m.d.c
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giovedì 29 settembre 2011
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antonioni:idee e non solo alienazione
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Volti, superfici, silenzi e, secondo i detrattori, un'aura di glaciale e nobilissima noia. Ma, nonostante i tentativi di imbrigliarli, i film di Antonioni sfuggono incontrollati alle definizioni e forse, proprio per questa ragione, ne hanno ricevute innumerevoli: alienazione, incomunicabilità, estetica del disincanto... Se il vuoto, un'assenza opprimente che si dilata in modo minaccioso, ha un peso evidente nelle storie(e non solo nelle immagini) del regista lo hanno altrettanto le idee, le intuizioni di un osservatore che con una sensibilità fuori dal comune è in grado di registrare le contraddizioni della modernità, proiettandole in un futuro imprecisato. E' il caso de l'Eclisse,anno 1962, ma potrebbe essere(perchè no?)il prossimo 2012.
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Volti, superfici, silenzi e, secondo i detrattori, un'aura di glaciale e nobilissima noia. Ma, nonostante i tentativi di imbrigliarli, i film di Antonioni sfuggono incontrollati alle definizioni e forse, proprio per questa ragione, ne hanno ricevute innumerevoli: alienazione, incomunicabilità, estetica del disincanto... Se il vuoto, un'assenza opprimente che si dilata in modo minaccioso, ha un peso evidente nelle storie(e non solo nelle immagini) del regista lo hanno altrettanto le idee, le intuizioni di un osservatore che con una sensibilità fuori dal comune è in grado di registrare le contraddizioni della modernità, proiettandole in un futuro imprecisato. E' il caso de l'Eclisse,anno 1962, ma potrebbe essere(perchè no?)il prossimo 2012. Il contrasto tra sentimenti precari e denaro, vera forza motrice delle azioni, conduce ad una dissoluzione dell'individuo che sembra combaciare alla perfezione con la nostra epoca.L'apertura de l'Eclisse è su Vittoria/Monica Vitti che, all'alba, si separa dal fidanzato letterato Francisco Rabal. In cerca della madre per raccontarle tutto, la protagonista finisce col non dire niente per la disattenzione della donna assorbita dalle oscillazioni della borsa. Attirata da un giovane speculatore, un Alain Delon tutto scatti e gesti(che conducono dove?), Vittoria cede alle sbrigative lusinghe dell'uomo, solo in apparenza meno problematico del precedente, intrecciando con lui una breve relazione che non condurrà da nessuna parte. Se si è troppo simili non ci si capisce più ma anche se si è troppo diversi le differenze, inesorabili, vengono a galla. Lungo la narrazione Antonioni, con i suoi valenti sceneggiatori, semina tracce, spunti e trovate folgoranti:la vicina di casa nativa del Kenya prigioniera in un appartamento che, come una macchina del tempo, proietta un segmento del continente africano nello scenario lunare dell'Eur(se di africa si parla molto oggigiorno allora Antonioni è stato uno dei primi a farlo), la danza tribale di Vittoria mascherata da indigena(un tocco di macabro umorismo), il momento del crollo in borsa con la Vitti che segue uno sconosciuto, che ha perduto una cifra consistente, cercando di decifrare le sue reazioni senza riuscire davvero a comprenderle. La morte di un ubriaco a bordo dell'auto sottratta al vanesio Delon che si limita a lamentarsi per i danni alla carrozzeria. Segni, trovate che con il vertiginoso finale compongono il quadro di un mondo indecifrabile, allo sbando e sul punto di collassare(è solo questione di tempo?). Su tutte, una battuta in particolare, per la sua attualità, da i brividi: "Ecco cosa fa davvero paura a mia madre, la miseria", dice Vittoria. "Quella fa paura a tutti", si limita a sentenziare il superficiale Piero/Delon. Miseria non solo materiale ma soprattutto morale, è davvero questo il destino dell'uomo? Antonioni come tutti i cineasti di rango si limita a esprimere dubbi, a sollevare interrogativi incorniciandoli in immagini di vertiginosa bellezza. Il messaggio de l'Eclisse, che sembra lanciato da una radio dimenticata che continua a trasmettere da un avamposto sperduto,è suggerito attraverso idee folgoranti che mostrano il vero volto di una società che smarrita la sua umanità si avvia su una pericolosa china autodistruttiva. E in questo scenario anche i sentimenti, ammesso che siano abbastanza forti, non possono nulla. Matteo De Chiara
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fedeleto
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mercoledì 6 novembre 2013
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l'eclisse del sentimento
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Vittoria rompe con il suo fidanzato Riccardo,decisa cosi ora a vivere un'altra vita conosce un uomo che gioca in borsa e aiuta la madre in questo campo.Avranno un'attrazione,ma quando un giorno si daranno un'appuntamento nessuno dei due verra'.Antonioni dirige uno dei suoi capolavori,incentrato tematicamente ancora una volta sull'incomunicabilita'.Se LA NOTTE finiva all'alba,L'ECLISSE inziia all'alba,Vittoria che nella prima scena lascia Riccardo e' decisamente una scena da antologia.Vittoria infatti gira nella stanza senza star ferma tocca oggetti(una cornice,il divano,la tenda) sembra che la sua stabilita' non vi sia piu',non c'e' sicurezza ne chiarezza.
