Azione,
durata 107 min.
- Italia 2006.
uscita venerdì 24febbraio 2006.
MYMONETROArrivederci amore, ciao
valutazione media:
2,98
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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E' un film rigido, nero, cinico e spietato, come il suo protagonista, interpretato con la sua solita bravura da Alessio Boni. Indiscutibilmente nel film emergono delle sbavature e forse c'è un eccesso di compiacimento in alcune scene come in quella finale, dopo la quale ci si domanda come sia stato possibile per Giorgio uscirne pulito. Però la fascinosa atmosfera resta, come resta l'immagine inquietante e seducente della bella Ferrari, anch'essa divorata dalla psicopatia del protagonista. Interessante rimane anche la caratterizzazione del protagonista che offre un quadro preciso di una personalità anaffettiva e schizoide, presa solamente dal suo ego narcisistico, incapace di empatia e affettività.
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E' un film rigido, nero, cinico e spietato, come il suo protagonista, interpretato con la sua solita bravura da Alessio Boni. Indiscutibilmente nel film emergono delle sbavature e forse c'è un eccesso di compiacimento in alcune scene come in quella finale, dopo la quale ci si domanda come sia stato possibile per Giorgio uscirne pulito. Però la fascinosa atmosfera resta, come resta l'immagine inquietante e seducente della bella Ferrari, anch'essa divorata dalla psicopatia del protagonista. Interessante rimane anche la caratterizzazione del protagonista che offre un quadro preciso di una personalità anaffettiva e schizoide, presa solamente dal suo ego narcisistico, incapace di empatia e affettività. Originale il personaggio di Anedda, gagà farabutto e anima nera delle istituzioni. Concorre all'atmosfera del film il ritornello della canzone della Caselli, uno dei motivi più struggenti e belli degli anni 60, non a caso riproposta magistralmente da Battiato e, non al meglio, da Baglioni.La tanta bellezza della canzone rende più umano il clima glaciale del film, che però si muove intensamente nel cuore e nella mente dello spettatore. Bello! Davvero.
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Ottimo film, che fa un po' ricredere sulla cinematografia italiana, ormai decisamente in ribasso.
La regia si muove agevolmente, creando tensione, senza cadere, salvo pochi momenti, nel grand guignol. E' proprio nella creazione di tensione, che raramente sfocia in una violenza palese, che, secondo me si distingue il regista.
Aprrezzabilissima la scelta di girare tutte le scene al chiuso o in esterni serali e notturni.
Piccoli camei le riprese di passi dei protagonisti, che avvengono su terreni zuppi di acqua.
Un film che ti fa uscire con una tristezza interiore che non ti abbandona per giorni.
Lucio Caracausi
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Il ritorno al grande schermo di Michele Soavi, dopo lustri di Fiction TV, ha lasciato il segno: tra entusiasmi e stroncature è innegabile che "arrivederci amore ciao" sia lontano anni luce da quella piattezza televisiva che caratterizza una parte importante del cinema attuale. Soavi non ha avuto paura d'osare e probabilmente ha realizzato il suo miglior film: un amorale noir dalle ascendenze tarantiniane che gradualmente si sposta verso il thriller, sfiorando addirittura l'horror nel finale.
E il tutto con un linguaggio audio-visivo fiammeggiante, in linea col gusto del regista, che s'imprime nella memoria.
Dove il film convince a metà è nella caratterizzazione contraddittoria del protagonista: agnello sacrificale all'inizio, si trasforma repentinamente (disorientando) in un killer diabolico e privo di scrupoli.
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Il ritorno al grande schermo di Michele Soavi, dopo lustri di Fiction TV, ha lasciato il segno: tra entusiasmi e stroncature è innegabile che "arrivederci amore ciao" sia lontano anni luce da quella piattezza televisiva che caratterizza una parte importante del cinema attuale. Soavi non ha avuto paura d'osare e probabilmente ha realizzato il suo miglior film: un amorale noir dalle ascendenze tarantiniane che gradualmente si sposta verso il thriller, sfiorando addirittura l'horror nel finale.
E il tutto con un linguaggio audio-visivo fiammeggiante, in linea col gusto del regista, che s'imprime nella memoria.
Dove il film convince a metà è nella caratterizzazione contraddittoria del protagonista: agnello sacrificale all'inizio, si trasforma repentinamente (disorientando) in un killer diabolico e privo di scrupoli. Anche se indubbiamente Alessio Boni ha un phisique du role perfetto, così come i comprimari (su cui spicca un notevole Michele Placido) che gli ruotano attorno.
