Il tempo che ci rimane |
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Un film di Elia Suleiman.
Con Elia Suleiman, Saleh Bakri, Samar Qudha Tanus, Shafika Bajjali.
continua»
Titolo originale The Time That Remains.
Drammatico,
durata 105 min.
- Gran Bretagna, Italia, Belgio, Francia 2009.
- Bim Distribuzione
uscita venerdì 4 giugno 2010.
MYMONETRO
Il tempo che ci rimane
valutazione media:
3,32
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Prima che sia troppo tardidi laulillaFeedback: 2061 | altri commenti e recensioni di laulilla |
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venerdì 18 giugno 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
il film ci ricorda che, prima del 1948, anno in cui fu costituito e riconosciuto lo stato di Israele, nel territorio ora israeliano, convivevano pacificamente gruppi di palestinesi di culture e religioni diverse (la madre del regista, ad esempio, era di cultura cattolica), che conducevano una vita dignitosa e civile e che non gradirono certamente la nuova condizione. I primi tentativi di ribellione vennero brutalmente stroncati: alcuni pagarono con la vita, altri accettarono faticosamente la situazione, nutrendo propositi più o meno velleitari di ribellione. Fuad Suleiman, padre del regista, esperto tornitore di Nazareth, un tempo fabbricante di armi, dopo aver drammaticamente subito, sulla propria pelle, le conseguenze del nuovo stato di cose, sembrava aver ritrovato, oltre alla propria casa, il proprio lavoro e la possibilità di farsi una famiglia con la donna amata, che riteneva perduta. Il nuovo stato di Israele, infatti, aveva cercato, agli inizi, un consenso vasto intorno a sé, garantendo diritti civili e religiosi a tutti, anche a coloro che ebrei non erano. Col passare del tempo, però, purtroppo, i rapporti fra i diversi gruppi etnici e religiosi peggiorarono e intorno ai vecchi abitanti del territorio israeliano cominciarono a crearsi sospetti e incomprensioni, in un lento, ma inesorabile crescendo di sopraffazioni,e intimidazioni. Nel raccontarci la storia della sua famiglia, e quindi anche la propria storia, Elia Suleiman ci mostra con ironia, con dolore e con incredulo sbigottimento l'assurdità di una situazione in cui da una parte lo stato di Israele, grazie alle sue istituzioni efficienti e democratiche, assicura a tutti la scuola, la sanità, l'assistenza agli anziani, ma contemporaneamente limita sempre più le libertà individuali degli antichi abitanti palestinesi, in modo ottuso, non riuscendo a distinguere, ad esempio, un'attività di pesca notturna da un traffico d'armi; una scorta di bulgur dalla polvere da sparo. Il risultato di questo modo di procedere è un'umiliazione continua, la sensazione di vivere una vita senza speranze per il futuro e senza identità, nonché la frustrazione di ogni progetto. Il regista assiste, con assoluta impassibilità, al progressivo degrado della dignità delle minoranze umiliate, con occhi attoniti e sbigottiti, che a molti hanno ricordato la fissità dello sguardo di Buster Keaton. I fatti, sembra dirci, parlano da sé, e preludono, forse, se non cambierà nulla, a una deflagrazione dalle imprevedibili conseguenze, di cui è metafora la vicenda con cui il film si apre: quella del taxi che ha smarrito la strada e che, avendo anche esaurito la benzina, è destinato a perdersi in una tempesta d'acqua e di fulmini di insospettabile violenza. Film bellissimo, connotato da un tono pacato e tranquillo, senza odio, quasi un invito alla ragione, prima che sia troppo tardi.
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