Il grande racket

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Un film di Enzo G. Castellari. Con Fabio Testi, Marcella Michelangeli, Vincent Gardenia, Glauco Onorato, Renzo Palmer.
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Poliziesco, durata 91 min. - Italia 1976. MYMONETRO Il grande racket * * 1/2 - - valutazione media: 2,75 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

La banda dei disperati Valutazione 4 stelle su cinque

di Movieman


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lunedì 13 aprile 2020

Comincio con due associazioni: nel cinema italiano che va dagli anni 70 fino ai primi anni 90, Castellari sta al cinema action come Lucio Fulci sta al cinema horror. Questi due cineasti hanno saputo far proprie alcune caratteristiche tipiche dei due generi (action e horror) dilatandole : nel cinema  horror di Lucio Fulci assistiamo al prolungamento, a volte fino alla soglia del sostenibile, di situazioni sanguinarie e macabre, mentre i momenti topici dei film di Castellari, quelli in cui maggiormente risalta lo stile inconfondibile di questo regista, sono gli scontri a fuoco, spesso in luoghi chiusi. Sono sequenze dove Castellari riesce a far risaltare la sua grande bravura nella cura del montaggio e nell’uso della colonna sonora (quella de “Il grande racket” è un capolavoro). Uno degli esempi massimi, nel suo cinema, è proprio “Il grande racket”: non è il suo film più bello, ma è uno dei migliori. Anzi, è uno dei film migliori anche all’interno del poliziesco italiano di quel decennio. 

Lo sfondo è Roma. Di scena non c’è un commissario di polizia ma un maresciallo, Nicola Palmieri. Il funzionario si trova alle prese con un racket che sta mettendo in ginocchio i commercianti della città. Per farlo usa, ovviamente, metodi non proprio convenzionali: ha come informatore un vecchio malavitoso, zio Pepe (Vincent Gardenia), del quale è anche amico, affronta i malviventi a suon di sberle e di pugni e coinvolge nelle sue imprese il suo vice, Salvatore. Viene, in seguito, a sapere che nel racket sono coinvolti personaggi estremamente pericolosi manovrati da qualcuno che sta molto in alto, ma nel frattempo Salvatore viene ucciso in una sparatoria e lo stesso Palmieri viene sospeso dal servizio. Il maresciallo non sta a guardare e raduna intorno a sé una banda di disperati i cui componenti  sono tutte persone che hanno un motivo ciascuno per vendicarsi sulla banda criminale di strozzini: un ristoratore a cui hanno violentato la figlia (morta poi suicida), un campione di tiro al piattello a cui hanno violentato e ucciso la moglie dopo che lui ha aiutato la polizia in una sparatoria, lo stesso zio Pepe (che vuole vendicare la morte di un suo protetto), un biscazziere che è stato quasi ucciso per essersi opposto al pizzo e un carcerato che ha qualche oscuro conto in sospeso e che spera di fuggire dall’Italia e di uscire vivo dalla resa dei conti. Lo scontro finale tra gli esponenti del racket e questa banda di rancorosi disperati non tarderà ad arrivare. 

La cosa che colpisce più positivamente, in questo film, è il ritmo. “Il grande racket” scorre davanti agli occhi come un treno lanciato a folle velocità e non risente minimamente degli anni che porta sul groppone. Colpi di scena (sono piccoli, ma ci sono) e dialoghi serrati si susseguono senza dare tregua allo spettatore e il film ha, inoltre, il dono di andare subito al “dunque”, evitando i tempi morti e sviluppando subito i punti fondamentali della trama. Per farlo, segue quella logica secondo la quale ad ogni azione  corrisponde una reazione e questo meccanismo si interrompe soltanto con la resa dei conti finale e i seguenti titoli di coda. Fosse soltanto questo (e non è neanche poco), “Il grande racket” sarebbe però solo un buon film d’azione. La marcia in più gliela danno gli interpreti e i personaggi che compongono questa squadra di giustizieri, molto ben delineati, considerando che si tratta di un film d’azione: dal carcerato che vuole rifarsi una vita, al tenebroso maresciallo Palmieri ( ben interpretato da Fabio Testi), dal biscazziere interpretato da Glauco Onorato fino allo zio Pepe che ha il volto di Vincent Gardenia, mentre Orso Maria Guerrini dona la giusta e spietata  aura glaciale al cecchino esperto nei tiri al piattello con la sola forza degli sguardi. Ma il migliore è Renzo Palmer nel ruolo del ristoratore a cui hanno stuprato la figlia: è una gran bella interpretazione che oscilla magnificamente tra lo strazio del dolore e della rabbia e la follia più grottesca con rara grazia interpretativa. E’ anche il personaggio più bello e ricorda, almeno in parte e fatte le dovute differenze fra gli interpreti e i generi, un altro disturbante “giustiziere” del nostro cinema: quello interpretato da Alberto Sordi nello splendido  “Un borghese piccolo piccolo”.


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