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daniele ciavatti
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venerdì 31 ottobre 2025
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il mio profilo migliore di safy nebbou: psicoanalisi del dolore e regressione nell?eta' adulta
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Il film Il mio profilo migliore (Celle que vous croyez, 2019) di Safy Nebbou offre una rappresentazione di grande finezza e complessita' della psicoanalisi del dolore. La prima parte dell?opera mette in scena una donna cinquantenne, interpretata da una sensuale e inquieta Juliette Binoche, che si comporta come un?adolescente. La protagonista dimentica le responsabilita' proprie dell?eta' adulta ? in particolare quelle verso i figli ? e si abbandona a un mondo sentimentale immaturo, fatto di amori idealizzati e di infatuazioni giovanili. Questa regressione e' resa con precisione quasi perturbante dall?interpretazione della Binoche: il suo personaggio appare urticante, perche' poche cose risultano piu' disturbanti di un?adulta che assume le movenze e le pose di una ragazza.
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Il film Il mio profilo migliore (Celle que vous croyez, 2019) di Safy Nebbou offre una rappresentazione di grande finezza e complessita' della psicoanalisi del dolore. La prima parte dell?opera mette in scena una donna cinquantenne, interpretata da una sensuale e inquieta Juliette Binoche, che si comporta come un?adolescente. La protagonista dimentica le responsabilita' proprie dell?eta' adulta ? in particolare quelle verso i figli ? e si abbandona a un mondo sentimentale immaturo, fatto di amori idealizzati e di infatuazioni giovanili. Questa regressione e' resa con precisione quasi perturbante dall?interpretazione della Binoche: il suo personaggio appare urticante, perche' poche cose risultano piu' disturbanti di un?adulta che assume le movenze e le pose di una ragazza. La protagonista non solo si finge ventiquattrenne per sedurre un amante virtuale, ma ne imita anche il linguaggio, le esitazioni e i gesti, riproducendo un modello adolescenziale che appare insieme ingenuo, ridicolo e tragicamente grottesco. Altri film affrontano il tema. In The Lobster di Yorgos Lanthimos, i personaggi sono costretti a trovare un partner per evitare la trasformazione in animali ? una metafora della disumanizzazione causata dalla solitudine. Ma mentre nel film di Lanthimos la regressione e' imposta da una societa' distopica che punisce la solitudine e si identifica con il ritorno ad uno stato animale, in Il mio profilo migliore e' una scelta interiore, una strategia inconscia per negare il dolore. Entrambi i film, pero', mostrano come la menzogna ? che sia la finzione di un amore forzato o l?invenzione di un?identita' virtuale ? porti inevitabilmente all?autodistruzione. La chiave di lettura psicologica emerge solo in seguito. La donna e' stata abbandonata dal marito per una ragazza piu' giovane ? precisamente per la nipote, proprio di ventiquattro anni. Tale elemento biografico chiarisce la natura della sua regressione: un tentativo di negare il dolore dell?abbandono assumendo l?identita' della rivale, quasi a riappropriarsi simbolicamente dell?amore perduto. Non e' un caso che il nome scelto per il profilo virtuale e la fotografia utilizzata coincidano con quelli della nipote. Il gesto rappresenta una vera e propria fuga dall?angoscia, una strategia inconscia di difesa dal trauma. Come osservava Sigmund Freud, la regressione costituisce una delle forme fondamentali del meccanismo difensivo dell?Io: il soggetto, travolto da un dolore intollerabile, tende a rifugiarsi in uno stadio psichico precedente, in cui il conflitto non esisteva ancora. In questa prospettiva, la protagonista di Nebbou sembra riattivare un tempo psichico sospeso, rifugiandosi nella giovinezza come spazio protetto dall?angoscia della perdita. Attraverso la costruzione di una vita parallela, la protagonista tenta di sospendere la realta' e di rifugiarsi in un?et? idealizzata come pi? felice. Tuttavia, quando la menzogna porta alla tragedia ? il suicidio dell?amante virtuale ? la donna, incapace di affrontare il senso di colpa, si rifugia in un?ulteriore elaborazione immaginaria. Scrive infatti un?altra storia possibile, in cui non si finge pi? giovane ma si rivela per ci? che e'. Anche in questa narrazione, per?, la vicenda si conclude in maniera negativa con la sua morte, investita da un?auto mentre tenta di sfuggire all?amante virtuale che l?ha smascherata. La morte rappresenta, in tal senso, l?esito inevitabile di un senso di colpa latente. Un elemento non secondario e' la professione della protagonista: docente universitaria. Tale condizione sottolinea la frattura tra il livello culturale e la fragilit? emotiva. La conoscenza non basta a salvarla dal potere