roncola
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martedì 1 aprile 2014
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lo specchio di moliere il riflesso di truffaut
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Dietro la volontà di interpretare "Il Misantropo" di Moliere al teatro, Gauthier, celebre attore in voga, cerca aiuto in Serge, vecchio talento del cinema che dopo varie vicende si è autoescluso dal jet set, addebitando all'ambiente dello spettacolo tutte le malsane abitudini e gli ipocriti comportamenti che lo hanno portato al ritiro. Dopo un iniziale rifiuto, in Serge risorge la vocazione di tutta una vita fino a quel momento messa in disparte, soprattutto rivolta all'interpretazione del protagonista dell'opera, Alceste, la stessa che vorrebe fare Gauthier. Così, trovando un accordo di un alternanza nello scambio dei ruoli, inizia la loro collaborazione, provando e riprovando il dialogo dell'opera.
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Dietro la volontà di interpretare "Il Misantropo" di Moliere al teatro, Gauthier, celebre attore in voga, cerca aiuto in Serge, vecchio talento del cinema che dopo varie vicende si è autoescluso dal jet set, addebitando all'ambiente dello spettacolo tutte le malsane abitudini e gli ipocriti comportamenti che lo hanno portato al ritiro. Dopo un iniziale rifiuto, in Serge risorge la vocazione di tutta una vita fino a quel momento messa in disparte, soprattutto rivolta all'interpretazione del protagonista dell'opera, Alceste, la stessa che vorrebe fare Gauthier. Così, trovando un accordo di un alternanza nello scambio dei ruoli, inizia la loro collaborazione, provando e riprovando il dialogo dell'opera. In quest'opera di Moliere in realtà si manifesta "l'umana natura dell'uomo" in cui i protagonisti, per un verso o per un altro, si specchiano nella realtà, ognuno con le sue caratteristiche di pregi ma più che altro di difetti: invidie, gelosie, orgoglio, vana gloria ecc. Nel bel mezzo di tutto ciò fa caploino, quasi per caso, Francesca, una donna provata dalla vita ma che entra in sintonia con i due attori, tanto da frequentarli quotidianamente, fino ad un velato "menage a troi", fatto di sorrisi e codivisioni, come una corsa in biciletta e una serata a cena. A differenza di "Jules et Jim", qui il rapporto tra i tre non è consolidato, viene rotto con il "tradimento", ed è così che si ritorna a Moliere, al dramma dell'umana natura, con la definitiva separazione dei due attori, ognuno scoffitto da se stesso. 104 minuti di sano cinema.
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ernesto94
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domenica 27 aprile 2014
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lo scandalo dell'umana gente di teatro
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Un attore in vesti seicentesche gira in bici tra le strade dell'Isola di Re per dire quanto sia "scandalosa" l'umanità.
Gauthier Valance (Lambert Wilson), dopo il rinnovo di contratto per la parte del medico protagonista di una fortunata serie televisiva milionaria, decide di far visita, molto anni dopo, nell'invernale “Isola di Rè” all'amico e decano del teatro Serge Tanneur (Fabrice Luchini) non solo per un cordiale saluto a riscaldarlo dal freddo dell'isolamento personale di questi dalla fama ormai dispersa del palcoscenico; ha in mente un progetto interessante, per riavvicinare sia lui sia l'amico al teatro classico: la rappresentazione integrale del Misantropo di Molière, concentrandosi sul personaggio principale, Alceste (da qui il titolo originale “Alceste à bicyclette”), alternativamente recitato.
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Un attore in vesti seicentesche gira in bici tra le strade dell'Isola di Re per dire quanto sia "scandalosa" l'umanità.
Gauthier Valance (Lambert Wilson), dopo il rinnovo di contratto per la parte del medico protagonista di una fortunata serie televisiva milionaria, decide di far visita, molto anni dopo, nell'invernale “Isola di Rè” all'amico e decano del teatro Serge Tanneur (Fabrice Luchini) non solo per un cordiale saluto a riscaldarlo dal freddo dell'isolamento personale di questi dalla fama ormai dispersa del palcoscenico; ha in mente un progetto interessante, per riavvicinare sia lui sia l'amico al teatro classico: la rappresentazione integrale del Misantropo di Molière, concentrandosi sul personaggio principale, Alceste (da qui il titolo originale “Alceste à bicyclette”), alternativamente recitato.
