fedecalcio
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giovedì 5 settembre 2013
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un'opera scoordinata e fastidiosa
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Ci sono svariati modi per produrre un film, anche se poi tutto si riduce ad una sola scelta: seguire i canoni di genere, oppure uscire dal seminato e proporre al pubblico qualcosa di nuovo, diverso, a rischio a volte di renderlo incompreso. Quest’ultima scelta, la più intraprendente e coraggiosa, purtroppo spesso trasforma una buona dose di ottimi propositi in delle schifezze quasi improponibili, e questo è proprio (purtroppo) il caso di “W Zappatore”.
Premuto play sul telecomando (il film si trova su cubovision), “W Zappatore” si presenta come estremamente lento e pesante, a tratti grottesco, ed in toto percorso da una angosciante sensazione di straniamento.
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Ci sono svariati modi per produrre un film, anche se poi tutto si riduce ad una sola scelta: seguire i canoni di genere, oppure uscire dal seminato e proporre al pubblico qualcosa di nuovo, diverso, a rischio a volte di renderlo incompreso. Quest’ultima scelta, la più intraprendente e coraggiosa, purtroppo spesso trasforma una buona dose di ottimi propositi in delle schifezze quasi improponibili, e questo è proprio (purtroppo) il caso di “W Zappatore”.
Premuto play sul telecomando (il film si trova su cubovision), “W Zappatore” si presenta come estremamente lento e pesante, a tratti grottesco, ed in toto percorso da una angosciante sensazione di straniamento. E questo può anche piacerci. Forse il regista sta cercando di comunicare, interagire con noi, buttandoci addosso un po’ di palletico e di disagio, magari in un goffo tentativo di farci condividere qualcosa con il protagonista, o più plausibilmente il regista, sado-masochista, vuole che soffriamo nel guardare questo film, fino ad odiarlo, chissà.
Anche la fotografia ci mette del suo. Una carrellata infinita quanto insopportabile di inquadrature dal basso verso l’alto, che smussando i menti dei protagonisti potrebbero illudere qualche telespettatore: sarà forse una puntata speciale dei Barbapapà? A ciò si uniscono degli improponibili e pasticciatissimi piani-sequenza (pochi per fortuna), ed alcuni virtuosismi che nessuno aveva chiesto al direttore della fotografia, composizioni di inquadratura ricercatissime, che nella schizofrenia generale si alternano a scene dalla qualità fotografica imbarazzante, in cui magicamente i neri diventano verdi, i filtri saltano in continuazione, e le luci sono disposte in maniera davvero ignorante.
Una menzione speciale per gli attori, che eccezion fatta per l’interpretazione del ruolo della madre, sono da pelle d’oca. La recitazione pesante e riflessiva potrebbe anche piacerci, ma è fatta talmente male che non solo perde il suo fine narrativo, ma che non riesce neanche a cadere nel ridicolo (sarebbe il male minore), ma solo a far prudere le mani agli impotenti spettatori.
Altra menzione per la sceneggiatura (dialoghi compresi). Succedono tante cose strane, che sono anche sceneggiate in modi inusuali, ed anche questo potrebbe piacerci. Peccato che sarebbe già gentile definirne il risultato come grezzo, non finito e scoordinato.
Buoni colonna sonora ed ambientazioni.
“W Zappatore” è un film che provando ad elevarsi dalla banalità della produzione cinematografica italiana, finisce per risultare un’opera presuntuosa, sostanzialmente mal fatta e, quel che è peggio, non credibile. Eh sì, perché per film così fuori dai canoni, risultare credibili è fondamentale. Usare la regia, i dialoghi, la recitazione, la sceneggiatura in modo più libero, dà la possibilòtà di trasmettere sensazioni allo spettatore, e può rivelarsi una scelta vincente. Si può anche scegliere di fare un film pesante, o magari irritante se l’intento è quello di dialogare con la sensibilità dello spettatore, ma perché resti credibile e quindi lo spettatore si lasci “prendere in giro”, tutto deve essere composto con armonia, tutto deve essere curato e coerente, altrimenti il film non ha carattere.