Tirando le somme: pur non esente da pecche, un film in linea con la miglior tradizione italiana 'di genere' e che nel contempo potrebbe diventare un modello per il futuro.
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ho visto il film ieri sera e l'ho trovato discreto. Vivaddio c'è anche qualcuno in Italia che cerca di fare un pò di cinema oltre che riproporre tematiche da fiction televisive come riabilitazione di gay e crisi della coppia. Detto questo il film ha i suoi limiti, il maggiore dei quali secondo me è la mancanza di spessore, di profondità. Tutte le situazioni sono un pò prese e messe li. Il protagonista ha una personalità che rimane un pò indecifrabile, non convince a fondo nel ruolo che interpreta cinico e privo di coscienza con questi flashback che sembrerebbero suggerire una sorta di rimorso per le atrocità commesse nel passato. In realtà non si capisce bene se nella riabilitazione che cerca di ottenere in maniera spasmodica e con ogni mezzo ci sia anche una ricerca di una vita finalmente regolare e vissuta in modo tradizionale.
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ho visto il film ieri sera e l'ho trovato discreto. Vivaddio c'è anche qualcuno in Italia che cerca di fare un pò di cinema oltre che riproporre tematiche da fiction televisive come riabilitazione di gay e crisi della coppia. Detto questo il film ha i suoi limiti, il maggiore dei quali secondo me è la mancanza di spessore, di profondità. Tutte le situazioni sono un pò prese e messe li. Il protagonista ha una personalità che rimane un pò indecifrabile, non convince a fondo nel ruolo che interpreta cinico e privo di coscienza con questi flashback che sembrerebbero suggerire una sorta di rimorso per le atrocità commesse nel passato. In realtà non si capisce bene se nella riabilitazione che cerca di ottenere in maniera spasmodica e con ogni mezzo ci sia anche una ricerca di una vita finalmente regolare e vissuta in modo tradizionale. Non si capisce neanche bene se abbia una reale attrazione per le situazioni torbide o le viva solo per convenienza materiale, vedasi la vicenda con la moglie del cocainomane. Non ho letto il romanzo che lo ha ispirato per cui non so se il film gli sia fedele o meno. Ci sono dei buoni ingredienti che forse andavano messi insieme un pò meglio, è un pò come una torta che esce dal forno un pò sgonfia, si mangia lo stesso ma potrebbe essere più buona. Da apprezzare lo stile cinematorgrafico e la colonna sonora. Riuscita la suggestione della titletrack che affiora spesso nel film specialmente nella sequenza finale forse un pò troppo caricata. Film dignitoso. Michele Soavi aveva già dato una buona prova con Dellamorte Dellamore.
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C’è stata una generazione allo sbando nel nostro paese. Una classe d’età che pur di comprarsi il biglietto per un mondo migliore ha intrapreso il cammino della forza armata. Quella generazione ormai è stata affondata dai risvolti della storia e cerca da tempo un modo per redimersi. Una maniera per rientrare nella società come esseri normali, assoggettati alle regole che un tempo essi combattevano e alle quali non ha più senso contrapporsi.
Per Massimo Carlotto, lo scrittore di “Arrivederci Amore, Ciao”, alcuni soggetti di quella generazione avevano convinzioni politiche non molto chiare ed approfondite.
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C’è stata una generazione allo sbando nel nostro paese. Una classe d’età che pur di comprarsi il biglietto per un mondo migliore ha intrapreso il cammino della forza armata. Quella generazione ormai è stata affondata dai risvolti della storia e cerca da tempo un modo per redimersi. Una maniera per rientrare nella società come esseri normali, assoggettati alle regole che un tempo essi combattevano e alle quali non ha più senso contrapporsi.
Per Massimo Carlotto, lo scrittore di “Arrivederci Amore, Ciao”, alcuni soggetti di quella generazione avevano convinzioni politiche non molto chiare ed approfondite. Ragazzi allo sbando che vedevano solo un modo per fuggire da un oppressivo ambito familiare. Questa sottile linea fra ideologia radicata e teoria politica superficiale la descrive molto bene Michele Soavi dirigendo la versione cinematografica del romanzo di Carlotto.