In queste prove rigide, come la cadenza del verso alessandrino e dell'assenza di squilli telefonici, si aprono riflessioni sulla qualità dell'intrattenimento cinematografico e televisivo, sul sequitur del teatro stesso da parte delle nuove generazioni (emblematica la figlia della proprietaria dell'albergo della località, attrice pornografica solo per soldi ma con evidenti abilità recitative), e sull'amicizia, in continuo assetto da ipocrisie e incomprensioni (il disprezzo di Serge per i telefilm ad alto guadagno; la vita mondana della città e il lassismo verso la tradizione).
Dopo “Le donne del 6° piano”, Philippe le Guay torna alla regia grazie ad un''idea nata dall'ossessione del co-sceneggiatore ed attore Fabrice Luchini per l'autore del Misantropo. Semplice nelle battute caustiche e umoristiche, in poche occasioni cade nella volgarità, sempre contenuta come è d'uopo per un film francese; è un tour de force tra due attori chi prettamente teatrale e chi cinematografico/televisivo, tra due approcci anche al quotidiano, chi schietto e spontaneo, chi conforme alla situazione.
L'introverso e razionale Serge, chiuso nel suo villino decadente, eredità di uno zio, e in pochi anni rassegnato all'allora temporaneo soggiorno, spendendo l'ozio dell'artista tra quadri naif e falò di copioni, ricordi morti di un teatro caduto. Il mondano e tranquillo Gauthier, con schiere di fan di tutte le età (anche le più attempate), modesto e coadiuvante nell'evitare all'amico di estraniarsi ancora di più da un mondo da cui si sente rifiutato per paranoia (lui crede!), a differenza dell'amico col conto in banca attivo come la relazione con una divorziata, dopo diversi tentativi falliti.
Questi sono i due all'inizio, prima che le prove, per Serge necessariamente severe nella pronuncia e nella cadenza del sacro verso alessandrino (in italiano traducibile con un doppio settenario o, impropriamente, con un endecasillabo) li facciano sfogare sulle rispettive ipocrisie, chi della facile ricchezza per telefilm d'intrattenimento (critica al celebre Dr. House?), chi per la misantropia e per il cinismo verso il mondo; tensione smorzata da momenti di ludo nei campi gelati a passeggio in bicicletta, e le rispettive cadute nei rivi d'acqua per dei freni malandati.
E se c'è di mezzo un'italiana, una Maya Sansa che è un' Elena di Troia per il duo, allora non resta che portare ad estreme conseguenze il dramma, che vede cadere l'ipocrisia di Gauthier, ingenuo a cambiare la parola "scandalosa", quasi come se Alceste fosse solo un abito da scena e non l'uomo che entrambi si sono cambiati per aderirlo a loro stessi e per vedere sé stessi in questo distacco teatrale ( i continui attacchi di egoismo di Serge, la violenza di Gauthier quando viene provocato ed offeso da quest'ultimo).
La morale è un'allegoria sia del teatro sia dell'umanità, compresa dalle giuste parole del "puro" Serge/Alceste al tramonto del film, nella spiaggia: recitare un dramma senza che esso sia reale è segno di un teatro che si piega al desiderio di un puro sfruttamento, senza sottolineare l'importanza delle parole e del valore intrinseco.
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great steven
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giovedì 30 giugno 2016
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2 vecchi attori pensano di inscenare il misantropo
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MOLIèRE IN BICICLETTA (FR, 2013) diretto da PHILIPPE LE GUAY.
Interpretato da FABRICE LUCHINI, LAMBERT WILSON, MAYA SANSA, CAMILLE JAPY
Serge è un ex attore teatrale ritiratosi a vita privata presso una scalcinata casetta sull’île de Ré. La sua esistenza monotona viene un giorno turbata dall’arrivo di un amico di vecchia data, Gauthier, anch’egli attore ma di televisione (è divenuto celebre grazie ad una fiction dove interpreta un neurochirurgo dalle parvenze eroiche). Il progetto di Gauthier, divorziato e con una nuova storia già avviata, è quello di mettere in scena Il misantropo di Molière.
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MOLIèRE IN BICICLETTA (FR, 2013) diretto da PHILIPPE LE GUAY.