E questo film ha lo stesso carattere che ha la lanugine che si raccoglie nell’ombelico: senza una forma, senza uno scopo, senza un colore, senza una forma, di cui nessuno sente la necessità, ed a cui nessuno presterà mai attenzione.
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luciab
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domenica 25 marzo 2012
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" tutto è possibile" di lucia buttazzo
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Un film sospeso tra fantasia e realtà, tra inconscio e consapevolezza, tra rock e fede. Fa ridere e pensare già per la sua ambientazione in un contesto, come quello del Salento, dove bigottismo e sentimento religioso autentico si intrecciano indissolubilmente. Il grottesco che caratterizza lo stile del film ha, per me, qualcosa dell' "Umorismo" di Pirandello; non è mai fine a se stesso anche nei momenti in cui è più esasperato; anzi, proprio in questa esasperazione quasi "barocca" esprime lo spirito di una personalità che vorrebbe mettere insieme sacro e profano, utopia, ideale e reale, sconfiggendo l'ipocrisia. In questa operazione invita a distruggere molti luoghi comuni che tendono ad etichettare la realtà ingessandola in stereotipi.
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Un film sospeso tra fantasia e realtà, tra inconscio e consapevolezza, tra rock e fede. Fa ridere e pensare già per la sua ambientazione in un contesto, come quello del Salento, dove bigottismo e sentimento religioso autentico si intrecciano indissolubilmente. Il grottesco che caratterizza lo stile del film ha, per me, qualcosa dell' "Umorismo" di Pirandello; non è mai fine a se stesso anche nei momenti in cui è più esasperato; anzi, proprio in questa esasperazione quasi "barocca" esprime lo spirito di una personalità che vorrebbe mettere insieme sacro e profano, utopia, ideale e reale, sconfiggendo l'ipocrisia. In questa operazione invita a distruggere molti luoghi comuni che tendono ad etichettare la realtà ingessandola in stereotipi. Le stimmate di Marcello Zappatore, personaggio impassibile e passivo, inadatto e inadattato, sono il segno di contraddizione e allegoria di questo bisogno di superare le distinzioni. Perciò, per me, il film vuol mandare un messaggio che non è sempre necessario fare una scelta, ma che si possono mettere insieme mondi all'apparenza contrastanti, lasciandovi il marchio della propria originalità. E' questo del resto l’invito che la nonna, morendo, lascia “al suo Marcellino”, incoraggiandolo , a non occuparsi dei pensieri degli altri ,se vuole vivere una vita autentica.
Lo stesso atto del "grattarsi" mi ha fatto pensare automaticamente al celebre verso di Dante "...e lascia pur grattar dov'è la rogna" ( PD canto XVII) con cui Cacciaguida invita il poeta, suo discendente, a ignorare il giudizio degli altri. Ma qui, nel film, il prurito sembra segno di elezione divina......Tutto è possibile! Il bello del film, secondo me, sta anche in questo lasciare spazio all'interpretazione di ciascuno.
Eccezionale la Fotografia, indovinate le musiche!
W Zappatore!
Lucia Buttazzo
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luciab
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sabato 24 marzo 2012
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tutto è possibile
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Un film sospeso tra fantasia e realtà, tra inconscio e consapevolezza, tra rock e fede. Fa ridere e pensare già per la sua ambientazione in un contesto, come quello del Salento, dove bigottismo e sentimento religioso autentico si intrecciano indissolubilmente. Il grottesco che caratterizza lo stile del film ha, per me, qualcosa dell' "Umorismo" di Pirandello; non è mai fine a se stesso anche nei momenti in cui è più esasperato; anzi, proprio in questa esasperazione quasi "barocca" esprime lo spirito di una personalità che vorrebbe mettere insieme sacro e profano, utopia, ideale e reale, sconfiggendo l'ipocrisia. In questa operazione invita a distruggere molti luoghi comuni che tendono ad etichettare la realtà ingessandola in stereotipi.