Anzi, per Soavi, non è tanto importante il background politico di Giorgio, il personaggio principale sia del racconto che del film, ma il distacco da esso ed il conseguente reinserimento nella società. Reinserimento arduo, difficile per persone come lui, che pur di girare in libertà sono disposti a denunciare i propri compagni di battaglia.
Costato quattro milioni e trecentomila euro, la produttrice Conchita Airoldi ha dovuto faticare non poco per trovare i finanziamenti per un film così complicato e pessimista. Inizialmente ha sottoposto la sceneggiatura ad una produzione francese, la Wild Bunch, che subito ha voluto partecipare al progetto e di conseguenza è venuta la RAI e la Mikado.
Quello che ci mostra il regista milanese è la discesa di Giorgio all’inferno. Un inferno fatto di poliziotti corrotti, locali per spogliarelliste, papponi, ricattatori, mafia e cocaina. In tutto questo l’ex terrorista non può che sguazzarci, lui che è stato capace di fare la spia e di uccidere il suo migliore amico a sangue freddo, con una pallottola dietro la schiena.
Entrando in questo pericoloso gioco per Giorgio il passato è ormai una sorta di maledizione. Non è un problema politico ma un impaccio, un ostacolo per la sua nuova vita; infatti, solamente compiendo altri omicidi e continuando a percorrere quel circolo vizioso potrà alla fine sbarazzarsene come un inutile peso.
Soavi, proveniente dai film horror di serie B, cerca di adattare i particolari deliri che delineano quel genere al racconto di Carlotto, mostrando così la nuova vita di Giorgio come una sorta di incubo e non una via verso la redenzione. Con questa ottica del tutto personale riesce ad equilibrare in maniera egregia sia il lato sociale (o storico) con quello personale ed intimo, facendo di Giorgio un emblema ambiguo ed inquietante dei tempi in cui viviamo. [-]
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“Insieme a te non ci sto più, guardo le nuvole lassù /Cercavo in te la tenerezza che non ho/La comprensione che non so trovare in questo mondo stupido… Quella persona non sei tu, quella persona non sei più/Finisce qua, chi se ne va che male fa… Insieme a te non ci sto più, guardo le nuvole lassù/E quando andrò devi sorridermi se puoi/Non sarà facile, ma sai, si muore un po’ per poter vivere”
Arrivederci Amore, Ciao (il cui vero titolo, però meno usato, è Insieme a te non ci sto più) è uno struggente brano inciso da Caterina Caselli nel 1968. In alcune strofe di questo bellissimo pezzo è racchiusa in nuce l’anima di un romanzo e di un film prodotti da due artisti della nostra Italia, lo scrittore Massimo Carlotto ed il regista Michele Soavi.
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“Insieme a te non ci sto più, guardo le nuvole lassù /Cercavo in te la tenerezza che non ho/La comprensione che non so trovare in questo mondo stupido… Quella persona non sei tu, quella persona non sei più/Finisce qua, chi se ne va che male fa… Insieme a te non ci sto più, guardo le nuvole lassù/E quando andrò devi sorridermi se puoi/Non sarà facile, ma sai, si muore un po’ per poter vivere”
Arrivederci Amore, Ciao (il cui vero titolo, però meno usato, è Insieme a te non ci sto più) è uno struggente brano inciso da Caterina Caselli nel 1968. In alcune strofe di questo bellissimo pezzo è racchiusa in nuce l’anima di un romanzo e di un film prodotti da due artisti della nostra Italia, lo scrittore Massimo Carlotto ed il regista Michele Soavi. Ed è proprio dello splendido noir di Soavi, uscito ben dodici anni dopo il suo film precedente, il famigerato Dellamorte Dellamore, che voglio parlarvi oggi. Arrivederci Amore, Ciao, classe 2006, parte dal romanzo di Carlotto, ma la sceneggiatura è firmata da Soavi stesso, e racchiude in sé tutte la caratteristiche del suo cinema, da Deliria a La Chiesa fino al già citato Dellamorte Dellamore. Il film è un noir cinico e toccante al tempo stesso, dove il desiderio di riabilitazione e riscatto del protagonista sembra sempre sul punto di realizzarsi ma si scontra, purtroppo, contro la realtà di una società corrotta e brutale dalla quale sembra impossibile poter evadere.