Interpretato da FABRICE LUCHINI, LAMBERT WILSON, MAYA SANSA, CAMILLE JAPY
Serge è un ex attore teatrale ritiratosi a vita privata presso una scalcinata casetta sull’île de Ré. La sua esistenza monotona viene un giorno turbata dall’arrivo di un amico di vecchia data, Gauthier, anch’egli attore ma di televisione (è divenuto celebre grazie ad una fiction dove interpreta un neurochirurgo dalle parvenze eroiche). Il progetto di Gauthier, divorziato e con una nuova storia già avviata, è quello di mettere in scena Il misantropo di Molière. Sono tre anni che Serge non mette piede su un palcoscenico, e l’idea non lo entusiasma affatto, sulle prime, ma l’insistenza di Gauthier e il ricordo delle vivide esperienze cinematografiche trascorse insieme alla fine lo persuade. Ma chi interpreterà Alceste, il burbero e antipatico protagonista della commedia, e chi Filinto, il suo compagno/rivale col quale disquisisce con mirabolante dialettica? I due uomini decidono che alterneranno i ruoli, facendo le prove in base a quanto determina la sorte. Nel frattempo fanno la conoscenza di Francesca, un’italiana in rotta col marito, inizialmente maldisposta e scorbutica ma poi sempre più affezionata ai due nuovi amici. Tutto sembra procedere per il meglio: Serge riassapora i fasti della gioventù e riscopre il piacere di recitare, Gauthier porta avanti un progetto sul quale meditava da tempo e Francesca è contentissima di sbarazzarsi della casa, messa in vendita, nella quale aveva coabitato col marito. Ma… le cose prendono una cattiva piega del tutto imprevista quando le ragioni d’amicizia iniziano a scemare e a far posto ai piccoli egoismi personali: Serge si intestardisce di recitare la parte di Alceste e non vuol sentir ragioni, i rapporti di Francesca col coniuge peggiorano e lei finisce per soddisfarsi sessualmente con Gauthier, il quale non vorrebbe tradire la nuova compagna, peggiorare il rapporto ormai rifiorito con Serge e attenuare la popolarità presso la gente del villaggio a cui il ruolo della serie TV l’ha ormai consacrato… finisce dunque che Gauthier farà la parte di Filinto nello spettacolo e Alceste sarà affidato ad un altro attore. Francesca se ne torna in Italia. Ma il tentativo di riavvicinarsi al palcoscenico non sarà stato, per Serge, un fiasco completo. Di film sul mondo della recitazione in senso stretto, il cinema internazionale, ultimamente, ne ha prodotti un buon numero: in ordine cronologico, basti citare Quartet, Birdman o Ave, Cesare!, tutti piuttosto diversi fra loro ma incentrati, in una cornice temporalmente recente, sui pregi e difetti di questo mestiere che mette a nudo l’anima utilizzando il corpo come veicolo. Alceste à bicyclette non ha da proporre metodi narrativi nuovi, ma la sua grazia, la sua leggiadria e il suo sistema di connettere l’ironia dell’amicizia con i cavilli della professione attoriale, sono straordinari. Nuovo non è nemmeno l’incipit di due uomini ormai avanti con gli anni che si rincontrano dopo parecchio tempo, e non per una semplice rimpatriata a puntino, ma per allestire insieme uno spettacolo tête-à-tête nel quale riversare decenni di esperienza notevolmente rodata. Sul palcoscenico, sul piccolo schermo o dietro una macchina da presa, che importa? Recitare, e il film lo testimonia meravigliosamente, è il mezzo espressivo che più ci mette a contatto con l’ambiente esterno e ci consente di aprire uno spiraglio dentro la nostra interiorità, mostrandoci atteggiamenti e valori che forse prima ignoravamo. Adottare un registro simile e veicolare significati del genere mediante una commedia non era impresa facile, e nemmeno priva di rischi, ma Le Guay ha portato a termine un incarico sublime permettendosi anche il lusso (che tanto lusso non è, in fondo) di spiegare una grande verità che sovente ai cineasti sfugge: la settima arte non sarebbe stata possibile senza il teatro. Funzionale a questo incontrovertibile messaggio artistico di profonda umanità è pure la scelta del commediografo europeo più analizzabile, scomponibile, eclettico e discusso: Jean-Baptiste Poquelin, in arte Molière. E in effetti c’è un pizzico di misantropia in entrambi i protagonisti: Serge ha voluto abbandonare la recitazione per diatribe coi registi e, in generale, per