le emozioni , lo sgomento, lo smarrimento con una sintesi visiva impressionante. Con uno sguardo esterno si addentra negli interstizi dell’anima di due adolescenti, in un’amicizia innocente contaminata da insinuazioni e sospetti, magari detti più per scherno che per altro ma che assumono proporzioni inusitate, il timore di uscire dagli schemi prestabiliti , incrina un rapporto de iberna i sentimenti fino al rinnegamento di sé stessi e all’esclusione. Crescere è anche imparare ad accettarsi, , ma l’impatto brutale con la realtà , spezza i sogni e la spensieratezza dell’età, perché crescere significa abbandonare l’illusione che tutto rimanga immutato. Bravissimi i due giovanissimi protagonisti , una recitazione commovente, totalizzante, si esce dalla sala con il cuore in frantumi.
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eugenio
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lunedì 13 marzo 2023
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l''ombra della maturità
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Strizza l’occhio ai 400 colpi di Truffault e quella nouvelle vague di adolescenti liberi, in formazione, col mondo altrettanto sincopato degli adulti, Close del belga Lukas Dhont, trentenne cineasta già non foriero a tematiche simili con Girl, racconto di una quindicenne in transizione nata uomo alle prese con il durissimo allenamento marziale per diventare una ballerina étoile.
Closesi muove su binari simili, una vicenda di un’amicizia di due tredicenni, Léo e Rémi, talmente uniti da fare ogni cosa insieme, da trascorrere giornate a correre a perdifiato nella natura, riscoprendo quella provincia belga verdissima, di fieno, campagna e semplicemente natura, lontani da quegli usi digitali di tanta gioventù odierna.
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Strizza l’occhio ai 400 colpi di Truffault e quella nouvelle vague di adolescenti liberi, in formazione, col mondo altrettanto sincopato degli adulti, Close del belga Lukas Dhont, trentenne cineasta già non foriero a tematiche simili con Girl, racconto di una quindicenne in transizione nata uomo alle prese con il durissimo allenamento marziale per diventare una ballerina étoile.
Closesi muove su binari simili, una vicenda di un’amicizia di due tredicenni, Léo e Rémi, talmente uniti da fare ogni cosa insieme, da trascorrere giornate a correre a perdifiato nella natura, riscoprendo quella provincia belga verdissima, di fieno, campagna e semplicemente natura, lontani da quegli usi digitali di tanta gioventù odierna. Sono spontanei i due amici, complice anche l’affetto delle rispettive famiglie, si confidano ogni cosa, sono come fratelli, talmente sodali da non litigare mai.
Arrivano le superiori, la nuova classe. E così che il loro rapporto, quasi simbiotico, suscita qualche perplessità agli occhi dei loro compagni che li reputano sin “troppo” uniti, sottolineando una maldicenza di fondo che i due amici fraterni quasi non comprendono giudicandola naturale. Così per adattarsi e cercare di confutare tali voci, il loro rapporto muta e i primi scricchiolii della simbiosi si celano prima come rumori di fondo, poi sempre più come acuti che non è più possibile far finta di udire. Léo si avvicina all’hockey su ghiaccio, sport di contatto che gli permette di confrontarsi con il dolore e misurare il proprio corpo con quello dei suoi coetanei, mentre Rèmi prosegue la sua natura riflessiva esercitandosi col flauto. Ma quel malessere di fondo, quel germe oramai è attecchito e l’evento che spezzerà per sempre quella felicità inatteso e disturbante, alle porte.
Lukas Dhont, delinea con tenerezza una semplice storia di amicizia, casta e pura come i fiori che coltiva la famiglia di Léo e lentamente, dal confronto/scontro con l’inatteso vira da un film precipuamente alla Dardenne, incentrato quindi sulla macchina ad altezza adolescenziale in una nuova pellicola, forse la parte migliore dell’intero sviluppo ovvero l’avvicinamento di Léo alla madre di Rémi, Sophie (Émilie Dequenne), tra l’altro non foriera alle pellicole dei Dardenne avendo vinto l’oscar in Rosetta nel lontano 1995.
Léo come il regista vuole capire il significato di quel gesto estremo con rigore asciutto, senza retorica ma descrivendo con equilibrio quanto ciò comporti nella cesura di due famiglie.
Poche le parole, bastano i gesti e l’interpretazione dolorosa dei due esordienti interpreti. Preparatevi i fazzoletti.
Vincitore del premio della giuria allo scorso Festival di Cannes.
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