cinefila
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martedì 8 febbraio 2011
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debole
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Avati tocca il tema della malattia della dimenticanza, del regresso, del ritorno all'infanzia.
Bravo Bentivoglio nel rappresentare i diversi stadi di questa patologia che svuota giorno dopo giorno una mente brillante, come quella del famoso giornalista sportivo da lui interpretato. Ad affiancarlo, una moglie che subisce, anche con violenza, il declino mentale del marito..e lo fa con dignità, prima allontanandosi, poi tornando dal suo uomo diventato ormai bambino.
Nel suo viaggio a ritroso, il protagonista ritorna nel paesino che lo accolse da ragazzino per ritrovare gli amici di un tempo e il suo adorato cane Perché, compagno di viaggio durante l'adolescenza, e non tornerà più a casa.
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Avati tocca il tema della malattia della dimenticanza, del regresso, del ritorno all'infanzia.
Bravo Bentivoglio nel rappresentare i diversi stadi di questa patologia che svuota giorno dopo giorno una mente brillante, come quella del famoso giornalista sportivo da lui interpretato. Ad affiancarlo, una moglie che subisce, anche con violenza, il declino mentale del marito..e lo fa con dignità, prima allontanandosi, poi tornando dal suo uomo diventato ormai bambino.
Nel suo viaggio a ritroso, il protagonista ritorna nel paesino che lo accolse da ragazzino per ritrovare gli amici di un tempo e il suo adorato cane Perché, compagno di viaggio durante l'adolescenza, e non tornerà più a casa.
Il film è stato escluso all'ultimo momento dalle pellicole in concorso alla Mostra di Venezia 2010, forse a ragione. Le polemiche seguìte hanno comunque dato attenzione a un film che manca in qualcosa, nonostante la buona performance di tutti gli attori.
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great steven
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domenica 20 ottobre 2019
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ritorno all'infanzia col tocco della smemoratezza.
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UNA SCONFINATA GIOVINEZZA (IT, 2010) diretto da PUPI AVATI. Interpretato da FABRIZIO BENTIVOGLIO, FRANCESCA NERI, SERENA GRANDI, GIANNI CAVINA, BRIAN FENZI, LINO CAPOLICCHIO, CESARE CREMONINI, RICCARDO LUCCHESE, MANUELA MORABITO, ERIKA BLANC, ISABELLE ADRIANI, VINCENZO CROCITTI, DAMIANO RUSSO, OSVALDO RUGGIERI
Lino Settembre, esperto giornalista sportivo e commentatore Rai per Il Messaggero, e sua moglie Chicca, professoressa universitaria di lingue medievali, sono una coppia di mezz’età felicemente sposata che conduce una vita serena lontana da serie difficoltà. Il loro unico rammarico è il non aver avuto una prole. Quando Lino comincia ad accusare banali problemi di memoria, lui e la consorte decidono di riderci su, ma la situazione si fa sempre più penosa e imbarazzante, finché, dopo una visita presso un neurologo, si scopre che Lino è nella fase iniziale del morbo di Alzheimer.
