theophilus
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martedì 26 novembre 2013
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il grande iato fra dio e l'uomo
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DIE GROßE STILLE
Il giudizio critico relativo a Die große stille, Il grande silenzio (Philip Gröning, Germania, 2005) rischia fortemente una deriva moralistica, che si cercherà in tutte le maniere di limitare e, se possibile, evitare completamente.
Presentato a Venezia 2005, a Toronto, a Rotterdam, premiato al Sundance Film Festival e alla Berlinale 2006... Quanto già di coerente c’è in questo pedigree con un mondo inespugnabile e ora documentato, con l’astrazione pura paradossalmente fatta di cose semplici e concrete situata di fronte ad un palcoscenico potenzialmente universale, con la ricerca prettamente personale di Dio – guidata, beninteso, da un assoluto percorso ascetico- individuata dall’occhio globalizzante di una pur rigorosa cinepresa?
Queste domande confluiscono sinteticamente in due principali perché.
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DIE GROßE STILLE
Il giudizio critico relativo a Die große stille, Il grande silenzio (Philip Gröning, Germania, 2005) rischia fortemente una deriva moralistica, che si cercherà in tutte le maniere di limitare e, se possibile, evitare completamente.
Presentato a Venezia 2005, a Toronto, a Rotterdam, premiato al Sundance Film Festival e alla Berlinale 2006... Quanto già di coerente c’è in questo pedigree con un mondo inespugnabile e ora documentato, con l’astrazione pura paradossalmente fatta di cose semplici e concrete situata di fronte ad un palcoscenico potenzialmente universale, con la ricerca prettamente personale di Dio – guidata, beninteso, da un assoluto percorso ascetico- individuata dall’occhio globalizzante di una pur rigorosa cinepresa?
Queste domande confluiscono sinteticamente in due principali perché. Dal punto di vista cinematografico, perché il regista ha voluto girare questo documentario? Da quello dei frati certosiniche vivono nel monastero della Grande Chartreuse, presso Grenoble, nelle Alpi francesi, perché hanno consentito a farlo girare?
Che cosa ha portato a maturazione, sedici anni dopo, quei tempi che nel 1984 erano stati ritenuti non ancora pronti dai religiosi, che si erano opposti alla richiesta del regista tedesco?
Le immagini del film dovrebbero esprimere il viatico ed essere la spiegazione del perché di quella scelta di vita. Visioni immobili, fermate in un tempo astorico e che ritornano incessantemente, suggerite dalla cinepresa fissa sulla vallata a testimoniare rapidamente il lento ma incessante avvicendarsi delle ore, senza che nulla muti se non la presenza della luce e il fantasticare delle nuvole. Camere vuote, scabre, che non hanno niente di punitivo, non appaiono prigioni, ma eremi. Lunghi corridoi percorsi dai frati chi con passo veloce, possente, sicuro, chi con incedere lento, meditativo, assorto. Le stagioni che s’inseguono. La vita sempre uguale, segnata dalla liturgia, da espressioni di una fede che è sorretta da un’impenetrabile, intimo colloquio con la divinità. Frasi evangeliche che ricorrono in sovrimpressione a scolpire quella vita, già testimoniata dalle immagini. Ritorna più di ogni altro l’ammonimento di Cristo a lasciare ogni ricchezza, per poter essere considerati suoi discepoli. Simboli di un’esistenza reale che trascorre all’insegna di un incontro personale ed incessante con il grande mistero dell’uomo, ma anche in un lavoro semplice, continuo, al servizio degli altri: la preparazione del cibo, seminare, ripulire gli orti dalla neve, rasare le teste dei confratelli, tagliare e cucire la tela per foggiare nuovi sai, riparare calzature.
Ma, soprattutto, prima ancora delle immagini, è il silenzio che cattura, non artificiale o imposto, bensì condizione necessaria a quell’esistenza. Così avvertiamo lo scricchiolio delle panche o il respiro di voci che stanno per espandersi nel vuoto come un preludiare con l’enigma mistico.
Sorge in noi, spontanea, un’altra domanda. È il bisogno di cercare Dio o quello di sfuggire il mondo a guidare l’esistenza dei frati Certosini? Le due cose sembrano nutrirsi l’una dell’altra. Quella vita preserva i religiosi dalla falsa vita, ne sono difesi, non la disprezzano ma la temono come evidente ostacolo sul loro cammino di ricerca inestinguibile.
