L’esaltazione dell’archetipo ancestrale della famiglia naturale, alla base del soggetto di Io vi troverò di Pierre Morel del 2008, viene riproposto nel 2017 da Christian Carion in formato tascabile in Mon garçon.
In quello che si può considerare un rifacimento,Guillaume Canet prende il posto di Liam Neeson, ma questa volta non è un ex agente della CIA o di qualche servizio segreto. I contorni del suo lavoro sono sfumati e si fa appena qualche accenno a dei viaggi all’estero per conto di una società, di cui sembra essere il titolare, che ha dei cantieri sparsi per il mondo. Tuttavia, considerata la disinvoltura quasi criminale con cui si muove e l’abilità nell’utilizzo di armi improprie, si può presumere che abbia un pregresso, che però rimane nell’ombra, in qualche organizzazione paramilitare.
Lo schema utilizzato da Carion è quello del film di Morel. C’è una coppia separata ed un figlio affidato alla madre, Mélanie Laurent, che ha un nuovo compagno, Olivier de Benoist, il padre è assente e lontano per lavoro. In questo scenario in cui si rappresenta una declinazione della famiglia moderna, in cui molti si possono riconoscere, interviene l’evento drammatico. Il figlio della coppia viene rapito. Sulla scena irrompe a questo punto il padre, rimasto lontano non per egoismo o disinteresse verso il figlio, ma per adempiere ad un compito importante, in questo caso sono adombrati motivi economici legati probabilmente alla necessità di assicurare una vita agiata ed un futuro benessere al figlio.
Il tema minore del padre lontano, impegnato in qualche impresa eroica o comunque necessaria ad assicurare la salvezza della patria, vedi l’agente della CIA Neeson, o, come in questo film, il benessere della famiglia, che ritorna per restaurare l’ordine e la pace familiare, turbata da un nemico esterno che ne tiene in ostaggio un membro, affonda le sue radici nell’inconscio collettivo e si ricollega ad un mito arcaico, risalente alla notte dei tempi, che ha come prototipo letterario l’Ulisse omerico.
Al di là dei parallelismi con il film di Morel, la pellicola ha una sua autonoma ragion d’essere, sia per la forma concisa ed essenziale della narrazione, che elimina tutti gli elementi superflui per concentrarsi sull’azione del protagonista, che in poche ore fa quello che la polizia avrebbe fatto in mesi di indagini, sia per lo scenario scelto per l’ambientazione della storia che è al tempo stesso limitato, in quanto l’azione si svolge tutta sulle Alpi francesi ed in qualche sperduto borgo montano, con vocazione turistica visto il grande impianto alberghiero in disuso, ed aperto, nella suggestività degli scorci dei paesaggi naturali che si profilano imponenti sullo sfondo. Altrettanto asciutta e senza fronzoli è la recitazione dei protagonisti, che, nonostante la situazione, si mantiene nel tono drammatico senza sfociare mai nel tragico. Ciò contribuisce a dare al film un impressione di realismo che bilancia la figura un po’ fantasticata del padre, che dapprima viene tratteggiato come un uomo qualunque, per poi trasformarsi improvvisamente in un supereroe da action movie.
Meraviglia che tematiche arcaiche ed in fondo legate ad un punto di vista reazionario di derivazione cattolica, sebbene lo stesso sia veicolato in modo subliminale da una storia drammatica e travestito da thriller d’azione, ancora facciano presa su di un pubblico che dovrebbe essersi ormai emancipato da una visione della famiglia che vede la donna come una creatura debole ed incapace di fronteggiare situazioni estreme per proteggere il figlio, per cui si rende necessario l’intervento risolutore della figura del padre, che, nella sua potenza di maschio alfa, salva il cucciolo dalle grinfie dei predatori ed al contempo scaccia l’intruso che voleva prenderne il posto, spesso stupido e superficiale, come il personaggio interpretato, non a caso, dall’attore comico francese Olivier de Benoist.
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