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UNA SCONFINATA GIOVINEZZA (IT, 2010) diretto da PUPI AVATI. Interpretato da FABRIZIO BENTIVOGLIO, FRANCESCA NERI, SERENA GRANDI, GIANNI CAVINA, BRIAN FENZI, LINO CAPOLICCHIO, CESARE CREMONINI, RICCARDO LUCCHESE, MANUELA MORABITO, ERIKA BLANC, ISABELLE ADRIANI, VINCENZO CROCITTI, DAMIANO RUSSO, OSVALDO RUGGIERI
Lino Settembre, esperto giornalista sportivo e commentatore Rai per Il Messaggero, e sua moglie Chicca, professoressa universitaria di lingue medievali, sono una coppia di mezz’età felicemente sposata che conduce una vita serena lontana da serie difficoltà. Il loro unico rammarico è il non aver avuto una prole. Quando Lino comincia ad accusare banali problemi di memoria, lui e la consorte decidono di riderci su, ma la situazione si fa sempre più penosa e imbarazzante, finché, dopo una visita presso un neurologo, si scopre che Lino è nella fase iniziale del morbo di Alzheimer. Chicca sceglie di tacergli la sua situazione (che purtroppo è destinata ad aggravarsi) per non farlo soffrire, ma deve scontrarsi col parere contrario dei suoi famigliari d’origine – soprattutto col fratello maggiore Emilio, primario ospedaliero, che non ha mai visto di buon occhio il cognato – che preferirebbero che lei lo ricoverasse in un istituto. Vedendo che la malattia ha drammaticamente gravato sulla loro vita coniugale, in un primo momento Chicca si rassegna ad affidarlo a due badanti straniere, ma poi, mossa a pietà dai comportamenti sempre più bisognosi ed infantili del marito che sta regredendo ad uno stato mentale da bambino, torna ad occuparsi di lui con crescente affetto. Dopo Gli amici del bar Margherita, tessitura non troppo convincente di una serie di ricordi dell’adolescenza del regista, Una sconfinata giovinezza appare subito tenuta insieme da un’idea narrativa molto più salda e forte, una storia come poche ne racconta l’odierno cinema italiano poiché intesa nel senso ampio del termine. Avati non è di sicuro il primo ad aver esplorato il tema umanissimo della trasformazione dell’amore coniugale ad amore filiale: la letteratura lo ha affrontato in ogni epoca, e il cinema ha fatto a suo modo altrettanto quando uscì Il curioso caso di Benjamin Button (2008), ma ora il regista bolognese dà una versione nostrana del suo pensiero in merito utilizzando il suo speciale linguaggio di osservatore decentrato. Peccato che le scelte di regia non sostengano sempre la dolorosa poesia della trama: le musiche enfatiche, troppo da drammone, non aiutano, e il seppia delle immagini che mostrano Lino bambino (in assoluto la parte più magica del film) intento a scoprire il mondo nelle sue invereconde passioni (il cane Perché, l’incidente d’auto mortale, gli straordinari fratelli Leo e Nerio, la vicenda del brillante che la zia intende ritrovare ad ogni costo) rappresenta più il ricordo di Avati relativo alla sua infanzia che non un tentativo di tradurre con la mano ciò che la mente filmica ha elaborato per condividerlo con lo spettatore. Malgrado ciò, però, la pellicola ha una potenza emotiva irresistibile e tocca corde profonde, descrivendo come il lascito dell’infanzia torni per riappropriarsi dei sentimenti di una persona quando la sua vita volge al tramonto (o in autunno, come il cognome del protagonista sembra suggerire). La sceneggiatura si concentra proprio sulla sorte bizzarra dell’uomo che, giunto a un certo punto del suo cammino, ha da fare i conti col mistero accattivante del suo passato più remoto. Così le corse dei ciclisti al Giro e al Tour (l’apparizione di Gastone Nencini in televisione dopo una vittoria importante ad una tappa) e le rimembranze di un amico che fingeva di saper resuscitare i morti tornano con prepotenza a reclamare un’importanza, spazzando via le esperienze e il materiale che l’essere umano ha finora saputo costruirsi. Nessuno poteva interpretare un personaggio così sensibile meglio di Bentivoglio, con la sua aria di triste saccenteria: ci regala un protagonista formidabile sicuro del fatto suo oltre ogni ragionevolezza, ma anche la compartecipazione della Neri al suo fianco rivela una donna corazzata perspicacemente contro il dolore che, nonostante una rinuncia di cui si pente, respinge aiuti indesiderati a costo di nascondere al compagno d’una vita una verità terrificante. A tal proposito, la sequenza del pestaggio casalingo è eloquente nel mostrare come la rabbia per un deperimento precoce dovuto alla demenza senile sia esemplificativa d’una reazione esplosiva. Sono graditi anche i ritorni di Cavina e Capolicchio che, coi loro ruoli ambigui e le loro ombre, illuminano per contrasto l’innocenza di Bentivoglio e gli creano attorno un contorno di uomini che lo sostengano nella continuazione del suo sogno delirante mediante la sua esclusione dalla realtà. E S. Grandi punta su una gentilezza raffinata e placida per intingere all’acqua di rose una zia squisitamente materna. Avati propone l’esistenza umana come un film: quando s’arriva alla fine, si riguarda dal principio.
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molenga
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lunedì 7 novembre 2011
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lontano da tutti
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Lino è un giornalista sportivo di successo, chicca è la sua bella moglie, sposata a vent'anno:non hanno figli ma si amano molto finche tra loro si frappone l'Alzheimer...Lino perderà il contatto dalla realtà per tornare all'infanzia trascorsa sull'appennino bolognese, agli amici di quel periodo spensierato ed al più vecchio di tutti i suoi compare, il cane"perché".