Continuiamo ad interrogarci sul perché di questa contaminazione e l’eventuale risposta di un desiderio di fare proseliti non ci soddisfa. Una sola possibile reale chiamata supponiamo che sarebbe controbilanciata da un numero imprecisato di avventure radical chic, di chi si bei nella ricerca di una vacanza diversa, all’insegna del brivido dell’autoflagellazione. Philip Gröning che cos’ha fatto, poi, se non incasellare nell’immenso schedario cinematografico questa ulteriore tessera, che sarà presto dimenticata, omologata insieme alle altre, un po’ come l’arca ritrovata da Indiana Jones che alla fine del film I predatori dell’arca perduta (1981, Steven Spielberg) viene infilata in mezzo a mille altri reperti, con un semplice numero di protocollo? Forse un’inutile e blasfema violenza, non redenta dal rigore professionale.
La cinepresa di tanto in tanto si sofferma per alcuni secondi sul viso dei singoli frati, tre per volta, in sei successivi momenti. Sguardi sereni, ma anche fieri, oppure ingenui. La ripetitività dei gesti quotidiani non incide negativamente sul loro spirito come la routine che addormenta e riduce la durata del vivere secolare, ma sembra rafforzare la loro certezza di avvicinarsi alla meta.
Ancora, la preghiera, il tirare la corda per fare risuonare le campane - forse ad annunciare che si è raggiunta o conquistata una conoscenza o una nuova serenità interiore -, il calpestare gli stessi anditi, il meditare nelle proprie camere.
Ci sono, poi, i momenti comuni. Il pasto conviviale, solo la domenica, i canti liturgici, le camminate settimanali fuori dal convento per ritemprare o mortificare lo spirito. È un documentario, ma a volte sembra fiction. Qualche frate non può fare a meno di accorgersi della presenza della cinepresa e, allora, il regista può dare l’impressione di avere operato in certi momenti con la cinepresa nascosta, una sorta di candid camera. Quelle brevissime digressioni vengono così ricucite e ricondotte al semplice rigore che allontana nello spettatore il sospetto di un irrigidimento innaturale o di un atteggiarsi da parte dei frati. Viene anche filmato il momento dell’accoglimento di due nuovi fratelli che avranno il tempo e il modo di confermare o meno la loro decisione, così come saranno esaminati dagli altri che giudicheranno la loro idoneità a quell’esistenza.
Abbiamo rilevato tre piccoli contatti col mondo esterno, che forse rendono un po’ meno tetragona l’autarchia dei frati certosini: una mela con un bollino, una bottiglia di plastica contenente acqua minerale, un frate che calza scarpe da ginnastica. Momenti di dubbia interpretazione.
Alla fine permane un senso di smarrimento e soprattutto le domande iniziali restano senza risposta. A che cosa tende quella violazione? Che cosa vuole dimostrare? C’è del compiacimento estetico e una punta di edonismo nel mostrare quel mondo ieratico, chiuso, inaccessibile (ma che, proprio grazie al documentario, tale non è più)?
C’è anche un terzo importante perché. Perché pubblico e critica hanno decretato il successo di Die große stille? Leggiamo, infatti, che in Germania, nei primi dieci giorni di uscita del film solo in 9 copie, lo stesso è stato visto da 25mila spettatori. È un vero bisogno di purezza o una sorta di autocertificazione di buona condotta, un lasciapassare per l’anima o un accomodante accatastare in un punto della memoria il dato che esiste anche quel mondo, per poi non precludersi la possibilità di andarlo a visitare?
Ad un tratto la cinepresa si sofferma sulle gocce di pioggia che creano un vorticoso movimento di cerchi concentrici all’interno di una pozzanghera. Forse il senso del film sta proprio lì: quel silenzio e quella fissità esteriore soli possono consentire un allargamento del pensiero verso una ricerca inesauribile di Dio. Una sublime utopia o una grande illusione?
Enzo Vignoli,
24 aprile 2006.
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filippo catani
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venerdì 22 novembre 2013
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una comunità in silenzio
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Il film ricostruisce la vita dei monaci certosini della Grande Chartreuse.
Usare tante parole per un film dove se ne sentono pochissime è quasi fare una violenza alla pellicola per cui sarò breve. Il mio consiglio è questo: vista la mole della pellicola e il tema trattato sarebbe bene guardarne circa 20-25 minuti al giorno. Così facendo non solo si apprezza in pieno la vita silenziosa di questi monaci ma soprattutto si può assistere al vagare della nostra mente ormai non più abituata a ritirarsi nel silenzio. In un mondo dove sembra impossibile vivere senza una qualche forma di interconnessione (facebook, twitter ecc) è veramente stupendo vedere come questo manipolo di uomini passi la propria esistenza lavorando in silenzio e pregando per andare alla ricerca di Dio.