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Vittoria rompe con il suo fidanzato Riccardo,decisa cosi ora a vivere un'altra vita conosce un uomo che gioca in borsa e aiuta la madre in questo campo.Avranno un'attrazione,ma quando un giorno si daranno un'appuntamento nessuno dei due verra'.Antonioni dirige uno dei suoi capolavori,incentrato tematicamente ancora una volta sull'incomunicabilita'.Se LA NOTTE finiva all'alba,L'ECLISSE inziia all'alba,Vittoria che nella prima scena lascia Riccardo e' decisamente una scena da antologia.Vittoria infatti gira nella stanza senza star ferma tocca oggetti(una cornice,il divano,la tenda) sembra che la sua stabilita' non vi sia piu',non c'e' sicurezza ne chiarezza.Riccardo impotente accetta la decisione della donna disteso su un divano immobile al contrario di lei ,poiche' lei non vuole appoggi o sicurezze al contrario di lei che invece arriva a togliere la tenda e mostrare la spettralita' di un paesaggio che e' quello dell'acquedotto dell'eur,anch'esso vuoto come Vittoria,che non sa cosa se lo ama o non lo vuol sposare.La scena metaforicamente simboleggia ancora una volta l'incomunicabilita' di due personaggi prigionieri nella confusione dei sentimenti Notevole rimane anche la scena della borsa,dove Vittoria vi si reca per vedere la madre,donna vedova che trova nel denaro una sicurezza,Piero invece e' il ragazzo che lavora ininterrottamente ,che non puo' star fermo e che deve far si di guadagnar sempre ,Antonioni ci immerge nel mondo della borsa e lo fa in stile quasi documentaristico,ma la confusione che alberga nel settore e' un esempio di come l'economia,il materialismo o meglio il capitalismo sia un vero scannatoio di persone che perdono o guadagnano milioni.Ma la curiosita' in questa scena e' anche un'altra,prima nel film regnava il silenzio poiche' i sentimenti erano confusi,ora vi e' baccano e confusione proprio perche' il materialismo al contrario della spiritualita' e' confusione vera.Vittoria inoltre poco dopo a fine serata si trova a casa di un'amica che viene dal Kenya,in un clima decisamente selvaggio,in mezzo a molti oggetti che ricordano l'africa ,Vittoria arriva a travestirsi da nera africana,inizia una danza tribale ,essa e' preda di una liberta',di una nuova identita'.Si passa poco dopo ad una scena che esprime la comunicabilita' del suono(come in l'avventura le campane che rispondevano al suono),la ragazza e' colpita dal suono di alcune aste di metallo,un rumore leggero,ma pur sempre una comunicazione,debole ma regolare e calma,lontano anni luce da quella confusione della borsa dove si reca il giorno dopo.La ragazza inoltre segue un uomo che ha perso alla borsa incuriosita',per lei acquista tutto un nuovo significato,c'e' purezza in lei ,c''e' dubbio e dunque vita,una sorta di alice nel paese delle meraviglie che si emoziona se vede delle nuvole.Ma i sentimenti sono confusionari e difficili.Nel momento in cui conosce Piero e lo frequenta ne e' attratta ma ancora una volta dubbiosa ,il ragazzo non manca di cinismo,(soprattutto la scena in cui muore un ragazzo con la sua macchina e lui si scoccia che si e' rovinata la carrozzeria),ma i due nonostante tutto passano le notti insieme.Arrivera' il momento di darsi un'appuntamento,il luogo dove si sono fermati e baciati,Vittoria lascio' una scheggia di legno in un barile e Piero una scatola di fiammiferi,non arrivera' nessuno dei due perche' capiscono che qualcosa non funziona,Piero non risponde piu' al telefono,lui che non stava fermo un attimo,che un silenzio valeva miliardi,ebbene forse capisce che innamorasi lo portera' a questo.Vittoria scende le scale e guarda su,una metafora di come i due siano su piani differenti.Ma i protagonisti finali rimangono gli oggetti del luogo dell'appuntamento che non avverra' mai,i luoghi conservano la memoria di quello che e' stato ,ma ora sono loro che dominano la scena,e un titolo minaccioso di gara atomica si legge sul giornale,forse e' prossima una catastrofe?un mondo senza dubbio inquinato da questo squallido massacro del capitalismo,forse sta arrivando qualcosa che distruggera' e inaridira' i sentimenti dell'uomo oramai privato della consapevolezza di saper amare.Un capolavoro come pochi.La sceneggiatura di Antonioni e Guerra e la collaborazione di Ottieri e Bartolini funziona,criticato molto per la sua sconnessione,ma in realta' l'unica sconnessione che esiste e' quella dei sentimenti,un mondo dove non si sa piu' nulla del futuro,e delle emozioni,Gianni di Venanzo sempre magistrale e ottimo il montaggio di Eraldo Da Roma.Monica Vitti straordinaria nella sua fragilita' del personaggio,Delon cinico come non mai.Antonioni poeta indiscusso che esprime il disagio dell'uomo in immagini che rimangono indelebilmente nella mente dello spettatore.
