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fabrizio cola
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giovedì 17 ottobre 2019
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claire e il suo doppio
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Claire Millaud [Juliette Binoche] – cinquantenne professoressa universitaria di letteratura, quindi a conoscenza di quell’universo di contenuti di cui si nutrono le storie letterarie — viene piantata dal marito, e si ritrova con due figli reali, un computer e alcuni cellulari. Ed un tran-tran di vita insignificante.
Se la fa con un ragazzotto, Ludo, interessato per l’appunto al proprio piacere sessuale, individuale. Claire ci sta, perché desidera. Perché quella bambina che è sempre viva in lei desidera toccare, desidera essere toccata. Desidera un contatto fisico che preluderebbe ad un contatto più completo, maturo. Al “prendersi cura dell’altro”.
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Claire Millaud [Juliette Binoche] – cinquantenne professoressa universitaria di letteratura, quindi a conoscenza di quell’universo di contenuti di cui si nutrono le storie letterarie — viene piantata dal marito, e si ritrova con due figli reali, un computer e alcuni cellulari. Ed un tran-tran di vita insignificante.
Se la fa con un ragazzotto, Ludo, interessato per l’appunto al proprio piacere sessuale, individuale. Claire ci sta, perché desidera. Perché quella bambina che è sempre viva in lei desidera toccare, desidera essere toccata. Desidera un contatto fisico che preluderebbe ad un contatto più completo, maturo. Al “prendersi cura dell’altro”. Non vuole essere abbandonata, come invece le è successo col marito, ma anche — di lì a breve — con il suo doppio, Ludo. Il quale sparisce e non si fa più trovare.
Allora lei per riacciuffarlo, crea una identità fittizia su FB. E qui scatena la sua hybris folle e tragica. Il suo doppio virtuale, l’avatar denominato Clara, aggancia però disgraziatamente il doppio sbagliato di Ludo. Vale a dire Alex, il suo collega. L’avatar Clara ha 24 anni, quasi 25. Claire, che ne diventa doppione, ne ha il doppio: una cinquantina. Fra i due — Clara ed Alex — si intesse la trama della seduzione a distanza, dico e non dico, ci incontriamo certo ma oggi non posso. Ti parlo, ma non mi vedi. Mi manifesto con foto e filmati, ma non sono io. Perché?
Perché nelle Finzioni con i doppi, piano narrativo e piano reale non si devono mai incontrare. Le immagini ed i volti devono rimanere come riflessi sugli specchi, la realtà deve viaggiare per conto proprio. Questa è la mimesi artistica. Ed anche il diktat della nostra civiltà, a partire dai Greci in poi.
Invece questo diamine di FB, inventato da civiltà aliene come tanti altri social network, andrebbe utilizzato unicamente da umani quadrupedi e pecorecci, che reclamano ciò che mai dovrebbe essere reclamato quando subentra invece il mito del doppio che è tabù: il contatto reale.
Nei nostri codici arcaici, negli archetipi che governano il mondo occidentale, quando i doppi si incontrano uno dei due deve necessariamente morire. Non c’è scampo. Non importa se siano reali o virtuali, in carne ed ossa o fittizi.
Prova ne sia che all’ennesimo abbandono per morte (reale o presunta, non importa!) anche di Alex, Clair non racconta più alla sua psicologa Caterine Bormans [Nicole Garcia] i fatti, ma li scrive. Entra cioè nel campo letterario anche lei. E — nel film — racconta il romanzo della sua finzione con Alex, nel quale immagina di realizzare quel contatto — e quell’amore carnale — mai avvenuto nella realtà. Immagina anche di rivelare ad Alex del suo avatar Clara, di cui il ragazzo si era follemente innamorato r di cui si era scordato in grazia della relazione fisica con il suo originale. Clair provoca e lascia che Alex scopra chi ci fosse dietro la fittizia identità di Clara. Ma quale dei due profili è Claire? Claire è una, divisa in due personaggi, in due “profili”. Uno dei due quindi deve necessariamente morire.
Il codice così rientra a malincuore e a fatica nei suoi binari.
Perché quando un essere civilizzato e stratificato, addirittura una professoressa di letteratura comparata, entra dentro un social, avviene il corto circuito, tutti i controlli vanno ai pazzi, lei stessa va a i pazzi, gli “utenti” vanno ai pazzi. Questo deve aver rapito l’immaginazione dell’ottimo Safy Nebbou, che ne firma una emozionata, caleidoscopica e ammirevole regia.
Accendiamo quindi il computer, ci connettiamo a FB, inseriamo la password e diventiamo istantaneamente tanti Re Lear. Ma ci dimentichiamo il monto del “matto” che, osservando il suo Re dare credito alle parole mendaci delle prime due figlie, e non riconoscendo la verità in quella reali e crude della terza, la minore — dice guidato da Shakespeare: “Non avresti dovuto diventare vecchio prima di diventare saggio”.
Che è anche il cuore della nostra tragedia attuale.
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daniele ciavatti
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venerdì 31 ottobre 2025
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il mio profilo migliore di safy nebbou: psicoanalisi del dolore e regressione nell?eta' adulta
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Il film Il mio profilo migliore (Celle que vous croyez, 2019) di Safy Nebbou offre una rappresentazione di grande finezza e complessita' della psicoanalisi del dolore. La prima parte dell?opera mette in scena una donna cinquantenne, interpretata da una sensuale e inquieta Juliette Binoche, che si comporta come un?adolescente. La protagonista dimentica le responsabilita' proprie dell?eta' adulta ? in particolare quelle verso i figli ? e si abbandona a un mondo sentimentale immaturo, fatto di amori idealizzati e di infatuazioni giovanili. Questa regressione e' resa con precisione quasi perturbante dall?interpretazione della Binoche: il suo personaggio appare urticante, perche' poche cose risultano piu' disturbanti di un?adulta che assume le movenze e le pose di una ragazza.
