Senza Lasciare Traccia

   
   
   

Un padre, una figlia nel bosco della loro anima Valutazione 4 stelle su cinque

di Eugenio


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venerdì 12 ottobre 2018

Sfiorava almeno nei primi trenta minuti il capolavoro questo film di Debra Granik, per la bellezza dell’ambiente naturale, per il suono del silenzio, per il rapporto quasi simbiotico tra un padre e una figlia che ricorda molto quello in The road di Cormac McCarthy di qualche anno fa.
Solo che in questo film non esiste un dramma apocalittico. Siamo lontani dalle atmosfere di invasioni aliene, di misteriose radiazioni che hanno annullato l’umanità riducendola in polvere. No, la pellicola è ambientato nei giorni nostri ma sospesa in un’atmosfera quasi a-temporale, negli angoli più reconditi, tra foreste vergini e luoghi permeati dal grande fascino, severità e sacrificio.
Leave no trace, Senza lasciare traccia, dal romanzo My abandonment di Peter Rock, nelle sale dall’otto novembre è una storia senza antagonisti, almeno non evidenti. C’è un padre, Will (Ben Foster) veterano di guerra in Iraq, affetto da disordine post-traumatico e una figlia adolescente Tomasine (Thomasin Mc Kenzie), abbreviata androginicamente in Tom.
Will ha rifiutato ogni forma di sussidio sociale, non sopporta il confino in enti predisposti e vive con Tom ai margini del mondo, in un rapporto con la natura istintivo, di sopravvivenza. Dal canto suo la figlia è cresciuta con Will fin dall'infanzia a seguito della morte della madre e manifesta un legame quasi viscerale nei confronti di un’autorità che vede sì precaria ma al tempo stesso, necessaria alla sua sopravvivenza. Will è un padre amorevole che nonostante il disturbo mentale, le insegna la letteratura così come il gioco degli scacchi e la caccia, non lasciandola mai sola. I due vivono come rapaci avvinghiati alla vita, dormono insieme mantenendo il calore in una foresta che è loro dimora.
Tutto cambia quando il loro “isolamento dalla società” viene scoperto e reso pubblico. Le autorità impediscono a padre e figlia di tornare nel silvano ambiente, relegandoli in un centro sociale e ad un’istruzione regolare per la fanciulla. Una vita negli schemi che a Will non piace. Con l’evidente conseguenza della fuga forzata anche per Tom che pian piano iniziava ad abituarsi a quella nuova esperienza di socialità, di confronto, di istruzione.
Il ciclo tenderà a ripetersi, di paese in paese, di bosco in bosco trasformando l’esistenza del duo in una peripatetica, consumata, lunghissima fuga dai tormenti di guerra e da quell’indipendenza di Tom, sempre più forte e necessaria per la sua maturità futura.
Senza lasciare tracciapuò sembrare superficialmente il classico mito del buon selvaggio incapace di integrarsi nella società moderna, una specie di versione meno edulcorata di quello che fu due anni fa Captain Fantastic (anche lì c’era una famiglia “sui generis”) dai toni non grotteschi e accentuatamente drammatici.
In realtà è qualcosa di più. La regia pone sì l’accento a un taglio docu-drammatico, con steady-cam che osserva intimamente il legame tra padre e figlia ma, grazie alla genuina autenticità della performance di Foster e McKenzie, non indugia assolutamente sul trauma del veterano che viene reso manifesto attraverso gli occhi e lo sguardo silenzioso del dolorante padre.  Non ci sono parole inutili: il dialogo tra padre e figlia è ridotto al minimo. Si intendono con un semplice sguardo e la dinamica tra di loro è la base su cui la regista costruisce una storia di difficile etichettatura.
Senza lasciare traccia sfugge infatti alla locuzione propriamente detta di dramma e anche di road-movie. Ci sono sì questi elementi ma nessuno domina sull’altro.
Il risultato è un ibrido, senza effetti speciali, che mostra la realtà così come è, nella sua linea d’ombra che Tom supererà presto per emergere da dal bozzolo dell'adolescenza alla maturità di una farfalla sino alla commozione che diventa consapevolezza.
Eppure proprio questo limita in qualche parte la pellicola. Senza lasciare traccia sfiora appunto “il capolavoro” senza tenderlo per quel qualcosa che suona alla fine un pò forzato ma necessario.
Resta comunque una grandissima prova di recitazione, quasi teatrale, con palcoscenico la natura, la foresta dell’Oregon, in ogni forma.
E scusate se è poco.

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