scopi che l’avrebbero costretto a fingere ciò che non era, e quando gli viene offerta l’occasione per riverberare un sogno ormai sepolto, non fatica ad esporre le sue remore, mentre Gauthier, già forte di una rinomanza televisiva e da tempo sulla cresta dell’onda, non desidera altro che riallacciare una relazione sopita dalla lontananza e dallo scorrere inesorabile del tempo, con l’obiettivo elementare e insieme mastodontico di recitare una commedia per il gusto di intrattenere un pubblico, entrare in personaggi sfaccettati e interessantissimi e dare un calcio alle umane avversità e debolezze per testimoniare come, con la tenacia, la speranza e la fiducia, ogni egocentrismo sia vincibile. Troppo riduttivo vedere Francesca (una magnifica Sansa, curiosamente meno nevrotica e sarcastica del solito) come un terzo incomodo amoroso: la sua presenza ha un valore ben più alto, coadiuvato tanto dal suo essere un personaggio dinamico quanto dalla sua voglia di lasciarsi alle spalle insofferenze deludenti e aprire lo sguardo verso orizzonti più edificanti. Stupendo gioco di squadra fra Luchini e Wilson, così inconciliabili all’apparenza e dunque così perfetti nel completare l’uno i vuoti dell’altro, e non che i vuoti lascino con l’amaro in bocca, per carità! Gradevolissimi contributi tecnici di precipua qualità, fra cui spicca una fotografia nitida, una scenografia dalla saporosa sobrietà e una colonna sonora che mescola favolosamente i classici italiani con brani della tradizione d’oltralpe. È anche un connubio fra i due paesi mediterranei che ben di rado si vede al cinema, o che almeno si assapora con piacere in sala.
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gerardo monizza
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giovedì 2 gennaio 2014
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molière come terapia contro l'invidia
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Molière in bicicletta di Philippe Le Guay [Invidiare]
Gli attori non si amano, ma si cercano. Sempre si invidiano. È anche una necessità del mestiere e una sfida di personalità (narcisistiche) condotta sul filo del rischio (personale) con cui vorrebbero mettersi alla prova: gli uni contro gli altri. Talvolta ne scaturisce lo spettacolo perfetto. Nella realtà come nella finzione.
Così è in “Molière in bicicletta” (“Alceste à bicyclette”diretto da Philippe Le Guay, 2013) film che sul contrasto tra grandi attori basa la sua forza drammatica ed emotiva.
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Molière in bicicletta di Philippe Le Guay [Invidiare]
Gli attori non si amano, ma si cercano. Sempre si invidiano. È anche una necessità del mestiere e una sfida di personalità (narcisistiche) condotta sul filo del rischio (personale) con cui vorrebbero mettersi alla prova: gli uni contro gli altri. Talvolta ne scaturisce lo spettacolo perfetto. Nella realtà come nella finzione.
Così è in “Molière in bicicletta” (“Alceste à bicyclette”diretto da Philippe Le Guay, 2013) film che sul contrasto tra grandi attori basa la sua forza drammatica ed emotiva.
Gauthier Valence (cui dà corpo il celebre Lambert Wilson) è un attore di successo, soprattutto di fama televisiva e in particolare di serie “medicali”. Interpreta un chirurgo fascinoso, ma di gran cuore e sempre capace di risolvere casi difficili e umani. Molto amato dal pubblico.
In un pausa della serie lascia Parigi per l'Île de Ré (zona La Rochelle), località turistica alla moda; ma la stagione è fredda e piove continuamente. C’è vento. Il viaggio di Valence non è turistico perché va a trovare Serge Tanneur (grande attore a riposo interpretato da Fabrice Luchini) e che intende coinvolgere in una messinscena di Molière: il “Misantropo”.
Serge (misantropo vero che s’è ritirato anche a causa di una forte depressione) pensa che la proposta contempli l’attribuzione della parte principale, quella di Alceste, ma si sbaglia. Gauthier gli propone quella di Filinte, più secondaria. L’orgoglio di Serge è ferito; Gauthier non cede subito e la guerra degli attori è dichiarata. Ovviamente non c’è ragione perché i due recedano dalle proprie (anche legittime) posizioni finché non accettano di tirare a sorte: una volta ciascuno interpreteranno Alceste.
