Il film ripercorre le prime tappe, nonché il momento della cattura avvenuto nel 2001, di Gary Leon Ridgway, il cosiddetto Killer del Green River, riconosciuto colpevole nel 2003 di aver ucciso nello Stato di Washington (Nord-Ovest degli Stati Uniti) ben 48 giovani donne, tra prostitute e autostoppiste, principalmente nel periodo tra il 1982 e il 1984.
Il suo disumano rituale consisteva nell’adescamento della vittima prescelta in qualche locale notturno o lungo la Pacific Highway South, la conquista della sua fiducia (anche attraverso l’esibizione della foto del proprio figlio), il consumo di un rapporto sessuale violento nella propria abitazione, nel proprio pick-up o in un area isolata, l’uccisione (spesso tramite strangolamento) e l’abbandono del corpo nelle foreste lungo il corso del Green River.
Malgrado il suo ingresso nella ristretta cerchia dei sospetti già nel 1983, la pista che portava a lui venne ben presto abbandonata dagli investigatori in quanto, sulla base del profilo tipico del serial killer del tempo, si riteneva impossibile che un uomo sposato e con figli, come lo era Ridgway, potesse essere un omicida seriale.
Solo nel 2001, grazie all’evoluzione delle tecniche di tracciatura del DNA, i campioni biologici che al tempo furono raccolti dalla polizia sulle vittime vennero riesaminati e Ridgway viene inequivocabilmente collegato ad alcuni degli omicidi attribuiti al killer del Green River e immediatamente arrestato.
L’epilogo due anni dopo quando Ridgway, per evitare la pena capitale, si accorda con il procuratore distrettuale per una piena e dettagliata confessione di tutti i suoi atroci delitti.
Il prodotto diretto da Ulli Lommel, regista tedesco, non nuovo a film con personaggio protagonista un serial killer (vedi “B.T.K. Killer” del 2005), è costruito come una specie di documentario televisivo, dove la parte fiction, con alcuni degli omicidi compiuti da Ridgway, viene intermezzata da filmati originali delle confessioni rilasciate dallo stesso. Tuttavia, malgrado il taglio suddetto, l'espediente dell’introduzione della fantomatica figura di Boris (Carter Frank) a cui il Ridgway (George Kiseleff) sembra ispirarsi, di una musica rock gradevole, nonché di flash visivi, di un certo impatto emozionale, dei corpi martoriati delle vittime, il film si trascina stancamente fino alla fine senza regalare mai alcuna emozione degna di questo nome.
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