Cliff Walkers

Un film di Zhang Yimou. Con Hailu Qin, Zhang Yi, Zhu Yawen Thriller, - Cina 2021.
   
   
   

Zhang Yimou al suo esordio nella spy-story storica Valutazione 3 stelle su cinque

di Montefalcone Antonio


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mercoledì 7 settembre 2022

Film d’apertura del XXIII Far East Film Festival, “Cliff Walkers” (precedentemente intitolato “Impasse”) è l’ultima opera di Zhang Yimou che torna a parlare, come nel suo “I fiori della guerra”(2011), dell’invasione giapponese della Cina degli anni Trenta, quando furono compiuti orrendi crimini contro l’umanità nei riguardi del popolo cinese.

La pellicola, dichiaratamente nazionalista e dedicata agli eroi della rivoluzione, non nasconde la sua natura propagandistica, e sa coniugarla con i codici più classici e convenzionali della spy story innervati dallo stile e dalle atmosfere action/thriller tipici dei primi film di inizio carriera del regista.
Questa la sinossi ufficiale: “ambientato nello stato fantoccio di Manchukuo negli anni '30, il film segue le vicende di quattro agenti speciali del partito comunista che tornano in Cina dopo aver ricevuto un addestramento in Unione Sovietica. Insieme, si imbarcano in una missione segreta denominata in codice Utrennya. Dopo essere stata venduta da un traditore, la squadra si ritrova però circondata da minacce da ogni parte nel momento stesso in cui comincia la missione. Gli agenti romperanno l'impasse e completeranno la loro missione? Sul terreno innevato di Manchukuo, la squadra sarà messa alla prova fino al limite massimo della sopportazione”.
Prodotto da Emperor Motion Pictures e basato su una sceneggiatura di Quan Yongxian, “Cliff Walkers” è l’esordio di Zhang Yimou al genere spionaggio, muovendosi su dinamiche commerciali e prettamente “spettacolari”.  Capace di spaziare tra opere storiche calligrafiche, melodrammi e film neo-realisti, fino a veri e propri blockbuster commerciali, il cineasta conferma anche qui la sua abilità di saper creare il senso di spettacolo come aveva già ampiamente saputo fare in altre sue opere magniloquenti e di grande impatto visivo, si pensi, a titolo esemplificativo, a “Hero”, o a “La foresta dei pugnali volanti”, a “La città proibita” o al più recente “The Great Wall”; e riesce nell’intento di coinvolgere lo spettatore, sia esso orientale oppure occidentale, immergendolo nella bellezza di immagini mozzafiato, di messinscene accurate e di movimenti virtuosistici della macchina da presa.
La spettacolarità estetizzante e godibile della pellicola cresce gradualmente passando da ambientazioni in esterni a spazi più chiusi e stretti come treni, edifici e strade cittadine labirintiche; e sottolinea l’anima contorta e disorientante della sceneggiatura, e dei suoi ambigui personaggi, quasi costretti ad agire e muoversi senza direzione o moralità apparente.
Attento a ossequiare e utilizzare espressivamente i canoni di genere, il regista favorisce la lettura di una “storicizzazione (a)problematica” della Storia della Cina, dove appunto è il genere stesso a essere investito del compito di rileggerne e/o esaltarne le rivendicate, “ufficializzate” gesta eroiche e patriottiche. E così in una trama che diventa sfuggente nelle sfumature narrative e nelle atmosfere disorientanti, a prevalere è allora anche la difficoltà di discernere i confini morali tra i due (o più) fronti contrapposti.
Questo aspetto concettuale è inoltre ben evidenziato dalla costruzione visiva dell’opera nel suo complesso. Si pensi all’estetica algida dei paesaggi innevati, ai fiocchi di neve che nel film cadono incessantemente per tutto il tempo e si arrestano soltanto sul finale, grazie al contemporaneo disgelo narrativo.
Merito del direttore della fotografia Zhao Xiaoding se tutto questo sa rendersi suggestivo, evocativo ed espressivo al tempo stesso.
Ma si pensi anche alla cura che si è dato al montaggio: tagli calibrati utilizzati per creare tensione e ritmo, ma anche per omettere certe spiegazioni, lasciare nell’anonimato e nella non-descrizione le spie, e soprattutto rendere tutta la pellicola ellittica, e intrigante nello sconvolgimento di presunte certezze, doppi giochi e torture.
Sulla scia di questa eleganza stilistica, tipica della bellezza della Settima Arte, omaggiata poeticamente qui come anche nell’emozionante e bellissimo suo ultimo film, “One Second”, Zhang Yimou fa riecheggiare tutta la magia sublime del linguaggio cinematografico; il valore universale, trasversale dell’arte, nonché il trionfo di quei nobili ideali che mirino al rispetto di un umanesimo di fondo e a una pace tra i popoli…

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