La vicenda, dei due attori e la commedia di Molière, si snoda tra i contrasti: l’immoralità degli interpreti (che con invidia esasperante mascherano i loro veri interessi) e i personaggi del Misantropo che interpretano (rigorosi e moralisti fino all’eccesso). Il colpo di scena – nel film – sarà l’incontro con una bella italiana che li obbligherà a trasformare la finzione in una prova di sincerità. Con risultati disastrosi.
Dunque: l’invidia è un vizio pericoloso che può anche condurre al disastro rovinando un’amicizia professionale ed umana, chiudendo la porta a sentimenti sinceri che stavano nascendo.
La regia di Philippe Le Guay (“Le donne del sesto piano”, 2011) usa le gelide atmosfere dell’oceano e il paesaggio brullo (anche se la “bicicletta” è poco più di un pretesto) per creare un’atmosfera quasi irreale; con grande bravura si serve degli angusti spazi della casa di Serge e del cortile come luoghi scenici e i colori delle tappezzerie come fondali per dare consistenza ad una recitazione scoppiettante, sempre in crescita, sfaccettata e alla fine perfetta.
Wilson (settanta film tra cui: “Uomini di Dio”, 2010) e Luchini (una cinquantina tra cui: “Le donne del sesto piano”, 2011; Potiche - La bella statuina, 2010 e moltissimo teatro) sanno unire i personaggi del film con quelli di Molière rendendo godibile ogni sfumatura. La scena madre, in cui Serge-Luchini smonta il loro rapporto d’amicizia (e per causa d’invidia rivela, al pubblico di amici convenuti ad una festa, ciò che non dovrebbe) è un grande momento di teatro nel cinema che il sapiente montaggio di Monica Coleman costruisce su piani opposti aiutato anche dal movimento continuo della macchina da presa (fotografia di Jean-Claude Larrieu).
“Molière in bicicletta” è un film divertente e amarissimo che ci mostra quanto poco sia mutato l’animo umano dal tempo del Misantropo fino ad oggi e quanto sia difficile liberarci – in scena e fuori – dall’invidia e dal rancore.
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xoting
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venerdì 3 gennaio 2014
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va in scena la vera natura umana
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Amicizia? Si può davvero parlare di amicizia quando due persone, evidentemente mai state tanto legate, si ritrovano per volontà di uno solo dei due? Non conosciamo nei dettagli la storia che ha legato i due protagonisti anni prima che i loro percorsi si separassero nettamente. Dei due, il primo è fortunato interprete di telefilm, l'altro è vero appassionato di recitazione ma che si è auto appeso al chiodo rifiutando di appartenere ad un mondo fatto di ipocrisie, falsità e convenienze. La diffidenza e gli screzi sono il substrato sul quale si poggiano i loro tentativi di provare una commedia che l'attore televisivo vorrebbe portare in scena ma a modo suo mentre l'altro, trascinato, non vede di buon occhio che l'amico si tenga il ruolo più importante cioè Alceste.
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Amicizia? Si può davvero parlare di amicizia quando due persone, evidentemente mai state tanto legate, si ritrovano per volontà di uno solo dei due? Non conosciamo nei dettagli la storia che ha legato i due protagonisti anni prima che i loro percorsi si separassero nettamente. Dei due, il primo è fortunato interprete di telefilm, l'altro è vero appassionato di recitazione ma che si è auto appeso al chiodo rifiutando di appartenere ad un mondo fatto di ipocrisie, falsità e convenienze. La diffidenza e gli screzi sono il substrato sul quale si poggiano i loro tentativi di provare una commedia che l'attore televisivo vorrebbe portare in scena ma a modo suo mentre l'altro, trascinato, non vede di buon occhio che l'amico si tenga il ruolo più importante cioè Alceste. Misantropo è di fatto l'attore rigoroso e disilluso. Una settimana di prove nella sua casa spartana in una ventosa isola francese servirà a decidere se la commedia può funzionare. I caratteri dei due stridono spesso finche tra loro si inserice una italiana che riesce quasi inconsapevolmente a ridare entusiasmo e voglia di vivere a chi dei due era si era rifugiato nella rinuncia e nel pessimismo. Ma la vera natura umana già perfettamente inquadrata dal misantropo di Molière si ripresenterà pronta a spazzare i facili ottimismi. L'"amico" mai tanto amico, come si trovasse nel suo telefilm, non si smentirà come opportunista ma nel finale si riquadrerà il cerchio. Già, Molière aveva visto prorpio bene dentro le persone e i suoi dialoghi, recitati nella finzione, avevano preannunciato l'epilogo. Protagonista è anche l'isola che in estate accoglie ricchi villeggianti ma in inverno è spazzata dal vento dell'oceano. Lì si vive ancora con biciclette in sentieri deliziosi, assenza di telefoni e tecnologie tipiche delle città. E' uno scontro tra modi diversi di vedere la vita, ciascuno trovi il proprio rispettabile punto di vista. Da non non perdere.
