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Un film appartnenete al genere cinema-verità che è un pugno allo stomaco per noi occidentali. La durezza delle condizioni di vita, per loro normali, di questa famiglia di orfani curdi che devono badare a sé stessi, impietosamente filmata in modo realistico, come fosse un documentario, colpisce le viscere prima di coinvolgere emotivamente, sorprende perché incomprensibile per il popolo di internauti che siamo diventati, ci riporta alle origini della lotta per la sopravvivenza quando la solidarietà tra gli umani era un valore assoluto.
E’ su quelle montagne innevate, al confine tra l’Iran e l’Iraq, che Bahman Ghobadi ci fa sentire il freddo dell’inverno, la fatica degli uomini e finanche dei muli, ubriacati con l’alcol per sopportare il gelo, ci fa provare cosa vuol dire essere uomini in quel mondo rimasto ai primordi, escluso dal villaggio globale del benessere economico e della tecnologia consumistica degli smartphone e dei televisori al plasma.
Eppure è proprio in quei luoghi che riscopriamo l’essenza dell’uomo, ciò che è ormai irrimediabilmente perduto per noi. I fratelli che si sacrificano, ognuno a suo modo, il giovane protagonista col lavoro di contrabbandiere, la sorella offrendosi sposa in un matrimonio combinato, per salvare la vita del più debole, Madi, il fratellino nato storpio, sono modelli irraggiungibili e pur presenti, sebbene sepolti in un angolo remoto della nostra coscienza.
In quel mondo, fatto di povere cose, un quaderno nuovo da portare a scuola è un lusso, desta l’invidia dei compagni di banco, rende felice chi lo possiede. La retorica del libro di testo, letto dal ragazzino in aula, che esalta le imprese dei fratelli Wright e del loro primo volo come l’inizio degli sconvolgenti progressi tecnologici del novecento stride con la misera esistenza di questo popolo, che, senza saperlo, con la sua vita dolorosa e dignitosa si pone invece all’origine della civiltà stessa. Un’altra immagine a contrasto che genera il confronto paradossale col nostro mondo è quella del piccolo Madi estasiato di fronte ad un poster di Schwarzenegger, una fotografia comprata dal fratello maggiore in una taverna improvvisata in Iraq, una meteora caduta dall’iperuranio del mondo dei privilegiati in quella terra dimenticata da Dio.
Suggestiva la sequenza finale che si interrompe bruscamente lasciandoci in sospeso, quasi in ansia per la sorte di quei ragazzi, come se ormai la loro storia ci appartenesse un poco, e questo effetto lo può rendere soltanto un grande autore.
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