distruttivo dell?inconscio, che impone le proprie logiche indipendentemente dalla razionalit?. Non solo, aggiunge un livello di ironia tragica al personaggio. La razionalit? intellettuale che insegna e' proprio ci? che non riesce ad applicare a s? stessa. L?adolescenza stessa, del resto, non e' una fase naturale ma una costruzione sociale: un prodotto della modernit? industriale. Nelle societa' contadine, si passava direttamente dall?infanzia all?eta' adulta, senza quello spazio intermedio di sospensione e crisi che oggi definiamo adolescenza. Si tratta dunque di una categoria culturale, non fisiologica ? e il suo riemergere nell?eta' matura appare, da un punto di vista psicoanalitico, come un sintomo di regressione difensiva, un ritorno verso un tempo idealizzato e ormai irrecuperabile. In questa prospettiva, Il mio profilo migliore pu? essere letto come una metafora della fuga dal dolore attraverso la regressione, e come una riflessione sulla fragilit? identitaria dell?individuo contemporaneo. L?illusione adolescenziale, coltivata per negare la perdita e l?abbandono, si dissolve inevitabilmente di fronte alla realt?, lasciando emergere la verit? ultima del dolore: quella di un s? incapace di integrarsi, diviso tra ci? che ? e ci? che vorrebbe essere, fino all?autodistruzione.
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luca scialo
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giovedì 6 aprile 2023
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storia intrigante ma appesantita
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Uno dei tanti film che ci mostra i pericoli e le illusioni del mondo virtuale. La trama sarebbe anche intrigante ma viene appesantita dallo charme francese che qui c'entra poco. Peccato
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sabato 12 settembre 2020
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abbiamo visto film diversi?
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Condivido le sue riflessioni circa la prima metà del film. Sono in totale disaccordo con il suo giudizio circa la seconda parte. Ho trovato molto profonda l’analisi psicologica della protagonista declinata nel manoscritto in cui dicoticamemte, vittima di una dissociazione prossima alla schizofrenia, vive un ulteriore parallelismo comunque sempre scritto e non di persona. La tristezza del voler essere ciò che non è più possibile, cioè la consapevolezza che “tempus fugit” e che ciò è inevitabile nonchè, come ci dice la terapeuta “non è altro che il modo di allontanarci dalla morte”, ne fanno un dramma di inconsueta intensità.
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astromelia
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domenica 16 agosto 2020
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analisi devastante
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è un'analisi devastante la sceneggiatura di questo film,così reale da essere giustificata,figlia dei nostri tempi e pregna di consapevolezza,nonchè una denuncia contro l'ipocrisia maligna di amici e conoscenti,sui sensi di colpa intrinseci e sulle mancate comprensioni,un film sui tempi moderni ma di antica concezione,molto bello....
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cateri
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martedì 29 ottobre 2019
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quante storie come questa?
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Una donna bella ma trascurata, professionista ma sola.
Quante altre storie come queste si nascondono dietro i volti che ogni giorno incrociamo per strada? Quanti momenti dolenti, traumi subìti, richieste di aiuto soffocate, si nascondono dietro profili pubblici e privati, quanto abbiamo bisogno di fingere per tirare a campare? Come ci aiutiamo quando siamo soli?
Il film non è divertente, non è "dinamico" certo, è doloroso, alcune scene sono quasi imbarazzanti, ma è bello e profondissimo. I colpi di scena sono quelli che possono capitare a ognuno di noi, le rabbie sopite ci possono condurre ad azioni di trascurabile scorrettezza, pericolosa come la menzogna.
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Una donna bella ma trascurata, professionista ma sola.
Quante altre storie come queste si nascondono dietro i volti che ogni giorno incrociamo per strada? Quanti momenti dolenti, traumi subìti, richieste di aiuto soffocate, si nascondono dietro profili pubblici e privati, quanto abbiamo bisogno di fingere per tirare a campare? Come ci aiutiamo quando siamo soli?
Il film non è divertente, non è "dinamico" certo, è doloroso, alcune scene sono quasi imbarazzanti, ma è bello e profondissimo. I colpi di scena sono quelli che possono capitare a ognuno di noi, le rabbie sopite ci possono condurre ad azioni di trascurabile scorrettezza, pericolosa come la menzogna.