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Il film ricostruisce la vita dei monaci certosini della Grande Chartreuse.
Usare tante parole per un film dove se ne sentono pochissime è quasi fare una violenza alla pellicola per cui sarò breve. Il mio consiglio è questo: vista la mole della pellicola e il tema trattato sarebbe bene guardarne circa 20-25 minuti al giorno. Così facendo non solo si apprezza in pieno la vita silenziosa di questi monaci ma soprattutto si può assistere al vagare della nostra mente ormai non più abituata a ritirarsi nel silenzio. In un mondo dove sembra impossibile vivere senza una qualche forma di interconnessione (facebook, twitter ecc) è veramente stupendo vedere come questo manipolo di uomini passi la propria esistenza lavorando in silenzio e pregando per andare alla ricerca di Dio. Una volta a settimana però questi uomini si trovano a parlare, ridere e a volte scherzare (bellissima la scena finale a questo proposito). Complimenti anche al coraggio e alla pazienza di Groning che non solo ci propone un film tosto da seguire ma è stato anche bravo ad aspettare oltre 15v affinché i monaci potessero dare l'autorizzazione alle riprese. Un film da vedere anche per prendere coscienza di una incredibile esperienza quale è quella del monachesimo.
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onufrio
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lunedì 5 agosto 2013
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la voce del silenzio
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Documentario religioso che testimonia la vita privata dei monaci de La grande Chartreuse, sito in Grenoble ,tra le alpi francesi. La durata del film, ben due ore e quaranta, mette in allarme lo spettatore, ma una volta immersi nella routine del monastero il tempo scorre tra le sue consuete abitudini accompagnato da un silenzio che una volta tanto aiuta a riflettere e far pace con se stessi. Certo, qualche commento, magari anche scritto non avrebbe fatto poi tanto male, ma appunto per questo il film rimane un opera a se particolare, ma ripetibile.
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critichetti
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sabato 1 settembre 2012
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tosto,ma bello
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Che dire...è un film che va capito...in molti dicono che fa schifo perchè non c'è sceneggiatura nè ci sono dialoghi.Ma alla fine:è un film che parla della vita(condivisibile o meno,ma pur sempre vita)dei Certosini,la cui regola più importante è quella di mantenere il silenzio.Se uno guarda questo film pensando di vedere una storia in stile "Il nome della rosa" sbaglia alla grande,sopratutto in virtù del fatto che la storia presa dal libro di Eco è un'invenzione,questa è la VERA vita di una congregazione religiosa.Che poi la loro vita possa non essere condivisibile è un discorso totalmente diverso..
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Che dire...è un film che va capito...in molti dicono che fa schifo perchè non c'è sceneggiatura nè ci sono dialoghi.Ma alla fine:è un film che parla della vita(condivisibile o meno,ma pur sempre vita)dei Certosini,la cui regola più importante è quella di mantenere il silenzio.Se uno guarda questo film pensando di vedere una storia in stile "Il nome della rosa" sbaglia alla grande,sopratutto in virtù del fatto che la storia presa dal libro di Eco è un'invenzione,questa è la VERA vita di una congregazione religiosa.Che poi la loro vita possa non essere condivisibile è un discorso totalmente diverso..La visione di questo film,frutto di sei mesi di riprese con un Super8 nella grande certosa vicino a Grenoble,è consigliata a chi vuole provare un'esperienza nuova e,se uno crede,anche un nuovo avvicinamento a Dio,a dimostrazione che anche un film può riuscirci
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bruno leonardini
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mercoledì 10 agosto 2011
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nouvelle vague
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C’è chi ha definito questo film-documentario un capolavoro. E sono perlopiù critici, o cinefili raffinati. Altri lo hanno definito noiosissimo e senza storia, senza nulla di interessante: solo riprese dentro questo convento in cui non c’è nulla di particolare da vedere.
Ecco, io mi metto nel mezzo. Non posso definire capolavoro, questo film documentario, poiché i capolavori sono quelli che mescolano tutta una serie di elementi (musica, dialoghi, contenuti, bellezza delle immagini e tanto altro), capaci di infondere emozioni, stati di animo, sensazioni, percezioni. Capaci di far riflettere, ma capaci anche di far divertire, o spaventare, o semplicemente di far provare interesse nello sviluppo della storia.
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C’è chi ha definito questo film-documentario un capolavoro. E sono perlopiù critici, o cinefili raffinati. Altri lo hanno definito noiosissimo e senza storia, senza nulla di interessante: solo riprese dentro questo convento in cui non c’è nulla di particolare da vedere.