Amara e nostalgica poesia visiva di Pupi Avati sulla malattia e sul recupero delle radici, una regia buona e-rarità per il cinema nostrano- dei personaggi ben interpretati( recita anche la Nieri!), in particolare un superlativo Bentivoglio.
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fabio1957
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martedì 30 giugno 2015
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doloroso
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Per chi come me ha avuto un familiare colpito da questo morbo,è stata particolarmente dolorosa la visione di questo film,tuttavia ciò dimostra quanto sia credibile e realistico il lavoro di Avati.Naturalmente non è priva di difetti l'elaborazione cinematografica di una malattia così devastante e indescrivibile, per le tante sfaccettature che presenta.Ma nel complesso, il regista ha fatto un'operazione riuscita,con il grosso contributo di un Bentivoglio perfettamente calato nella parte.Era un ruolo difficile da interpretare il suo,c'era il rischio di costruire un personaggio didascalico,stereotipato nelle sue deficienze,invece l'attore lo padroneggia benissimo, scivolando lentamente e con inesorabilità nelle spire del male e nell'oblio di questa terribile malattia,senza autocompiacimenti,con essenzialità.
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Per chi come me ha avuto un familiare colpito da questo morbo,è stata particolarmente dolorosa la visione di questo film,tuttavia ciò dimostra quanto sia credibile e realistico il lavoro di Avati.Naturalmente non è priva di difetti l'elaborazione cinematografica di una malattia così devastante e indescrivibile, per le tante sfaccettature che presenta.Ma nel complesso, il regista ha fatto un'operazione riuscita,con il grosso contributo di un Bentivoglio perfettamente calato nella parte.Era un ruolo difficile da interpretare il suo,c'era il rischio di costruire un personaggio didascalico,stereotipato nelle sue deficienze,invece l'attore lo padroneggia benissimo, scivolando lentamente e con inesorabilità nelle spire del male e nell'oblio di questa terribile malattia,senza autocompiacimenti,con essenzialità.
Forse il finale lascia un pò perplessi.
Comunque un buon film
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aesse
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venerdì 15 ottobre 2010
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meglio malati che sani!
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Se siamo d’accordo sul fatto che non esista maggiore sacrilegio che soffocare con la pesantezza dell’età adulta il bambino che ognuno di noi è stato, si capirà che non è un paradosso eccessivo giudicare di entità veniale tutti gli accadimenti di cui sono oggetto, più o meno direttamente, i protagonisti dell’ennesima fatica di Pupi Avati “Una sconfinata giovinezza”che, a scanso di equivoci, voglio da subito definire più che pregevole. A mio avviso, quindi, niente può orbare di più un’esistenza che condurre una vita dimentichi di quella promessa il cui mantenimento è l’unico scopo del vivere, quella promessa che nell’infanzia, e se va bene anche nell’adolescenza è chiara ed inconfondibile, niente può essere più grave, neanche una malattia terribile come l’Alzhimer, una vera e propria piaga sociale e visto che stiamo parlando del racconto che ce ne fa il film e a tale rappresentazione dobbiamo attenerci e solo di quella siamo autorizzati a parlare.