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noillusions
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lunedì 20 gennaio 2014
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il messaggio del film?
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Il messaggio del film: l’unica cosa di cui trovo che valga la pena parlare. Per il resto: analisi profonda ed erudita dei comportamenti e della natura umana? Sarà, ma a me pare una commedia passabile che ha per tema la solita eterna storiella: due maschietti che litigano per la donna, sbaglio? Sono poi tanto diversi nelle loro motivazioni da due quindicenni? E allora parliamo del messaggio: c’è una bella italiana che frequenta due amici e alla fine, prima di sparire, va a letto con uno dei due. Parliamo di due sessantenni. Per reazione il secondo dei due amici manda a monte la sua partecipazione alla commedia che stava preparando e alla quale teneva molto. Ovvero: è un povero fesso che rinuncia a quello che vorrebbe (ricominciare a fare l’attore) e si fa condizionare la vita da una donna alla quale di lui non frega un accidente.
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Il messaggio del film: l’unica cosa di cui trovo che valga la pena parlare. Per il resto: analisi profonda ed erudita dei comportamenti e della natura umana? Sarà, ma a me pare una commedia passabile che ha per tema la solita eterna storiella: due maschietti che litigano per la donna, sbaglio? Sono poi tanto diversi nelle loro motivazioni da due quindicenni? E allora parliamo del messaggio: c’è una bella italiana che frequenta due amici e alla fine, prima di sparire, va a letto con uno dei due. Parliamo di due sessantenni. Per reazione il secondo dei due amici manda a monte la sua partecipazione alla commedia che stava preparando e alla quale teneva molto. Ovvero: è un povero fesso che rinuncia a quello che vorrebbe (ricominciare a fare l’attore) e si fa condizionare la vita da una donna alla quale di lui non frega un accidente. Cosa te ne importa se una alla quale non piaci va a letto con un altro? E per giunta un tuo amico! Come dire: l’italiana sapeva benissimo che andando a letto con uno dei due amici avrebbe compromesso per sempre il suo rapporto con l’altro, e quindi, evidentemente, dell’altro non gliene fregava nulla né aveva minimamente in testa la possibilità che tra loro potesse crearsi un rapporto in futuro. Mi ha ricordato un mio collega d’ufficio. L’esempio di chi non ha ancora capito nulla a sessant’anni: secondo me è il messaggio del film. Un presuntuoso, autoreferenziale, erudito, grande attore che discetta sapienza di qua e di là, ma non hai ancora capito che è inutile correre dietro a chi non ti vuole e non ha ancora la forza di carattere per accettarlo.
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[+] dimenticavo...
(di noillusions)
[ - ] dimenticavo...
[+] hai preso troppo sul serio il film
(di luanaa)
[ - ] hai preso troppo sul serio il film
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pincenzo
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lunedì 27 gennaio 2014
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teatro al cinema: una sfida difficile
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Poche persone vanno al teatro, molte di più vanno al cinema. Ecco perché raccontare il teatro al cinema è una sfida difficile: la recitazione, il ritmo, i testi sono troppo diversi tra loro e gli spettatori cinematografici fanno fatica ad apprezzare la differenza. Ma è anche difficile raccontare le vicende di chi il teatro lo fa, senza cadere nell'autoreferenzialità o nel gigionismo. Questo film vince, seppur parzialmente, le due sfide, raccontando la storia di due attori che si accordano per mettere in scena il Misantropo di Molière. Tra prove di memoria, memorie di vita in comune, corse in bicicletta e immancabili tensioni amorose con la bella di turno, il film scorre bene e arriva al finale, con relativo verdetto.
