aesse
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martedì 13 aprile 2010
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l'ombra fa l'uomo
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Il titolo originale di questo nuovo lavoro di Polanski è “Ghost Writer” ma per una rara volta ”L’uomo nell’ombra” è più azzeccato. Il mestiere del protagonista Ewan McGregor è infatti quello di ghost writer, cioè lo scrittore fantasma, quello che non è così bravo da poter mettere la propria firma in calce a ciò che scrive, ma è ammestierato per rendere leggibili e gradevoli le tante autobiografie dei potenti che decidono di consegnare ai posteri la narrazione di quella che avrebbe potuto essere solo la loro vita! E’una scelta che avviene quando la carriera volge al tramonto e le luci della ribalta si spengono, può trattarsi di un onesto bilancio, spesso è il primo passo per contraffare quella che poi sarà storia.
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Il titolo originale di questo nuovo lavoro di Polanski è “Ghost Writer” ma per una rara volta ”L’uomo nell’ombra” è più azzeccato. Il mestiere del protagonista Ewan McGregor è infatti quello di ghost writer, cioè lo scrittore fantasma, quello che non è così bravo da poter mettere la propria firma in calce a ciò che scrive, ma è ammestierato per rendere leggibili e gradevoli le tante autobiografie dei potenti che decidono di consegnare ai posteri la narrazione di quella che avrebbe potuto essere solo la loro vita! E’una scelta che avviene quando la carriera volge al tramonto e le luci della ribalta si spengono, può trattarsi di un onesto bilancio, spesso è il primo passo per contraffare quella che poi sarà storia. Scavando, raccogliendo emozioni e occultate verità è dato però ritrovare la parte umana che chi è obbligato alla luce costante consegna ad un’ombra ripudiata… e si sa bene che è l’ombra agita a dare interezza e unicità!... E’ così anche per la storia de “L’uomo nell’ombra”: un ex primo ministro inglese che assomiglia tanto a Blair e il suo ghost writer arruolato per scriverne la autobiografia. Ma si sa tutto ciò che riguarda i potenti di questo mondo è pieno di misteri ed intrighi così questo film è un vero e proprio thriller con finale a sorpresa, asciutto e acuto così come l’ambiente in cui scorre la storia, un’invernale isola del Massachussets trattata magistralmente effetto-inferno, è fradicia e ottusa. Vi si accede con un traghetto tutto luci come una creatura degli abissi che è il Caronte della situazione, nel silenzio delle onde mute un corpo ruzzola sulla battigia e così si avvia il film e il suo mistero. Lì, in quell’isola, la Martha's Vineyard de ”Lo squalo”, Adam Lang trascorre quella parte di vita che non è fatta di dichiarazioni ufficiali e sorrisi stereotipati da parata, assediato e impaurito dentro un bunker che ha ben pochi connotati dell’abitazione, tanta grigia pietra e grossi squarci vetrati sulle grigie dune sabbiose. Piuttosto si tratta di un quartier generale dove vivere asserragliati sperando che il mondo non si accorga degli inconfessabili errori commessi. Incapacitato alla materia e alla sostanza che la sua parte ombra rappresenta, cioè l’umanità, delega anche le incombenze coniugali alla sua giovane ombra… i suoi sfoghi sessuali saranno per la segretaria tuttofare che con lui condivide quella vita di apparenza. Il mistero, che monta come angoscia in quell’avamposto sull’Oceano tutto stoppie e nebbia, così arcaico e lontano, come il vetusto Eli Wallach del cameo, è tutto ad appannaggio della ruvida moglie dell’ex premier, mistero che il finale disvelerà… se fosse così anche nella realtà sarebbe tutto molto più plausibile… Poi irrompe la vita causando la morte prima dell’uomo e poi della sua ombra quando la pubblicazione dell’autobiografia ne decreterà la conseguente, accertata inutilità. E così se ne vanno il celebrato e il celebrante e se la morte del primo è fugace e volutamente glissata, si vede solo il corpo ferito dell’inatteso Pierce Brosnan mentre invece assume ben maggiore spettacolarità quella dell’uccisore in tuta mimetica e poi, come in una realtà parallela, la velocissima e muta sequenza del funerale dell’ex premier, quello schianto lontano, con effetto invisibile, celebrato dalla bellissima scena finale, che tutto lascia immaginare, è invece morte vera, di cui lo spettatore prende atto, come degna conclusione di questo ultimo attesissimo capolavoro di Polanski.
ANTONELLA SENSI
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[+] perché riveli il finale del film?
(di laulilla)
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(di giuliana li vigni)
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dario
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domenica 8 agosto 2010
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alla deriva
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La storia è confusa. Il primo a non crederci è proprio Polanski che dirige da par suo senza una sceneggiatura decente. Ne esce un prodotto poco interessante, tutto giocato sulle furbizie e sugli stupori dei protagonisti. Senza una vicenda forte, il film inevitabilmente crolla: inutile cercare un riscatto inventando un finale inusuale. Polanski ha bisogno di temi civili forti, non di pretesti senza spessore. Strano sia caduto in un errore del genere. Colpa della presunzione?
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