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Se siamo d’accordo sul fatto che non esista maggiore sacrilegio che soffocare con la pesantezza dell’età adulta il bambino che ognuno di noi è stato, si capirà che non è un paradosso eccessivo giudicare di entità veniale tutti gli accadimenti di cui sono oggetto, più o meno direttamente, i protagonisti dell’ennesima fatica di Pupi Avati “Una sconfinata giovinezza”che, a scanso di equivoci, voglio da subito definire più che pregevole. A mio avviso, quindi, niente può orbare di più un’esistenza che condurre una vita dimentichi di quella promessa il cui mantenimento è l’unico scopo del vivere, quella promessa che nell’infanzia, e se va bene anche nell’adolescenza è chiara ed inconfondibile, niente può essere più grave, neanche una malattia terribile come l’Alzhimer, una vera e propria piaga sociale e visto che stiamo parlando del racconto che ce ne fa il film e a tale rappresentazione dobbiamo attenerci e solo di quella siamo autorizzati a parlare. Forse è proprio a questo tipo di lettura che allude il titolo del film, questa giovinezza che tracima e sconfina oltre i limiti imposti dall’età adulta e ci disvela il nascondiglio segreto dove il nostro bambino interiore continua ad “essere” incurante di noi. Quindi sempre seguendo il paradosso dell’assunto vivere una sconfinata giovinezza, seppure patologica, è meno peggio che colpevolmente archiviarla… e ad averla una giovinezza del genere di quella narrata da Avati infatti non è affatto scontato che a parità di condizioni anagrafiche per tutti vada allo stesso modo potendo cioè esperire una vita non fatta di fatti come è quella degli adulti ma con il mito che la fa da padrone e le inezie quotidiane avvolte da un’aura eroica! Difatti, per il protagonista, Lino, poi giornalista sportivo, la giovinezza che si riaffaccia e che prepotente patologicamente lo travolge con un’identificazione totale è quella di solo pochi mesi trascorsi vicino a Sasso Marconi in una cascina degli zii a guarire dalla sua orfanità incipiente e a sentirsi crescere come solo si può fare, ingordi di esperienze, liberi in campagna. Questi i motivi per i quali la commozione che si prova durante la visione di questo bel film si nutre non di tragedia ma di bello e di gioia e della forza dell’amore grande che unisce Lino, uno splendido Bentivoglio, a Chicca, un’eburnea Francesca Neri, amore che la malattia di lui spinge a nuove modalità di manifestazione: lei diverrà madre affettuosa, protettiva e complice… fino all’incidente in cui Chicca se la vede brutta pronta a “ resuscitare” però per il finale del film comparendovi sana e salva senza una spiegazione logica né clinica alla sua miracolosa guarigione. Lino che tale resurrezione aveva visto come unica soluzione e tale eventualità aveva perseguito caparbiamente in un improbabile viaggio a ritroso nel tempo, non lo saprà, sembra scomparso alla ricerca del suo vecchio cane, un bel bracco italiano compagno fedele della sua adolescenza che si chiamava Perché ed è forse grazie a questo suo nome, come i perché che si eternano all’infinito, che Lino si rifiuta di crederlo morto dato che, come dice sorridendo, è impossibile… è un cane immortale!...
ANTONELLA SENSI
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fabrizio pasquali
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lunedì 25 ottobre 2010
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un'occasione mancata
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La bellissima Chicca ( ma non Francesca ), l'affascinante Lino, la splendida casa e la famiglia più che agiata adombrano il messaggio terrificante che doveva passare: la realtà vera è quella del docente di inglese, grasso, bruttino, in una casa squallida per le modeste entrate, con due figli invisibili ed una moglie ben più "disfatta" del sempre dignitoso Bentivoglio, solo a combattere nel quotidiano ed inventarsi quanto di amore terapeutico può regalare alla moglie veramente impressionante.
Ma al mondo dorato di oggi queste scene arrecano fastidio e quindi meglio le due badanti, il professore e medico cognato che si occupa di tutto, la casa di campagna e tutto lo zucchero necessario a non straziare lo spettatore, al massimo qualche lacrimuccia relativa al passato remoto dei ragazzini, naturalmente addolcita dalle ilari sfilate di deretani in vista.
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La bellissima Chicca ( ma non Francesca ), l'affascinante Lino, la splendida casa e la famiglia più che agiata adombrano il messaggio terrificante che doveva passare: la realtà vera è quella del docente di inglese, grasso, bruttino, in una casa squallida per le modeste entrate, con due figli invisibili ed una moglie ben più "disfatta" del sempre dignitoso Bentivoglio, solo a combattere nel quotidiano ed inventarsi quanto di amore terapeutico può regalare alla moglie veramente impressionante.
Ma al mondo dorato di oggi queste scene arrecano fastidio e quindi meglio le due badanti, il professore e medico cognato che si occupa di tutto, la casa di campagna e tutto lo zucchero necessario a non straziare lo spettatore, al massimo qualche lacrimuccia relativa al passato remoto dei ragazzini, naturalmente addolcita dalle ilari sfilate di deretani in vista.
Caro Avati ho l'impressione che la tragedia in fondo non ti piaccia più di tanto: i pugni nello stomaco vanno dati e ricevuti quando serve e senza giubbotti antiproiettile: lasciali a Bisio che scambia il Sud per L'Iraq, ma sappiamo entrambi che quello è in un altro film."
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(di angelo umana)
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