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Poche persone vanno al teatro, molte di più vanno al cinema. Ecco perché raccontare il teatro al cinema è una sfida difficile: la recitazione, il ritmo, i testi sono troppo diversi tra loro e gli spettatori cinematografici fanno fatica ad apprezzare la differenza. Ma è anche difficile raccontare le vicende di chi il teatro lo fa, senza cadere nell'autoreferenzialità o nel gigionismo. Questo film vince, seppur parzialmente, le due sfide, raccontando la storia di due attori che si accordano per mettere in scena il Misantropo di Molière. Tra prove di memoria, memorie di vita in comune, corse in bicicletta e immancabili tensioni amorose con la bella di turno, il film scorre bene e arriva al finale, con relativo verdetto. Ottima la prova interpretativa di Fabrice Luchini e Lambert Wilson, affiatati e ispirati. Poco convincente Maya Sansa, improbabile italiana trapiantata in Francia, goffa e legnosa nella prima parte, più credibile nella seconda. Fuori luogo, invece, la figura secondaria della pornoattrice, inserita come elemento di contrasto con i due più blasonati attori. Esterni troppo patinati, nonostante il tentativo di presentarli romantici nel fuori stagione turistico. Discutibile la colonna sonora, minimale e caramellosa.
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sirio
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domenica 2 febbraio 2014
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volendo esagerare
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Portare il teatro nel cinema. L'eterno conflitto fra la ricerca della perfezione e l'interesse di mercato. Due uomini che si confrontano. Due uomini si confrontano in una sfida estrema, ceh se fossimo in uno spaghetti-western sarebbe "all'ultimo sangue": mettere in scena il Misantropo di Moliére, non in una versione modernizzata (cosa che va tanto di moda oggi e che personalmente detesto!) ma negli originali versi alessandrini e nei costumi d'epoca.
Due uomini uno di fronte all'altro, uno ricco e famosissimo attore di un telefilm di successo, l'altro vecchio attore ritirato dalle scene sfinito dalla perenne ricerca della perfezione. Due uomini che occupano violentemente la scena, quasi la pervadono: i loro conflitti sono la recitazione perfetta, la sillaba scivolata o compressa, l'orario della prova o il cellulare che suona mentre recita.
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Portare il teatro nel cinema. L'eterno conflitto fra la ricerca della perfezione e l'interesse di mercato. Due uomini che si confrontano. Due uomini si confrontano in una sfida estrema, ceh se fossimo in uno spaghetti-western sarebbe "all'ultimo sangue": mettere in scena il Misantropo di Moliére, non in una versione modernizzata (cosa che va tanto di moda oggi e che personalmente detesto!) ma negli originali versi alessandrini e nei costumi d'epoca.
Due uomini uno di fronte all'altro, uno ricco e famosissimo attore di un telefilm di successo, l'altro vecchio attore ritirato dalle scene sfinito dalla perenne ricerca della perfezione. Due uomini che occupano violentemente la scena, quasi la pervadono: i loro conflitti sono la recitazione perfetta, la sillaba scivolata o compressa, l'orario della prova o il cellulare che suona mentre recita. E oltre loro gravita un mondo intero, un mondo di gente comune, di persone dedite alla propria, personale ricerca dell'assoluto.
Tante, tante idee si affollano nella mente del regista, idee che però, per una ragione o per l'altra, si affossano in un prodotto tanto lezioso quanto presuntuoso. Dopo una quindicina di minuti, in cui sei trasportato in questo microcosmo, le idee si ripetono dissolvendosi in una nenia fatta di battute ripetute, in psicologie scolpite con l'accetta e non con il cesello, in personaggi-satellite che semplicemente fanno tappezzeria: l'albergatrice troppo scollata, sua nipote attrice di film porno, l'amica italiana in conflitto con l'ex-marito, il taxista con la madre inferma, l'agente immobiliare, la ricca signora che ospita il protagonista, la segretaria di produzione sono solo dei frammenti, dei camei sovrastati e soffocati dai due personaggi principali.
Ma questi due solo apparentemente evolvono la loro psicologia. Tutto avviene fuori dalla scena, tutta protesa alla ricerca del minimo particolare, del dettaglio tanto fine e nascosto che anche stando attentissimi non si riesce sempre a cogliere. Una per tutte: il vecchio attore, convinto alla fine di partecipare allo spettacolo, talmente pervaso dal suo personaggio al punto di venire al ricevimento vestito da Alcesti, si ritira: un coup-de-théatre sinceramente senza né capo né coda. Per non dire della finale, che poteva benissimo togliere.