Questo è il dipanarsi di un momento cruciale nella vita di una persona ferita, e la straordinaria capacità espressiva di Juliette Binoche rende tangibile ogni pensiero ogni emozione che attraversano l'emotività del personaggio.
Probabilmente ogni personaggio della storia proseguirà la sua vita , avrà altri momenti belli e altri brutti, forse qualcuno pagherà prima o poi.
Intanto abbiamo avuto un bel film non divertente ma intenso.
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domenica 27 ottobre 2019
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perfettamente d’accordô...
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Anch’io avrei chiuso il film senza dispersioni, magari sviluppando il rapporto con la psicoterapeuta che ho trovato splendido. Anche se la paziente dimostra tutte le sue fragilità, che non trovo così irreali, tanto da creare e ricreare lei stessa la propria dipendenza in un gioco che si fa sempre più pericoloso, mai viene meno la corretta conduzione della terapia. Un altro aspetto che il film ha messo in evidenza, la facilità con cui si possono travalicare i limiti della protezione e privatezza dei dati personali, di cui nessuno deve disporre in modo superficiale senza il rispetto di principi di etica relazionale.
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nadia meden
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sabato 26 ottobre 2019
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social e psichiatria, connubio perfetto.
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HO potuto assistere ad un film molto , molto bello e soprattutto molto, molto attuale. Una bravissima attrice, Juliette Binoche interpreta la parte di una signora, Claire Millaud, 50enne, istruita, insegnante universitaria, di bella presenza, che dopo la separazione dal marito vuole rifarsi una vita e cade nelle maglie dei social : FB, INSTA etc.... Da questo momento la sua vita cambia e , trasportata dai social , inizia a vivere una vita parallela che la poterà a farsi del male e a far del male ad altre persone e in particolare a uomini molto più giovani di lei con i quali intrallazza storie a sfondo sentimental- sessuale. Ruba l' identità a sua nipote, si trasforma in una ragazza di 24/ 25 annied inizia a vivere così quella vita che la porterà piano piano alla psichiatria.
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HO potuto assistere ad un film molto , molto bello e soprattutto molto, molto attuale. Una bravissima attrice, Juliette Binoche interpreta la parte di una signora, Claire Millaud, 50enne, istruita, insegnante universitaria, di bella presenza, che dopo la separazione dal marito vuole rifarsi una vita e cade nelle maglie dei social : FB, INSTA etc.... Da questo momento la sua vita cambia e , trasportata dai social , inizia a vivere una vita parallela che la poterà a farsi del male e a far del male ad altre persone e in particolare a uomini molto più giovani di lei con i quali intrallazza storie a sfondo sentimental- sessuale. Ruba l' identità a sua nipote, si trasforma in una ragazza di 24/ 25 annied inizia a vivere così quella vita che la porterà piano piano alla psichiatria. Credo che si possa definire questo film anche come un thriller psicologico per tutti i risvolti che questa storia avrà specialmente nella seconda parte e nel finale. Una sapiente regia ha saputo cedere completamente lo schermo a dei primi piani della sig. Binoche nei quali lo spettatore ha potuto leggere e percepire ogni espressione, ogni sfumatura ogni emozione, ogni piccolo cambiamento espressivo , che ha potuto portarci continuamente nel vissuto emotivo della protagonista. Ci si chiede : chi è il carnefice e chi è la vittima in queste situazioni? Non crredo che siano i social a poterci dare questa risposta . Un gran bel film, da vedere. Grazie.
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foffola40
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lunedì 21 ottobre 2019
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un'altra persona
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Che fine fa Claire o Clara come si fa chiamare dal suo partner on line? Cinquantanni e qualosa di più, un marito andato via con sua nipote, ventisettenne, da lei accolta perchè rimasta orfana,Claire cambia identità, si trova su fb sedotta da una relazione a distanza che diviene mano a amno più coinvolgente fino a fare l'amore su indicazione telefonica del suo amante ancora mai incontrato. Il finale è volutamente ingarbugliat: non si capisce se una volta partito il giovane amante con altro donna ,Claire, molto provata, ricominci con altro incontro su fb o si occupi dei due figli molto trascurati? (foffola40)
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(di cateri)
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fabrizio cola
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giovedì 17 ottobre 2019
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claire e il suo doppio
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Claire Millaud [Juliette Binoche] – cinquantenne professoressa universitaria di letteratura, quindi a conoscenza di quell’universo di contenuti di cui si nutrono le storie letterarie — viene piantata dal marito, e si ritrova con due figli reali, un computer e alcuni cellulari. Ed un tran-tran di vita insignificante.