Ecco, io mi metto nel mezzo. Non posso definire capolavoro, questo film documentario, poiché i capolavori sono quelli che mescolano tutta una serie di elementi (musica, dialoghi, contenuti, bellezza delle immagini e tanto altro), capaci di infondere emozioni, stati di animo, sensazioni, percezioni. Capaci di far riflettere, ma capaci anche di far divertire, o spaventare, o semplicemente di far provare interesse nello sviluppo della storia. Il grande silenzio manca molti di questi obiettivi. Li manca perché non ha dialoghi, perché non ha musica. Non per questo significa che il film è insufficiente, però, l’assenza di questi elementi, lo rende monco e non gli fa centrare completamente il risultato, che, deve piacere sia al pubblico che alla critica.
Quello che deve essere premiato, a mio avviso è l’idea. Groning ha un pallino, quello di raccontare la vita di un monastero. Anni prima chiede autorizzazione per accedere e riprendere i monaci di clausura. Il permesso lo ottiene dopo 14 anni e gira questo documentario, quasi al rallentatore. I movimenti dei monaci infatti sono lenti, quasi in moviola. Del resto, la fretta che invade le nostre città, lassù non ha ragione di esistere. Groning compie un lavoro che potrebbe ispirarsi alla Nouvelle Vague, ovvero una telecamera che registra il flusso della vita, così come è. Ma il movimento francese, aveva in più lo sguardo dell’autore, il sapore e i contenuti che il regista (attraverso il montaggio, le musiche e le riprese) riesce ad imprimere al film. Ne Il grande silenzio, manca un punto di vista del regista. Le telecamere registrano solamente il flusso dei movimenti: il risultato è troppo freddo. Sembra quasi una telecamera di controllo che registra passivamente quello che avviene sotto di lei. Un montaggio diverso, con della musica magari, avrebbe dato più enfasi alla pellicola (girata in digitale e quindi non si può nemmeno chiamare pellicola). Ma il regista ha dichiarato che non ha voluto metterci della musica, proprio per non creare un prodotto artefatto, anzi, mi pare che siano stati gli stessi monaci a pretendere un film senza musica e senza correzione del colore, proprio per far vedere la vita così com’è e quindi evitare di essere strumentalizzati. È un film che va visto con una certa pazienza: non è un film classico. Sono 3 ore di immagini senza parole. Occorre dotarsi di una certa predisposizione alla riflessione, che queste immagini riescono a ricreare. È un bene che simili prodotti escano allo scoperto: casomai sono altri i film che non dovrebbero mai comparire sugli schermi cinematografici.
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salvatore scaglia
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domenica 3 gennaio 2010
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una scelta eversiva nella società pluralista
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In un’intervista il regista Philip Gröning (qui pure sceneggiatore, fotografo e montatore) ha dichiarato di aver voluto girare questo film anche per dare l’idea, alla società contemporanea, di un’altra possibilità esistenziale: quella del monaco. Orbene, la perspicacia di tale movente mi è stata confermata proprio in sala, durante la visione della pellicola: infatti, un gruppuscolo di persone, preso sovente da sarcastiche risate, ha deciso durante l’intervallo di rinunciare al secondo tempo. Scelta tanto saggia - il prosieguo della proiezione è trascorso senza altri disturbi (è il caso di dire: in religioso silenzio) - quanto stolta, almeno perché, pagato il biglietto, sarebbe ragionevole assistere all’intero spettacolo.
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In un’intervista il regista Philip Gröning (qui pure sceneggiatore, fotografo e montatore) ha dichiarato di aver voluto girare questo film anche per dare l’idea, alla società contemporanea, di un’altra possibilità esistenziale: quella del monaco. Orbene, la perspicacia di tale movente mi è stata confermata proprio in sala, durante la visione della pellicola: infatti, un gruppuscolo di persone, preso sovente da sarcastiche risate, ha deciso durante l’intervallo di rinunciare al secondo tempo. Scelta tanto saggia - il prosieguo della proiezione è trascorso senza altri disturbi (è il caso di dire: in religioso silenzio) - quanto stolta, almeno perché, pagato il biglietto, sarebbe ragionevole assistere all’intero spettacolo. La circostanza comunque è sintomatica di quanto certi ambienti, come quello monastico, possano essere oggi talmente estranei alla cultura (?) corrente da risultarle addirittura ridicoli.
