Just Charlie - Diventa chi sei

Intrappolat(a) in un corpo maschile

Se sul grande schermo sono ormai approdate tante storie gay e lesbiche, solo da qualche tempo il cinema ha cominciato a confrontarsi con il tema della disforia di genere, ovvero della sofferenza causata dal sentire la propria identità in contrasto col corpo in cui si è imprigionati. Lo si è visto in Tomboy di Céline Sciamma, in Lawrence Anyways di Xavier Dolan, in The Danish Girl di Tom Hooper, in Girl di Lukas Dhont e anche nella miniserie televisiva britannica Butterfly. Just Charlie. Diventa chi sei, opera prima dell'attrice e regista di cortometraggi Rebekah Fortune realizzata nel 2017 e in uscita dopodomani, si inserisce in questo filone. Ma, mentre gli altri lavori (Tomboy a parte) avevano come protagonisti adulti o almeno adolescenti, qui l'età si abbassa alla preadolescenza, il momento in cui inizia a formarsi la coscienza di sé: Charlie ha solo 14 anni e la consapevolezza, per quanto confusa e tormentata, di essere una ragazza. Pur senza particolari impennate nella sceneggiatura, la pellicola ha una sua grazia e delicatezza nel raccontare con tono dolce- amaro la storia di un bel ragazzino inglese di fronte a un dramma esistenziale che sconvolge lui stesso, ma anche la sua famiglia. Molto del merito va al protagonista Harry Gilby, interprete della versione teatrale di Billy Eliot, così giovane è già così abile nel rendere credibili il disagio dell'essere costretto a vestirsi e a comportarsi da maschio, il terrore di essere scoperto e di deludere i genitori, ma anche il coraggio di intraprendere la strada più difficile per diventare... semplicemente Charlie. La vicenda è ambientata a Tamworth, cittadina di commercianti delle Midlands dove il calcio è un argomento di interesse generale e di coesione sociale. E Charlie è una promessa del football, tanto da essere notato da un dirigente del Manchester City, che gli offre un ingaggio per cui ogni ragazzo andrebbe in visibilio. Lui, però, tergiversa, facendo infuriare il padre Paul ( Scot Williams), che proietta sul figlio il sogno di diventare un campione, coltivato in gioventù e andato in fumo per un incidente al ginocchio. La crisi di identità e la pressione che subisce dall'interno e dall' esterno portano il giovanissimo a dubitare di tutto, anche del proprio talento sportivo. Solo quando, nascondendosi nel bosco, indossa gli abiti che la sorella Eve gli chiede di buttare nella spazzatura, prova un po' di sollievo. Dopo la scoperta e lo sconcerto, fondamentale è il ruolo della mamma (Patricia Potter) e della sorella, che accettano la realtà è lo/la supportano nel percorso a ostacoli per far emergere la sua vera natura. Toccante è la scena in cui il ragazzo cerca di spiegare davanti allo psicologo e alla madre quanto il fatto di sentirsi " lei" lo renda del tutto invisibile al mondo. Ma è determinante anche l'allenatore Mick, che lo vede abbigliato da femmina e intuisce la sua angoscia: "Ci sono cose più importanti del calcio, problemi che una persona deve risolvere", gli dice quando comincia a disertare gli allenamenti. Il film fa trasparire l'inquietudine interiore di Charlie, ma dà spazio anche alle reazioni di chi lo circonda: viene respinto dal padre, che alla fine però si ricrede, dalla nonna, dal suo migliore amico, da alcune compagne della squadra femminile in cui inizia a giocare, nonché bullizzato da due teppistelli che lo massacrano di botte quando scoprono che è un transgender. Il messaggio finale è comunque positivo, e lo dimostra il sorriso raggiante della Charlie ormai truccata e coi capelli lunghi, damigella al matrimonio di Eve.
Da La Repubblica, 21 gennaio 2020


di Paola Zonca, 21 gennaio 2020