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Un film sospeso tra fantasia e realtà, tra inconscio e consapevolezza, tra rock e fede. Fa ridere e pensare già per la sua ambientazione in un contesto, come quello del Salento, dove bigottismo e sentimento religioso autentico si intrecciano indissolubilmente. Il grottesco che caratterizza lo stile del film ha, per me, qualcosa dell' "Umorismo" di Pirandello; non è mai fine a se stesso anche nei momenti in cui è più esasperato; anzi, proprio in questa esasperazione quasi "barocca" esprime lo spirito di una personalità che vorrebbe mettere insieme sacro e profano, utopia, ideale e reale, sconfiggendo l'ipocrisia. In questa operazione invita a distruggere molti luoghi comuni che tendono ad etichettare la realtà ingessandola in stereotipi. Le stimmate di Marcello Zappatore, personaggio impassibile e passivo, inadatto e inadattato, sono il segno di contraddizione e allegoria di questo bisogno di superare le distinzioni. Perciò, per me, il film vuol mandare un messaggio che non è sempre necessario fare una scelta, ma che si possono mettere insieme mondi all'apparenza contrastanti, lasciandovi il marchio della propria originalità. E' questo del resto l’invito che la nonna, morendo, lascia “al suo Marcellino”, incoraggiandolo , a non occuparsi dei pensieri degli altri ,se vuole vivere una vita autentica.
Lo stesso atto del "grattarsi" mi ha fatto pensare automaticamente al celebre verso di Dante "...e lascia pur grattar dov'è la rogna" ( PD canto XVII) con cui Cacciaguida invita il poeta, suo discendente, a ignorare il giudizio degli altri. Ma qui, nel film, il prurito sembra segno di elezione divina......Tutto è possibile! Il bello del film, secondo me, sta anche in questo lasciare spazio all'interpretazione di ciascuno.
Eccezionale la Fotografia, indovinate le musiche!
W Zappatore!
Lucia Buttazzo
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giovanni.gioffreda
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giovedì 14 aprile 2011
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originale, cruda ma divertente storia salentina
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Sullo sfondo di estremismi religiosi, croci e rumorosi silenzi il film propone allo spettatore uno spaccato di vita nel profondo sud Italia.
Originale nella regia e crudo nell'esporre la realtà su cui si tesse la trama divertente e ironica il lungometraggio racconda la storia di un chitarrista metal devoto a Satana che si trova a esser scelto da Dio per ricevere le stigmate. La ricerca di tanti messaggi e riferimenti più o meno nascosti coinvolge lo spettatore spingendolo ad immedesimarsi con i personaggi, presentati unicamente nei loro tratti più caratteristici spesso enfatizzati a tal punto da risultare improbabili e comici. Notevoli alcuni dettagli tra cui le bellissime interpretazioni di Marta De Giuseppe (che a me piace definire "la voce del Salento"), il volantino della "Sagra del metal" e la scelta di utilizzare pesantemente il dialetto leccese (opportunamente sottotitolato in italiano) nei dialoghi senza addolcilmenti che sicuramente lo avrebbero reso meno volgare ma decisamente più artefatto.
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Sullo sfondo di estremismi religiosi, croci e rumorosi silenzi il film propone allo spettatore uno spaccato di vita nel profondo sud Italia.
Originale nella regia e crudo nell'esporre la realtà su cui si tesse la trama divertente e ironica il lungometraggio racconda la storia di un chitarrista metal devoto a Satana che si trova a esser scelto da Dio per ricevere le stigmate. La ricerca di tanti messaggi e riferimenti più o meno nascosti coinvolge lo spettatore spingendolo ad immedesimarsi con i personaggi, presentati unicamente nei loro tratti più caratteristici spesso enfatizzati a tal punto da risultare improbabili e comici. Notevoli alcuni dettagli tra cui le bellissime interpretazioni di Marta De Giuseppe (che a me piace definire "la voce del Salento"), il volantino della "Sagra del metal" e la scelta di utilizzare pesantemente il dialetto leccese (opportunamente sottotitolato in italiano) nei dialoghi senza addolcilmenti che sicuramente lo avrebbero reso meno volgare ma decisamente più artefatto.
La sala piena durante la prima alla XII edizione del Festival del Ciname Europeo, il lungo applauso di una platea soddisfatta e l'attenzione per il dibattito che ha seguito la proiezione hanno dimostrato che a prescindere dal budget di spesa si possono realizzare piccole grandi opere, forse destinate a incassi contenuti e di nicchia ma di successo.
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