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Il film Il mio profilo migliore (Celle que vous croyez, 2019) di Safy Nebbou offre una rappresentazione di grande finezza e complessita' della psicoanalisi del dolore. La prima parte dell?opera mette in scena una donna cinquantenne, interpretata da una sensuale e inquieta Juliette Binoche, che si comporta come un?adolescente. La protagonista dimentica le responsabilita' proprie dell?eta' adulta ? in particolare quelle verso i figli ? e si abbandona a un mondo sentimentale immaturo, fatto di amori idealizzati e di infatuazioni giovanili. Questa regressione e' resa con precisione quasi perturbante dall?interpretazione della Binoche: il suo personaggio appare urticante, perche' poche cose risultano piu' disturbanti di un?adulta che assume le movenze e le pose di una ragazza. La protagonista non solo si finge ventiquattrenne per sedurre un amante virtuale, ma ne imita anche il linguaggio, le esitazioni e i gesti, riproducendo un modello adolescenziale che appare insieme ingenuo, ridicolo e tragicamente grottesco. Altri film affrontano il tema. In The Lobster di Yorgos Lanthimos, i personaggi sono costretti a trovare un partner per evitare la trasformazione in animali ? una metafora della disumanizzazione causata dalla solitudine. Ma mentre nel film di Lanthimos la regressione e' imposta da una societa' distopica che punisce la solitudine e si identifica con il ritorno ad uno stato animale, in Il mio profilo migliore e' una scelta interiore, una strategia inconscia per negare il dolore. Entrambi i film, pero', mostrano come la menzogna ? che sia la finzione di un amore forzato o l?invenzione di un?identita' virtuale ? porti inevitabilmente all?autodistruzione. La chiave di lettura psicologica emerge solo in seguito. La donna e' stata abbandonata dal marito per una ragazza piu' giovane ? precisamente per la nipote, proprio di ventiquattro anni. Tale elemento biografico chiarisce la natura della sua regressione: un tentativo di negare il dolore dell?abbandono assumendo l?identita' della rivale, quasi a riappropriarsi simbolicamente dell?amore perduto. Non e' un caso che il nome scelto per il profilo virtuale e la fotografia utilizzata coincidano con quelli della nipote. Il gesto rappresenta una vera e propria fuga dall?angoscia, una strategia inconscia di difesa dal trauma. Come osservava Sigmund Freud, la regressione costituisce una delle forme fondamentali del meccanismo difensivo dell?Io: il soggetto, travolto da un dolore intollerabile, tende a rifugiarsi in uno stadio psichico precedente, in cui il conflitto non esisteva ancora. In questa prospettiva, la protagonista di Nebbou sembra riattivare un tempo psichico sospeso, rifugiandosi nella giovinezza come spazio protetto dall?angoscia della perdita. Attraverso la costruzione di una vita parallela, la protagonista tenta di sospendere la realta' e di rifugiarsi in un?et? idealizzata come pi? felice. Tuttavia, quando la menzogna porta alla tragedia ? il suicidio dell?amante virtuale ? la donna, incapace di affrontare il senso di colpa, si rifugia in un?ulteriore elaborazione immaginaria. Scrive infatti un?altra storia possibile, in cui non si finge pi? giovane ma si rivela per ci? che e'. Anche in questa narrazione, per?, la vicenda si conclude in maniera negativa con la sua morte, investita da un?auto mentre tenta di sfuggire all?amante virtuale che l?ha smascherata. La morte rappresenta, in tal senso, l?esito inevitabile di un senso di colpa latente. Un elemento non secondario e' la professione della protagonista: docente universitaria. Tale condizione sottolinea la frattura tra il livello culturale e la fragilit? emotiva. La conoscenza non basta a salvarla dal potere distruttivo dell?inconscio, che impone le proprie logiche indipendentemente dalla razionalit?. Non solo, aggiunge un livello di ironia tragica al personaggio. La razionalit? intellettuale che insegna e' proprio ci? che non riesce ad applicare a s? stessa. L?adolescenza stessa, del resto, non e' una fase naturale ma una costruzione sociale: un prodotto della modernit? industriale. Nelle societa' contadine, si passava direttamente dall?infanzia all?eta' adulta, senza quello spazio intermedio di sospensione e crisi che oggi definiamo adolescenza. Si tratta dunque di una categoria culturale, non fisiologica ? e il suo riemergere nell?eta' matura appare, da un punto di vista psicoanalitico, come un sintomo di regressione difensiva, un ritorno verso un tempo idealizzato e ormai irrecuperabile. In questa prospettiva, Il mio profilo migliore pu? essere letto come una metafora della fuga dal dolore attraverso la regressione, e come una riflessione sulla fragilit? identitaria dell?individuo contemporaneo. L?illusione adolescenziale, coltivata per negare la perdita e l?abbandono, si dissolve inevitabilmente di fronte alla realt?, lasciando emergere la verit? ultima del dolore: quella di un s? incapace di integrarsi, diviso tra ci? che ? e ci? che vorrebbe essere, fino all?autodistruzione.
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