Giorgio è un ex terrorista fuggito dall’Italia per evitare l’arresto dopo l’omicidio non volontario di un metronotte, e rifugiatosi in Sud America. Dopo il rientro in patria tenta di ricattare i suoi ex compagni di lotta ma molto presto entrerà nel mirino della Digos, nella figura del viscido vice questore Ferruccio Anedda. Dopo aver passato un periodo in carcere l’uomo decide di collaborare con la polizia e viene scarcerato, tentando più volte di riscattarsi e riprendere uno stile di vita normale, fino ad arrivare ad innamorarsi ed a comprare casa con la fidanzata. Ma le colpe del passato sembrano non volerlo abbandonare e presto si renderà conto che la sua vita non potrà mai essere, come desidera fortemente, normale.
Come lo definisce Soavi stesso, Arrivederci Amore, Ciao è un film sui Vivi Morenti, che arriva dopo quello sui Morti Viventi, appunto Dellamorte Dellamore. Qui non ci sono mostri, per lo meno nel senso paranormale del termine, ma persone vive, tuttavia gravemente ammalate a causa della sudicia e corrotta società in cui vivono. Non è un film politico, ma certamente la vena politica coi suoi strali non ne è assente. Il cast gioca un ruolo fondamentale nella perfetta riuscita dell’opera, insieme all’elegante e incalzante regia di Soavi, che ci fa chiedere ogni volta come sia potuto finire a dirigere filmetti come La Befana vien di notte o una serie più o meno infinita di sceneggiati televisivi. Nei panni di Giorgio, assoluto protagonista dell’opera, e figura decisamente autobiografica dell’autore del romanzo Massimo Carlotto, ex militante di Lotta Continua, troviamo il bell’attore lombardo Alessio Boni, che si cala perfettamente nei difficili panni di un uomo sempre al bivio, continuamente diviso tra i suoi desideri di riscatto e la cruda realtà con la quale si scontra tutti i giorni, cinico e spietato ma anche dolce e romantico, perennemente sospeso in una condizione onirica che lo trascina fuori dalla tanto odiata quotidianità. Il suo personaggio ci lascia continuamente allibiti per le brusche virate, i cambiamenti, la violenza improvvisa e talvolta eccessiva ed immotivata, la convivenza perenne con le bugie, le scuse, le fughe. La sua è una vita vissuta nel rischio, sempre sull’orlo di un baratro senza fondo, nel quale però, come un esperto funambolo, sembra riuscire a non cadere mai. Intorno a lui si muovono poi tutte le altre belle figure di questo affresco malato e corrotto della società dei bassifondi, della droga, della prostituzione, della corruzione. Primo fra tutti il vice questore Anedda, interpretato da Michele Placido, che, come sappiamo, si trova perfettamente a suo agio in questi ruoli: per dar vita a questo subdolo personaggio dalle due facce contrapposte Soavi si è ispirato a quello interpretato da Harvey Keitel nel noir di Abel Ferrara del 1992 Il Cattivo Tenente. Anedda,millantatore dell’ordine e della giustizia, non ha invece problemi ad uccidere, rubare e tradire chi ha accanto, tanto che tra lui ed il fuorilegge Giorgio Pellegrini alla fine si prova più empatia per quest’ultimo, nonostante le azioni orribili da lui compiute. Poi ci sono le due donne della vita di Giorgio: Flora, Isabella Ferrari, di cui lui si invaghisce e tenta di averla con la forza, e Roberta, la rumena Alina Nedelea, il personaggio più dolce, candido ed immacolato di tutto il film, che ci regalerà un finale che non può non entrare direttamente nelle viscere devastandoci il cuore. In alcuni ruoli minori ma decisamente significativi troviamo l’Arcano Incantatore di Pupi Avati Carlo Cecchi, Antonello Fassari ed il bravo attore teatrale napoletano Riccardo Zinna, nei panni del malavitoso detto, appunto, il Vesuviano.
Arrivederci Amore, Ciao è un film che fa male, che entra dentro e divide, strazia, come, si capisce, è straziato il personaggio di Alessio Boni, che cerca inutilmente un riscatto, una riabilitazione, dai quali si allontana invece, suo malgrado, sempre di più. La scena finale sotto la pioggia scrosciante, in cui tutti hanno l’ombrello tranne lui, Giorgio, simboleggia una sorta di purificazione simbolica a cui l’uomo si sottopone volontariamente nella speranza di riuscire finalmente a lavare via il suo ingombrante e doloroso passato per rinascere a vita nuova, anche se la sua espressione di pura sofferenza ci fa capire quanto sia ormai disilluso. Boni tocca apici sopraffini in questa parte, è riuscito ad immedesimarsi così tanto ed a dare un’anima così viva e potente al suo personaggio da lasciare sbigottito lo stesso Soavi, che lo confesserà in più di un’intervista. Più un poliziesco/noir che un thriller, il film è comunque ampiamente consigliato anche a coloro che cercano il mistero da risolvere, perché di bugie e insidiose trappole nascoste anche qui ce ne sono non poche.