Volendo esagerare: sì, volendo esagerare perché ci sono state tante storie su questa falsariga, una per tutte lo splendido "Tutte le mattine del mondo" in cui il conflitto fra il maestro Sainte-Colombe, tutto proteso alla perfezione della Musica e l'allievo Marin Marais, legato ad una dimensione di corte, diventa spunto per la ricerca dell'assoluto. Ma qui non c'è assoluto, c'è desiderio di assoluto, e senza essere capaci offrire l'assoluto ci si annoia e basta. Mentre veniva proiettato questo film ho sentito tanti sbadigli in platea, e qualcuno che dormiva. Qualche scena comica, tanto per cercare di risollevare lo spirito, ma che rimaneva a livello di gag, di inclusione forzata senza alcun motivo valido.
Ruggero Jacobi, grande critico teatrale (il suo "Guida per lo spettatore di teatro" per me è stato una vera e propria Bibbia) avrebbe detto che in questo film il 90% dei personaggi chiede, prega, pretende, urla di essere ucciso, perché erano nella pellicola non erano mai cresciuti.
E allora cosa dire? Belle inquadrature, si vede che sanno riprendere bene le immagini di un Nord della Francia molto poco oleografico e molto vero. Ma per il resto, un grande sonno.
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dario
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domenica 26 luglio 2015
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delizioso
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Film di rara intelligenza, semplice e vero, umano e al contempo divino per le sue sottigliezze molto ben rappresentate. Storia di rapporti umani e di personalità che s'intrecciano, si scontrano a causa di protagonismi che sono il sale della vita. Attori splendidi, regia lieve e magica.
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alexander 1986
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domenica 14 settembre 2014
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il misantropo impuro
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L'affermato attore Gauthier Valence (Lambert Wilson) vuole affrancarsi dal suo personaggio televisivo e progetta di mettere in scena 'Il Misantropo' di Moliere. Si reca quindi all'Île de Ré a trovare l'amico Serge Tanneur (Fabrice Luchini), vecchio interprete ritiratosi dalle scene e anche dal consorzio umano, chiedengli di partecipare. Inizia una collaborazione più tormentosa del previsto, perché entrambi intendono trasporre sul proprio lavoro motivazioni e concezioni artistiche diametralmente opposte a quelle dell'altro.
Brutta scelta, quella italiana di tradurre il titolo originale 'Alceste à bicyclette' in 'Moliere in bicicletta'; come se una maggiore fedeltà potesse spaventare il pubblico, oppure potesse rendere ancor più elitaria una commedia che, nonostante tutto, non potrà che continuare a restare elitaria.
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L'affermato attore Gauthier Valence (Lambert Wilson) vuole affrancarsi dal suo personaggio televisivo e progetta di mettere in scena 'Il Misantropo' di Moliere. Si reca quindi all'Île de Ré a trovare l'amico Serge Tanneur (Fabrice Luchini), vecchio interprete ritiratosi dalle scene e anche dal consorzio umano, chiedengli di partecipare. Inizia una collaborazione più tormentosa del previsto, perché entrambi intendono trasporre sul proprio lavoro motivazioni e concezioni artistiche diametralmente opposte a quelle dell'altro.
Brutta scelta, quella italiana di tradurre il titolo originale 'Alceste à bicyclette' in 'Moliere in bicicletta'; come se una maggiore fedeltà potesse spaventare il pubblico, oppure potesse rendere ancor più elitaria una commedia che, nonostante tutto, non potrà che continuare a restare elitaria. Il film di Le Guay, sulla scia della recente commedia francese, usa una storia comune per discutere temi elevati quali l'ipocrisia, la depressione, la difficoltà di conciliare la creatività con le aspettative del pubblico. Purtroppo dimentica buona parte del resto: la pellicola quindi appare abbastanza brillante nei duetti e bisticci tra i due protagonisti, molto meno nelle scene di intermezzo e nella resa dei personaggi di contorno (fra cui anche la nostra Maya Sansa). La stessa conclusione sembra tagliata con l'accetta. Commedia comunque godibile, bene interpretata; bellissima l'ambientazione, possibile ispirazione per un viaggio.
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