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Kansas city negli anni ’30 in un affresco impietoso e disincantato dell’America di quell’epoca, tra bande di gangster di colore, capeggiati da Harry Belafonte, biscazziere e gestore di un locale di musica jazz, politicanti, burocrati e poliziotti corrotti e sullo sfondo un esercito di povera gente, frutto della Grande depressione, reclutata da Steve Buscemi per eclatanti brogli elettorali, Altman inserisce la storia di due emarginati, Jason Leigh e Dermot Mulroney, che si incrocia fatalmente con il mondo spietato della malavita organizzata e quello cinico e senza scrupoli della politica.
Il cast eccezionale, lo stile filmico straordinario di Altman, il ritmo indiavolato dell’azione che fa muovere i personaggi quasi danzassero sulle note della musica jazz, protagonista assoluta e non semplice colonna sonora, sopra e dentro ogni sequenza, fanno di questo film un’opera di alto artigianato cinematografico, in cui la simbiosi tra immagine e suono raggiunge la perfezione, coinvolgendo, avvolgendo, lo spettatore in una esperienza estetica e sensoriale totale, senza lasciargli spazio per altro che non sia la visione del film stesso.
La narrazione è serrata, priva di qualsiasi retorica e sentimentalismo, l’ironia ed il sarcasmo prevalgono sulla tragicità degli eventi. Il racconto segue ritmicamente l’azione dei personaggi che improvvisano la loro vita rimanendo prigionieri, tuttavia, di schemi prestabiliti, alla stregua dei musicisti jazz che eseguono virtuosamente differenti variazioni su tema.
Il tema ossessivo e dominante è il desiderio di denaro, comunque guadagnato, che pervadeva la società americana degli anni ’30, icasticamente rappresentato nell’ultima sequenza in cui Belafonte conta le banconote soddisfatto, le variazioni sul tema sono i differenti comportamenti che i protagonisti adottano per raggiungere soldi e potere.
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