Strepitosa, e sicuramente da segnalare, la colonna sonora, che include brani epici quali She drives me crazy dei Fine Young Cannibals, Smoke on the Water dei Deep Purple, Shout dei Tears for Fears e La Notte di Salvatore Adamo, oltre al pezzo di Caterina Caselli da cui il film prende il titolo, ripetuto più volte in alcune delle scene più significative e toccanti del film, quasi come un mantra. Quando le note di questa canzone partono si capisce che sta per succedere qualcosa di poco buono, ed addirittura lo stesso Giorgio sembra non ascoltarla volentieri, nonostante sia molto amata invece da Roberta. Nel film ritroviamo anche in maniera preponderante il simbolo del crocifisso, che Soavi aveva già mostrato di gradire ne La Chiesa. Anche qui, come nel secondo horror del maestro milanese, in una delle scene più oniriche e deliranti la croce sprofonderà, si perderà, affonderà in un qualcosa che non si sa cosa sia, ma che senz’altro non sta a simboleggiare nulla di buono. Lì c’erano i demoni, qui c’è un uomo, ma che con quei demoni ha diverse affinità, anche se, forse, non nel profondo del suo cuore.
Prodotto da Rai Cinema, Arrivederci Amore, Ciao vanta nella crew diversi nomi interessanti tra cui ricordiamo quello del costumista vincitore di due David di Donatello e due volte candidato allOscar Maurizio Millenotti, che, oltre ad aver lavorato con registi quali Federico Fellini e Franco Zeffirelli aveva già collaborato con Soavi in Dellamorte Dellamore e dell’effettista Sergio Stivaletti, storico collaboratore di Dario Argento e Lamberto Bava ma che anche con Soavi aveva lavorato assiduamente da La Chiesa in avanti. Le location del film sono collocate per la maggior parte nel Lazio, tra Roma e Latina, ma vi è qualcosa anche a Parigi (la casa di Sergio, ex terrorista compagno di Giorgio interpretato da Antonello Fassari) e Milano (il carcere dove viene imprigionato Giorgio all’inizio). La sceneggiatura in sé non è certo il punto di forza della storia, soprattutto, quello che conta, è il ritmo serrato, il susseguirsi dei fatti come un cataclisma che ingloba in sé il povero Giorgio e non gli dà alcuna possibilità di scampo: più che allo svolgersi lineare della storia, Soavi si dimostra quindi interessato a mostrare il flusso di coscienza del suo protagonista, passando dal reale all’onirico, dal presente ai flashback del passato, senza alcuna soluzione di continuità. Lo stile elegante e simmetrico di Soavi è incontestabile, fin dal primo piano sequenza iniziale che segue le spoglie di un coccodrillo defunto nelle acque di un fiume in Sudamerica e ricalca perfettamente l’inizio del romanzo di Carlotto. Nonostante i virtuosismi a cui il regista ama piegare la sua mdp, questo neo-noir italiano si dimostra comunque duro, sanguigno, marcio e cattivo al punto giusto, e con le giuste citazioni, come quelle al suo proprio cinema, ma anche ai grandi nomi italiani (Mario Bava viene citato pedissequamente nella scena in cui Roberta è distesa sul letto e viene ripresa dall’alto coi capelli fluttuanti, esattamente come lui aveva fatto con Daria Nicolodi nel suo testamento spirituale Shock) o internazionali, come, tra tutti, il già citato Abel Ferrara de Il Cattivo Tenente. La scena della mosca, poi, che vortica fastidiosamente all’interno del tribunale dove viene giudicato Giorgio, pare un bell’omaggio alla scena leggendaria dei corvi in Opera del Maestro Argento, al quale, si sa, Soavi è sempre stato molto legato artisticamente. Sotto certi aspetti questa pellicola sembra sia stata fonte d’ispirazione per Sergio Stivaletti nel suo Rabbia Furiosa – Er Canaro (2018), che a tratti ne riprende determinate suggestioni ed inquadrature, ed anche alcune peculiarità e caratteristiche del protagonista.