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greatsteven
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lunedì 10 settembre 2018
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come un'eclisse che oscura la luce dell'anima.
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L'ECLISSE (IT/FR, 1962) di MICHELANGELO ANTONIONI. Con ALAIN DELON, MONICA VITTI, ROSSANA RORY, LILLA BRIGNONE, FRANCISCO RABAL
La relazione tra Riccardo e Vittoria, coppia benestante della borghesia romana, è messa in crisi dalla reticenza di lei, donna sfuggente e malinconica, al matrimonio, finché non s’arriva alla rottura definitiva dove non ci si può più né vedere di persona né telefonarsi a vicenda. Lasciando il fidanzato in un incerto sconforto, Vittoria reincontra la madre che è andata a giocare titoli di Stato in borsa, e là conosce Piero, speculatore finanziario rovinato economicamente dopo che le sue azioni han perduto valore.
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L'ECLISSE (IT/FR, 1962) di MICHELANGELO ANTONIONI. Con ALAIN DELON, MONICA VITTI, ROSSANA RORY, LILLA BRIGNONE, FRANCISCO RABAL
La relazione tra Riccardo e Vittoria, coppia benestante della borghesia romana, è messa in crisi dalla reticenza di lei, donna sfuggente e malinconica, al matrimonio, finché non s’arriva alla rottura definitiva dove non ci si può più né vedere di persona né telefonarsi a vicenda. Lasciando il fidanzato in un incerto sconforto, Vittoria reincontra la madre che è andata a giocare titoli di Stato in borsa, e là conosce Piero, speculatore finanziario rovinato economicamente dopo che le sue azioni han perduto valore. Il rapporto con Piero offre alla donna, ancora in cerca dell’anima gemella ma senza troppa convinzione, fugaci evasioni dalla monotonia di una vita noiosa e ripetitiva. Sembra però che tutto funzioni a dovere, fintantoché un individuo sconosciuto ruba la macchina a Piero, fa un incidente precipitando in un lago artificiale e muore. Recuperata la carrozzeria del rottame dalle acque del cantiere edile, Piero rivela tutto il suo cinismo e scopre in Vittoria l’intera sua refrattarietà ad amare profondamente. Se il primo appuntamento è andato bene, anche se non si è mai arrivati ad un bacio e neanche ad un rapporto intimo che possa dirsi tale, al secondo non si recherà nessuno dei due. Con una parte iniziale dove il silenzio è il padrone (quasi) assoluto, una centrale che presenta l’invadenza della parola e una conclusiva in cui le parole smettono di avere il sopravvento, chiude la trilogia dell’incomunicabilità, cominciata con L'avventura (1960), proseguita con La notte (1961) e in qualche modo integrata da Il deserto rosso (1964), altro capolavoro del regista insieme ai tre film sopracitati, compreso quello in questione che vede un Delon e una Vitti nel fiore della loro bellezza giovanile a scambiarsi sdolcinatezze e frugali passioni, senza che nulla di concreto si venga a creare, soprattutto per colpa di lei, il cui comportamento tocca appieno una sorta di frigidità dell’anima indissolubile e inguaribile. Antonioni è stato un genio a scoprire e valorizzare il talento di M. Vitti (vero nome: Maria Luisa Ceciarelli) come attrice drammatica, specialmente perché nel seguito della sua carriera l’attrice avrebbe puntato sempre più spesso sul comico, perdendo quel lato nostalgico e affettuoso che Antonioni riusciva ad estrapolarle con magnificenza e naturalezza. La splendida fotografia in bianco e nero di Gianni Di Venanzo ritrae una Roma deserta ed estiva, come in un perenne Ferragosto in cui circolano soltanto per le strade ragazzini svogliatamente giocosi e qualche raro calesse, con le acciaierie, le ciminiere, le fabbriche e le zone industriali tecnicamente svuotate come lo sono le psicologie dei personaggi, i quali aspirerebbero ad una maggiore e più stabile sicurezza sentimentale, ma è la paura a frenarli in modo inesorabile. Delon interpreta un uomo che gioca tutte le sue carte pur di far innamorare di sé una donna che è incapace di provare sensazioni autentiche, un qualcosa che vada al di là di una semplice amicizia giocosa o di una conversazione mescolata ad una comunissima passeggiata