Questo film è unico per molti aspetti che hanno concorso alla sua realizzazione. Girato per buona parte durante l’occupazione tedesca di Roma, come recita anche la didascalia iniziale, la pellicola doveva costituire un espediente per proteggere tra le tante comparse ebrei e antifascisti.
La pellicola narra delle vicende delle persone malate che si recano a Loreto per chiedere la grazia, assistite dagli accompagnatori e dal personale dell’Unitalsi che, già dagli inizi del Novecento, organizzava i pellegrinaggi.
I riferimenti all’Unitalsi conferiscono realismo alla pellicola che affronta la delicata questione del rapporto tra l’individuo e la propria fede. Mi hanno colpito, per esempio, le condizioni fisiche degli ammalati: questi sono invalidi di guerra o per lavoro, ma non si notano persone affette da patologie congenite, come la sindrome di Down o i disturbi del comportamento. Come mai? La ragione va ricercata nella cultura dell’epoca, che considerava la disabilità come un tabù. Un esempio molto noto è rappresentato dal Presidente degli Stati Uniti dell’epoca, costretto a vivere in carrozzina per aver contratto la poliomielite, la cui infermità non doveva risultare in alcun modo. Anche la fascia nera del lutto esibita da un padre, che vive un rapporto conflittuale con i propri figli, oggi è fuori luogo.
Ho trovato affascinante la cronaca del viaggio, dove trova ampio spazio la descrizione degli stati d’animo angosciosi dei vari personaggi.
La scarsa diffusione del film probabilmente è dovuta all’episodio della pistola, ispirato ad un fatto realmente accaduto: un giovane di famiglia agiata, costretto a vivere in carrozzina a causa di una grave forma di artrite, tale Giovanni Battista Tomassi, ateo, si recò in pellegrinaggio a Lourdes con un treno bianco con l’intento di spararsi davanti alla grotta miracolosa. Nel tormentato viaggio, effettuato nel lontano 1903, Tomassi decise di non dare seguito al suo scellerato progetto di suicidio e parlò della sua esperienza al Direttore spirituale del pellegrinaggio, l’allora vescovo di Bergamo, Mons. Radini Tedeschi, il cui segretario era tale don Angelo Roncalli. Dall’incontro tra Tomassi e il vescovo nacque l’Associazione UNITALSI. Quanto a Roncalli, sarebbe poi divenuto Papa con il nome di Giovanni XXIII, ma questa è un’altra storia, anche se, per certi versi, il rapido cenno agli eventi futuri conferisce alla pellicola una connotazione profetica. Dovremmo allora chiamare in ballo il concetto di mistero, ma è un argomento che al momento non voglio affrontare. Mi limito a ricordare con commozione l’indimenticabile immagine del ragazzino in sedia a rotelle che vorrebbe fare il bigliettaio e sogna una carrozzina a motore, ancora non inventata.
In conclusione, il film è incentrato sulla speranza, ma non ha avuto il successo che avrebbe meritato. I film che fanno riferimento al suicidio erano destinati ad essere un flop al botteghino e a un prematuro ritiro dalla circolazione. Potrei citare diversi esempi illustri. Nel caso specifico, il tema della speranza si associa a quello della sofferenza, un ingrediente che contribuisce a spiegare il mancato successo della pellicola.
In conclusione, il film è un capolavoro a tutti gli effetti, una sorta di eredità per le future generazioni.
Il viaggio dei pellegrini dalla stazione di Salerno (sede del Governo dell’Italia Liberata) al Santuario della Beata Vergine di Loreto prosegue senza sosta nell’animo degli individui e nelle pieghe della Storia.
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