Scorpio Rising

   
   
   

Poesia e allucinazioni: fotografia di un'epoca Valutazione 4 stelle su cinque

di M.Raffaele92


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mercoledì 16 ottobre 2013

Perla nascosta. Capolavoro underground. Audace. Provocatorio. Oltre ogni limite. Cosa sia effettivamente è impossibile a definirsi: critica o elogio? Accusa o celebrazione?
Un ragazzo compie lavori meccanici alla propria moto sotto “Fool’s Rush In” di Ricky Nelson. La macchina da presa si muove sulla moto (splendente, luccicante) come fosse il corpo di una donna: questo fa pensare alla possibile rappresentazione di un binomio uomo-macchina, ma è solo una facciata superficiale. Siamo in realtà assistendo nientemeno che alla rappresentazione simbolica di un “rituale”.
Notiamo oggetti metallici (nonché un paio di stivali) sparsi sul pavimento. Poi, improvvisamente, l’immagine di un teschio a richiamare la morte.
Il ragazzo ora fissa la moto, poi si guarda allo specchio.
Cambio situazione, cambia (di nuovo) la canzone: ora c’è “Blue Velvet” di Bobby Vinton. Il ragazzo si veste, si prepara ad uscire. Ed ecco che abbiamo appena assistito ad un altro dei tanti “rituali” che accompagnano la pellicola, sennonché stavolta viene messo in evidenza un ulteriore aspetto: il ragazzo viene assunto come campione di virilità, bellezza maschile messa in risalto dalla canzone di Bobby Vinton, che culla immagini di suggerito erotismo.
Cambio: parte “(You’re The) Devil in Disguise” di Elvis Presley. Il ragazzo si trova nella sua camera da letto, sta leggendo fumetti. Sulle pareti, poster di James Dean, sopra il quale vi è un poster raffigurante (ancora) un teschio. Il riferimento alla morte questa volta è doppio: in primo luogo come elemento narrativo, in secondo luogo, è accostata all’immagine (e quindi alla persona) di James Dean, mito giovanile morto precocemente pochi anni prima.
La canzone cambia di nuovo, il ragazzo si prepara ad uscire. La macchina da presa ci fa notare i moltissimi oggetti di cui è popolata camera sua (elemento che richiama il garage della prima scena).
Parallelamente alle azioni compiute dal protagonista, vengono mostrate immagini inerenti alla vita di Gesù, e non è un caso che in questo tratto la canzone  sia “He’s a Rebel” delle The Crystals. Quel ribelle infatti lo fu Gesù allora, così come lo è oggigiorno il protagonista in riferimento al contesto sociale.
Parte “Party Lights” di Claudine Clark, e in effetti il protagonista arriva proprio a un party, dove i personaggi non mancano di mostrare svariati gesti inerenti al sesso.
C’è una porta e sopra vi è raffigurato (manco a dirlo) un teschio, ancora un richiamo alla morte. Parallelamente proseguono immagini dalla vita di Gesù.
Alcuni dei partecipanti della festa giocano con modellini, maschere e raffigurazioni di teschi: quasi a simboleggiare il fatto di prendersi così gioco della morte e scherzare con (su di) essa.
Ecco che improvvisamente il party si trasforma in un (altro) rituale, questa volta si tratta (probabilmente) dell’iniziazione di un ragazzo nel “gruppo”, attuata cospargendo il malcapitato di mostarda.
La scena successiva accosta esplicitamente immagini di Gesù a simbolismi nazisti.
Il protagonista assume veste dittatoriale impartendo ordini al suo gruppo in modo fortemente autoritario in una chiesa, sventolando una bandiera con raffigurato un teschio.
Segue una corsa motociclistica (durante la quale compaiono brevi fotogrammi di Hitler) la cui partenza è associata a immagini della processione degli ulivi di Gesù e i suoi discepoli.
Verso la fine compare l’immagine di un teschio con una parrucca bionda che al posto degli occhi ha due oblò raffiguranti Cristo, e in bocca una sigaretta con scritto “giovinezza”.
Il ragazzo e la sua banda montano in sella alle loro moto e partono per una scorrazzata che probabilmente verterà nel compimento di qualche violenza o atto vandalico.
Il film termina con una sirena rossa lampeggiante (polizia o ambulanza?) e la figura di un non meglio identificato ragazzo steso a terra.
Difficile dare un significato preciso a questo accumulo di simbolismi.
“Scorpio Rising” procede per associazioni, partendo con un ritmo dolce, quasi melodico, per terminare invece con un ritmo e un montaggio frammentati e frenetici.
Il protagonista viene prima posto come modello di virilità, quindi come idolo/capo di un gruppo, nonché portavoce di una controcultura che ha nella ribellione al conformismo il proprio scopo.
La fede nella religione cattolica poi, sembra dirci il regista, cede il posto ad un altro credo: l’individualismo.
Tutto porta a un ribaltamento dei valori propri delle generazioni passate, valori che i giovani contestano per principio, non certo per proporre valori alternativi. 
“Scorpio Rising” è la radiografia di un’anima ribelle, un’opera arrabbiata. Potrebbe essere la fotografia emotiva di un desiderio di emancipazione; la scissione tra l’essere (che si manifesta nel ragazzo nel momento di “intimità”, ovvero quando ripara – idolatra – la propria moto) e l’apparire (l’adesione ai principi nazisti e il conseguente desiderio di autorità – quindi controllo – sugli altri).
Il film parla in sostanza di una ricerca: quella di un idolo. In questo senso, James Dean, il Marlon Brando de “Il selvaggio” (il cui personaggio è evidentissima fonte di ispirazione per quello di questo film) e Gesù sono idoli (icone) che vengono messi (considerati) su uno stesso piano. 
Il film analizza parallelamente un altro concetto, che prima ho citato più volte: quello di ritualità.
Nella quotidianità (sembra sempre dirci il regista) la reiterazione di usi e abitudini entrati a far parte nella nostra vita, sono viste e idolatrate come sorte di “riti”: l’accurata preparazione ad un’uscita serale potrebbe in quest’ottica essere vista attraverso questo filtro, cos’ come la scena finale dell’iniziazione del ragazzo (questo un rituale nel vero senso del termine).
Accompagnato da hit dell’epoca, questo escursus nel subconscio giovanile degli anni 60 è senza dubbio uno dei film sperimentali più importanti di sempre, nonché sicuramente il miglior film di Kenneth Anger.
Ha la consistenza di un sogno, una proiezione scaturita dall’immaginazione di un poeta (il regista) che si è fatto portavoce di paure, desideri e ossessioni della sua epoca.
Forse, per spiegare a livello culturale il periodo a cavallo tra gli anni 50 e i 60 (in altre parole, il periodo post-James Dean, quindi ante-psichedelia/Summer of Love), non esiste opera più efficace.   

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dandy martedì 17 febbraio 2015
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