Il lungometraggio (di 162’) - titolo originale "Die Grösse Stille" -, girato con i frati certosini della Grande Chartreuse nei pressi di Grenoble, in realtà è fiction in un senso singolarissimo: i monaci non recitano; non imitano nessuno, ma svolgono la loro vita quotidiana dinanzi all’occhio discreto della macchina da presa del cineasta tedesco, riuscito - diciannove anni dopo il suo primo incontro con il Priore generale dell'ordine - ad ottenere il permesso di riprendere l’interno di un monastero certosino.
Con tale tatto che, anche nella successiva confezione cinematografica attraverso il montaggio, non è aggiunta alcuna voce fuori campo, alcuna colonna sonora. Unici momenti di minima ‘violazione’, da parte dell’autore, dell’incontaminata ordinarietà monacale sono rappresentati da brevissimi intermezzi contenenti qualche pericope della Sacra scrittura, tra cui: << Tu mi hai sedotto Signore, e io mi sono lasciato sedurre >> (cf. Geremia 20, 7). Il resto è lasciato alla natura (l’alternarsi dei giorni – alba e tramonto – nonché delle stagioni – sole e neve -; i monti in mezzo ai quali il monastero è sapientemente incastonato) e ai religiosi stessi, il cui dinamismo è intessuto sì di viva spiritualità (ricorrenti sono le adunate per l’ufficio comune e per l’Eucarestia; le orazioni nel privato delle celle), ma anche di gesti profani (dalla preparazione dei frugalissimi pasti alla realizzazione del saio per i nuovi confratelli, tra tele, bottoni, ago e filo). A denotare che persino loro, pure questi "separati dal mondo" (questo significa "monakhòs" in greco) necessitano di atti materiali, che non disprezzano (è significativo che anche presso i tavoli da lavoro vi siano delle immagini sacre), ma collocano nella giusta dimensione: tutto è santo, se fatto santamente.
Quest’esistenza silenziosa, dunque, apparentemente ritmata e monocorde, è in realtà rivoluzionaria, controcorrente, in un mondo che si dice pluralista, ma che sovente con inaccettabili e paradossali monismi (i suoi clichés) rigetta, tra manifesti disprezzi e surrettizie ironie, una diversa possibilità, una vocazione: << Tu mi hai sedotto Signore, e io mi sono lasciato sedurre >>.
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laura ragozza
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mercoledì 4 febbraio 2009
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il silenzio parla più delle parole
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difficile dare un commento a un film così grande.
Me lo hanno regalato tre anni fa. Non l'ho nemmeno scartato. Dopo due anni ho provato a guardarlo, è durata due minuti. Ho spento.
Dopo tre anni ho DECISO di guardarlo...
Mi ha conquistata...l'ho guardato per tre giorni (non continuativamente) ma complessivamente per tre volte. Ora ritengo che sia il più bel film che abbia mai visto.
Se sono agitata, depressa, confusa, mi basta pensare ad alcune scene di questo film... e tutto diventa più "soft"..più lontano, e mi sento bene.
E' un film che trasmette più di quello che ha ripreso, che non è solo fotografia (bellissima) .. è una realtà mistica, ma nello stesso tempo semplice. SEMPLICEMENTE GRANDIOSO.
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difficile dare un commento a un film così grande.
Me lo hanno regalato tre anni fa. Non l'ho nemmeno scartato. Dopo due anni ho provato a guardarlo, è durata due minuti. Ho spento.
Dopo tre anni ho DECISO di guardarlo...
Mi ha conquistata...l'ho guardato per tre giorni (non continuativamente) ma complessivamente per tre volte. Ora ritengo che sia il più bel film che abbia mai visto.
Se sono agitata, depressa, confusa, mi basta pensare ad alcune scene di questo film... e tutto diventa più "soft"..più lontano, e mi sento bene.
E' un film che trasmette più di quello che ha ripreso, che non è solo fotografia (bellissima) .. è una realtà mistica, ma nello stesso tempo semplice. SEMPLICEMENTE GRANDIOSO. GRAZIE.
grazie al regista e grazie soprattutto a chi riesce a trasmettere ALTRI valori. GRAZIE
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libo
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venerdì 24 ottobre 2008
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e' una scelta bellissima, per chi ha coraggio.
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L'ho visto due volte questo film e ogni volta vivo quasi una relatà spirituale.Bisogna credere in Abbà, come Gesù chiamava il proprio Padre. Viviamo in un mondo che va alla deriva cogliamo almeno questo film con occhi più buoni.
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nadir
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martedì 30 settembre 2008
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l'essenza vera della vita
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Nulla fa più rumore del silenzio.
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rob
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venerdì 19 settembre 2008
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una schifezza!!!!
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ZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZ
[+] dormire
(di michele palasciano)
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