Se la fa con un ragazzotto, Ludo, interessato per l’appunto al proprio piacere sessuale, individuale. Claire ci sta, perché desidera. Perché quella bambina che è sempre viva in lei desidera toccare, desidera essere toccata. Desidera un contatto fisico che preluderebbe ad un contatto più completo, maturo. Al “prendersi cura dell’altro”.
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Claire Millaud [Juliette Binoche] – cinquantenne professoressa universitaria di letteratura, quindi a conoscenza di quell’universo di contenuti di cui si nutrono le storie letterarie — viene piantata dal marito, e si ritrova con due figli reali, un computer e alcuni cellulari. Ed un tran-tran di vita insignificante.
Se la fa con un ragazzotto, Ludo, interessato per l’appunto al proprio piacere sessuale, individuale. Claire ci sta, perché desidera. Perché quella bambina che è sempre viva in lei desidera toccare, desidera essere toccata. Desidera un contatto fisico che preluderebbe ad un contatto più completo, maturo. Al “prendersi cura dell’altro”. Non vuole essere abbandonata, come invece le è successo col marito, ma anche — di lì a breve — con il suo doppio, Ludo. Il quale sparisce e non si fa più trovare.
Allora lei per riacciuffarlo, crea una identità fittizia su FB. E qui scatena la sua hybris folle e tragica. Il suo doppio virtuale, l’avatar denominato Clara, aggancia però disgraziatamente il doppio sbagliato di Ludo. Vale a dire Alex, il suo collega. L’avatar Clara ha 24 anni, quasi 25. Claire, che ne diventa doppione, ne ha il doppio: una cinquantina. Fra i due — Clara ed Alex — si intesse la trama della seduzione a distanza, dico e non dico, ci incontriamo certo ma oggi non posso. Ti parlo, ma non mi vedi. Mi manifesto con foto e filmati, ma non sono io. Perché?
Perché nelle Finzioni con i doppi, piano narrativo e piano reale non si devono mai incontrare. Le immagini ed i volti devono rimanere come riflessi sugli specchi, la realtà deve viaggiare per conto proprio. Questa è la mimesi artistica. Ed anche il diktat della nostra civiltà, a partire dai Greci in poi.
Invece questo diamine di FB, inventato da civiltà aliene come tanti altri social network, andrebbe utilizzato unicamente da umani quadrupedi e pecorecci, che reclamano ciò che mai dovrebbe essere reclamato quando subentra invece il mito del doppio che è tabù: il contatto reale.
Nei nostri codici arcaici, negli archetipi che governano il mondo occidentale, quando i doppi si incontrano uno dei due deve necessariamente morire. Non c’è scampo. Non importa se siano reali o virtuali, in carne ed ossa o fittizi.
Prova ne sia che all’ennesimo abbandono per morte (reale o presunta, non importa!) anche di Alex, Clair non racconta più alla sua psicologa Caterine Bormans [Nicole Garcia] i fatti, ma li scrive. Entra cioè nel campo letterario anche lei. E — nel film — racconta il romanzo della sua finzione con Alex, nel quale immagina di realizzare quel contatto — e quell’amore carnale — mai avvenuto nella realtà. Immagina anche di rivelare ad Alex del suo avatar Clara, di cui il ragazzo si era follemente innamorato r di cui si era scordato in grazia della relazione fisica con il suo originale. Clair provoca e lascia che Alex scopra chi ci fosse dietro la fittizia identità di Clara. Ma quale dei due profili è Claire? Claire è una, divisa in due personaggi, in due “profili”. Uno dei due quindi deve necessariamente morire.
Il codice così rientra a malincuore e a fatica nei suoi binari.
Perché quando un essere civilizzato e stratificato, addirittura una professoressa di letteratura comparata, entra dentro un social, avviene il corto circuito, tutti i controlli vanno ai pazzi, lei stessa va a i pazzi, gli “utenti” vanno ai pazzi. Questo deve aver rapito l’immaginazione dell’ottimo Safy Nebbou, che ne firma una emozionata, caleidoscopica e ammirevole regia.
Accendiamo quindi il computer, ci connettiamo a FB, inseriamo la password e diventiamo istantaneamente tanti Re Lear. Ma ci dimentichiamo il monto del “matto” che, osservando il suo Re dare credito alle parole mendaci delle prime due figlie, e non riconoscendo la verità in quella reali e crude della terza, la minore — dice guidato da Shakespeare: “Non avresti dovuto diventare vecchio prima di diventare saggio”.
Che è anche il cuore della nostra tragedia attuale.
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