acereoli
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lunedì 20 agosto 2007
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mostruoso
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Bellissimo film, da sempre sottovalutato se non scansato per la sua opprimente malinconia. Il suo problema sta forse nel lieto fine, eccesivamente liberatorio e per nulla realistico. Dopo aver raccontato le miserie di una galleria di personaggi orrendi, averne mostrato la bassezza morale e l'intima sofferenza, la redenzione offerta dal colpaccio di un 13 al totocalcio toglie il gusto della morale vera, che con dei personaggi così non può che essere nera.
Pompucci gira come un Fellini perfido e corrotto, la sua cinematografia miscela poetico e grottesco alla perfezione, giocando proprio sul contrasto di tinte l'efficacia di questo film.
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milomar
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domenica 19 agosto 2007
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tra avati, fellini e olmi
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E' davvero un bel film del periodo post-"commedia all'italiana".
A vederlo, senza conoscere il regista, si direbbe dapprima che sia di Avati, poi di Fellini o, addirittura, di Olmi. Infatti, le tematiche ed i personaggi sembrano usciti dai grandi maestri citati e, persino, la regia (grandangolari e primi piani) ne ricalca gli stili. In realta, Leone Pampucci omaggia un pò tutti i grandi della commedia all'italiana servendosi di grandissimi attori, ultimi rimasti del "genere".
Un film da vedere e da rivedere, parabola di un'italietta, ostaggio di cafoni arricchiti ai quali solo i proletari che fanno "13" possono opprsi.
milomar
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lofamo
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venerdì 18 aprile 2014
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grazie pompucci
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Un grazie di esistere a Pompucci e il rammarico che il pubblico italiano (perso dietro cinepanettoni, grandi bellezze e colpe di Freud), non sia capace di apprezzare un regista di questo calibro.
Ha saputo trarre l’essenza umana profonda da comici di secondo piano, talora guitti, senza farli recitare, ma mettendo a nudo la loro anima.
E’ un’antologia di recitazioni, manuale da studiare per entrare nella natura di tutti i protagonisti nessuno escluso, la trama è aspetto secondario.
Pompucci non ha bisogno di essere paragonato ad altri registi (e specialmente ad Avati che, sbrodolato com’è dai sentimentalismi, è la negazione della sintesi, della capacità espressiva).
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Un grazie di esistere a Pompucci e il rammarico che il pubblico italiano (perso dietro cinepanettoni, grandi bellezze e colpe di Freud), non sia capace di apprezzare un regista di questo calibro.
Ha saputo trarre l’essenza umana profonda da comici di secondo piano, talora guitti, senza farli recitare, ma mettendo a nudo la loro anima.
E’ un’antologia di recitazioni, manuale da studiare per entrare nella natura di tutti i protagonisti nessuno escluso, la trama è aspetto secondario.
Pompucci non ha bisogno di essere paragonato ad altri registi (e specialmente ad Avati che, sbrodolato com’è dai sentimentalismi, è la negazione della sintesi, della capacità espressiva).
Ha raccolto l’ultimo anelito di Ingrassia come ne “il postino” Troisi, prima di morire, aveva tirato fuori la sua tenera essenza.
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parsifal
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lunedì 15 maggio 2017
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cinico e beffardo
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Leone Pompucci, irriverente e sarcastico, dà vita ad una vera e propria commedia amara , fondata sull' illustrazione di uno spaccato di vita ambientato nel mondo della ristorazione. In una cittadina sul litorale romano, il vecchio titolare di un ristorante Il sig. Loppi, interpretato da un anziano e malinconico Ingrassia, decide di vendere l'attività ad una famiglia di ricchi mobilieri, volgari e grossolani, dei veri parvenue, rispettivamente Carlo Croccolo, impeccabile nel ruolo del patriarca ignorante ed autoritario ed Antonello Fassari, giovane rampollo di cotanto padre, viziato in quanto figlio unico e oltremodo arrogante, in ogni circostanza. Lo staff capitanato da Loris Bianchi,(un ineguagliabile Villaggio , all'apice delle sue capacità espressive), maitre che vanta esperienze da sogno nel campo della ristorazione e del settore alberghiero durante gli anni d' oro dellla Dolce Vita, tenterà il tutto per tutto al fine di restare e di fare in modo che il ristorante non venga trasformato in mobilificio.