Per alcuni Arrivederci Amore, Ciao è il canto del cigno del cinema di Michele Soavi che poi si è abbandonato al business delle fiction televisive, ma io ed il mio piccolo Calcifer continuiamo a sperare che prima o poi il Maestro ci stupirà ancora, affilando le lame e regalandoci un nuovo gioiello da conservare, insieme a questo, in cineteca e nel cuore.
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[+] lascia un commento a monfardini ilaria »[ - ] lascia un commento a monfardini ilaria »
Un film parzialmente riuscito, quello di Michele Soavi. Il personaggio principale è un caimano che tutto domina e tutto calpesta, purtroppo non egregiamente interpretato dal bell'Alessio Boni, forse non adatto a un ruolo così nero.
Per il resto questo film è un'occasione sprecata per parlare del terrorismo italiano, dei risvolti politici, ecc.
Rimane un buon film d'azione.
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Arrivederci hitchcock davvero, perchè l'angoscioso finale fatto di latti avvelenati ammicca falsamente a quelle atmosfere di di un cinema coinvolgente senza essere essere inutilmente crudele. Ma al di là di un'agonia troppo lunga, che a ben vedere inizia quasi a un quarto dalla fine del film, delude la superficialità con la quale si descrive la banalità della violenza, ma anche il compiacimento pretenzioso di molte inquadrature che da sole non fanno cinema, figurarsi quello di qualità. per quanto alessio boni abbia indubbiamente il physique du role, per quanto placido sia un divertente anche in un ruolo non particolarmente originale, nel film c'è poco da salvare. troppi episodi si accumulano, troppo rimane di non spiegato, e non basta lo straniante effetto prodotto dalla bellissima colonna sonora a far uscire soddisfatti dalla sala: si esce semmai con un inutile senso di angoscia.
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Arrivederci hitchcock davvero, perchè l'angoscioso finale fatto di latti avvelenati ammicca falsamente a quelle atmosfere di di un cinema coinvolgente senza essere essere inutilmente crudele. Ma al di là di un'agonia troppo lunga, che a ben vedere inizia quasi a un quarto dalla fine del film, delude la superficialità con la quale si descrive la banalità della violenza, ma anche il compiacimento pretenzioso di molte inquadrature che da sole non fanno cinema, figurarsi quello di qualità. per quanto alessio boni abbia indubbiamente il physique du role, per quanto placido sia un divertente anche in un ruolo non particolarmente originale, nel film c'è poco da salvare. troppi episodi si accumulano, troppo rimane di non spiegato, e non basta lo straniante effetto prodotto dalla bellissima colonna sonora a far uscire soddisfatti dalla sala: si esce semmai con un inutile senso di angoscia.
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[+] hitchcook non scherziamo (di kaisersose)[ - ] hitchcook non scherziamo
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difficile trovare un film piu' sgradevole, brutta l'idea del personaggio, cosi' irrimediabilmente tarato (ma chi l ha detto che saranno proprio cosi' gli ex terroristi?), che annienta con sua ottusa determinazione anche l'aspettativa di un qulunque colpo di scena,( delitti e cattiverie risultano annunciate), troppo spinti i personaggi, talmente caricati da risultare inverosimili. Cosi' resta da sperare che il libro sia qualcosa di meglio, anche se l idea di fondo che traspare getta fango su una realta' disperata della nostra storia, ma non necessariamente cosi' moralmente vergognosa. La cosa piu' triste e' che certe idee vengano ritenute tanto 'culturalmente valide' da indurre la Rai a produrne un film.
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difficile trovare un film piu' sgradevole, brutta l'idea del personaggio, cosi' irrimediabilmente tarato (ma chi l ha detto che saranno proprio cosi' gli ex terroristi?), che annienta con sua ottusa determinazione anche l'aspettativa di un qulunque colpo di scena,( delitti e cattiverie risultano annunciate), troppo spinti i personaggi, talmente caricati da risultare inverosimili. Cosi' resta da sperare che il libro sia qualcosa di meglio, anche se l idea di fondo che traspare getta fango su una realta' disperata della nostra storia, ma non necessariamente cosi' moralmente vergognosa. La cosa piu' triste e' che certe idee vengano ritenute tanto 'culturalmente valide' da indurre la Rai a produrne un film...Mi vergogno per tutti i giovani sceneggiatori, registi, di talento, che non godono di tali favori. Usiamo il cinema come arte, non la violenza come 'fonte di incassi'!
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