di cui si trovano dovunque gli eguali sputati. Accanto a loro, si muovono Rabal che, nei panni di Riccardo, offre al pubblico una mezz’ora introduttiva nella quale vengono spiegati i motivi che poi costituiscono l’ossatura morale del film: la solitudine alienata e alienante degli esseri umani. Decisamente pessimistica, l’opera di Antonioni non vede alcuna via d’uscita dalla gabbia dorata in cui ci si rinchiude allo scopo di evitare i rapporti interpersonali e coltivare così i propri terrori sociali, circondandosi soltanto di oggetti lussuosi che sembrano compensare un vuoto interiore terribile, ma in realtà altro non fanno che amplificarlo facendo andare a braccetto, in un valzer orrorifico, la tensione che precede il mancato avvenimento speciale col timore di vincere le altrui resistenze quando si tratta di compiere un passo avanti. E non serve che di mezzo ci sia una rumorosa banca dove tutti urlano al rialzo per i titoli di Stato pur di arricchirsi con cospicua avidità: è solo caos che copre un silenzio destinato a non terminare, perché rimasto inascoltato. La prova della Brignone, madre affettuosa ma disinteressata alle sorti amorose della figlia (Vittoria), dà l’esempio della comunicazione inesistente fra le persone quando invece dovrebbe sussistere, quando è necessaria giacché un obiettivo da raggiungere c’è, ed è quello di conoscersi meglio parlando fra di sé per instaurare un legame significativo. Gran Premio Speciale della Giuria al XV Festival di Cannes.
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stefano capasso
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lunedì 7 febbraio 2022
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nuova umanità alle prese con nuovi problemi
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Dopo una lunga notte di confronti Vittoria lascia l’uomo con cui ha trascorsi gli ultimi anni della sua esistenza ormai divenuta infelice. Non passa molto tempo che farà la conoscenza di Piero un giovane agente di borsa, una tipologia d’uomo molto diversa da quello appena lasciato. Tra incertezze varie tra i due nasce una relazione che nonostante tutto non riesce a decollare.
La prima lunghissima, silenziosa e con scarsissime azioni rilevanti, sono il manifesto del cinema di Antonioni, quello duro degli anni ’60. I protagonisti non riescono a comunicare, cosi come non riusciranno a comunicare quelli delle scene successive e cosi come lo stesso regista nei confronti dello stesso spettatore.
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Dopo una lunga notte di confronti Vittoria lascia l’uomo con cui ha trascorsi gli ultimi anni della sua esistenza ormai divenuta infelice. Non passa molto tempo che farà la conoscenza di Piero un giovane agente di borsa, una tipologia d’uomo molto diversa da quello appena lasciato. Tra incertezze varie tra i due nasce una relazione che nonostante tutto non riesce a decollare.
La prima lunghissima, silenziosa e con scarsissime azioni rilevanti, sono il manifesto del cinema di Antonioni, quello duro degli anni ’60. I protagonisti non riescono a comunicare, cosi come non riusciranno a comunicare quelli delle scene successive e cosi come lo stesso regista nei confronti dello stesso spettatore. È la rappresentazione del moderno quel tempo in cui le persone non trovano più quel punto di equilibrio dato dalle certezze rassicuranti presenti fino a pochi anni prima, e non hanno ancora trovato una direzione da prendere. Tutto assume un nuovo significato, le relazioni in primis, e gli stessi valori della società sono ormai minati dal sogno di arricchirsi che tutti coltivano e che il frastuono della borsa rappresenta in un’altra interminabile sequenza. Gli stessi quartieri di Roma rappresentati nel film testimoniano la contraddizione tra gli edifici che guardano al futuro che spuntano qua e là e l’ambiente circostanze che è ancora quello di una campagna rarefatta. Le stesse sonorità elettrominimaliste di Fusco non lasciano troppo spazio a illusioni di varia natura: rimane un presente, mutevole, incerto, dove poter consumare velocemente le proprie necessità interiori.
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