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Leone Pompucci, irriverente e sarcastico, dà vita ad una vera e propria commedia amara , fondata sull' illustrazione di uno spaccato di vita ambientato nel mondo della ristorazione. In una cittadina sul litorale romano, il vecchio titolare di un ristorante Il sig. Loppi, interpretato da un anziano e malinconico Ingrassia, decide di vendere l'attività ad una famiglia di ricchi mobilieri, volgari e grossolani, dei veri parvenue, rispettivamente Carlo Croccolo, impeccabile nel ruolo del patriarca ignorante ed autoritario ed Antonello Fassari, giovane rampollo di cotanto padre, viziato in quanto figlio unico e oltremodo arrogante, in ogni circostanza. Lo staff capitanato da Loris Bianchi,(un ineguagliabile Villaggio , all'apice delle sue capacità espressive), maitre che vanta esperienze da sogno nel campo della ristorazione e del settore alberghiero durante gli anni d' oro dellla Dolce Vita, tenterà il tutto per tutto al fine di restare e di fare in modo che il ristorante non venga trasformato in mobilificio. Il banco di prova sarà il banchetto per le nozze d'oro del patriarca con la sua consorte, una donna intelligente , dolce e sottomessa al satrapo insensibile e grossolano. Si avvicenderanno gag dal sapore caustico e momenti di riflessione inaspettata, durante i quali l'ex giocatore Tangaro ( Abatantuono) farà lo sbruffone a più non posso per nascondere a sè stesso ed ai colleghi la misera situazione coniugale in cui si trova, Agostino ( Messeri) si illude ancora di poter risalire la china , pur non avendo nè casa nè famiglia ed essendo costretto a dormire nella cucina del risorante, l'ingenuo esordiente Riccardo ( Salimbeni) che stenta a credere a tutto ciò che accade sotto i suoi occhi, IL cuoco Germano ( A, Catania) permaloso, bigotto e perfido che scoprirà con inaudita violenza verbale la misera realtà di Loris. Quando la situazione sembra capitolare, ecco l'inaspettato ( ma non troppo) colpo risolutore che salverà il ristorante dalla chiusura. Buona sceneggiatura e ottima recitazione. Ingiustamente sottovalutato
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fabio57
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mercoledì 16 settembre 2015
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acuto
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Bella e amara riflessione sui costumi degli italiani cafoni e arricchiti,si dice dalle nostre parti"zingari sagliute'"senza offesa ovviamente per gli zingari veri.Il matrimonio o per meglio dire il ricevimento, è un'ottima e ghiotta occasione per mettere alla berlina, descrivere, sottolineare e denunciare gli atteggiamenti e i comportamenti di questa classe di pseudobottegai, che con spregio delle buone maniere, trattano con supponenza , arroganza e disprezzo, un sottoproletariato succubo,confuso e afflitto da problemi di sopravvivenza ,che dipende dalle loro bizze e dai loro capricci,.Il ritratto che ne viene fuori è spietato e non salva nessuno.
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Bella e amara riflessione sui costumi degli italiani cafoni e arricchiti,si dice dalle nostre parti"zingari sagliute'"senza offesa ovviamente per gli zingari veri.Il matrimonio o per meglio dire il ricevimento, è un'ottima e ghiotta occasione per mettere alla berlina, descrivere, sottolineare e denunciare gli atteggiamenti e i comportamenti di questa classe di pseudobottegai, che con spregio delle buone maniere, trattano con supponenza , arroganza e disprezzo, un sottoproletariato succubo,confuso e afflitto da problemi di sopravvivenza ,che dipende dalle loro bizze e dai loro capricci,.Il ritratto che ne viene fuori è spietato e non salva nessuno.I padroni aridi, egoisti interessati solo ai loro interessi economici personali sono ovviamente esecrabili, ma anche le loro vittime"i camerieri" sono piegati sui loro meschini tentativi di igraziarsi i potenti di turno,piccoli cialtroni alla disperata ricerca di un posto al sole.
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